Le cooperative e la sinistra
Costruire un movimento mutualistico che produca economia solidale e rafforzi i valori della comunità non è sufficiente, ma è indispensabile
Copenaghen, 1910. Agli inizi dell’ascesa della socialdemocrazia in Europa, la Seconda Internazionale approvò una risoluzione a sostegno delle cooperative.
Pur riconoscendo che la cooperazione da sola era «incapace di realizzare il socialismo», nondimeno l’Internazionale esortava «tutti i socialisti e tutti i membri dei sindacati» a prendere parte al movimento cooperativo. Sostenere tali imprese, diceva, non avrebbe soltanto contribuito a contrastare i mali delle società commerciali private; avrebbe migliorato le condizioni delle classi lavoratrici, formato i lavoratori alla democrazia economica e fornito le entrate tanto necessarie ai sindacati socialisti e ai partiti laburisti. In sintesi, l’Internazionale dichiarava: «I sindacati, le società cooperative e il partito socialista […] preservando ciascuno la propria unità e autonomia, dovrebbero entrare in rapporti sempre più stretti tra loro».
Avanti veloce fino al 2024. Ancora una volta, la sinistra discute le strategie per avanzare politicamente. È chiaro che le sole campagne elettorali e le proteste di breve durata non sono sufficienti per ottenere vittorie durature. Ma a differenza dei socialisti del passato, i dibattiti della sinistra contemporanea hanno in gran parte ignorato il ruolo strategico che le cooperative – e l’economia solidale più in generale, cioè le imprese orientate a soddisfare i bisogni dei lavoratori e a raggiungere obiettivi sociali più ampi – possono svolgere nel costruire la forza economica della sinistra.
È un errore. La storia mostra che una fiorente economia solidale può fornire benefici materiali e sociali per la sinistra, benefici che possono svolgere un ruolo chiave nel più ampio risveglio politico del socialismo. Ciò non vuol dire che il sostegno alle cooperative e ad altri tipi di imprese di proprietà dei lavoratori possa soppiantare le altre tattiche politiche, ma non dovrebbero nemmeno essere ignorate. Piuttosto, le cooperative possono e dovrebbero integrare gli altri sforzi strategici della sinistra, come ha riconosciuto molto tempo fa la Seconda Internazionale.
Il ruolo strategico delle cooperative
L’idea che le imprese di proprietà dei lavoratori possano sostenere strategicamente il lavoro elettorale, le iniziative sindacali o altre campagne socialiste non circola molto oggi a sinistra. Ma non è sempre stato così.
Il Partito populista americano degli anni Novanta dell’Ottocento fu «prefigurato» dalle 334 cooperative di proprietà dei lavoratori fondate negli Stati uniti nel decennio precedente dai Grange e dai Knights of Labour. Sindacati come l’International Ladies’ Garment Workers’ Union (Ilgwu), come ha scritto Sara Horowitz, si espansero attraverso il mutuo aiuto tra i loro membri, in particolare nei loro primi anni. In Europa, i partiti di massa della socialdemocrazia, dal Partito laburista ai socialdemocratici scandinavi, si sono basati sui legami solidaristici stabiliti attraverso la cooperazione economica dei loro membri. E il Partito comunista italiano riuscì poi a estendere e consolidare la propria egemonia in Emilia-Romagna sostenendo le cooperative.
Oggi vediamo questo tipo di complementarità tra cooperative e politica di sinistra in molti luoghi. Non si può comprendere la marea rosa del Sud America durante gli anni Novanta senza considerare il peso della crescita dell’economia solidale nella regione nei decenni precedenti. Il brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva lo ha fatto: ha fondato il segretariato nazionale dell’economia solidale poco dopo la sua prima elezione a presidente, nel 2003. Più recentemente, Barcelona en Comú e il governo laburista di Preston, in Inghilterra, hanno ottenuto la vittoria attraverso legami simili con l’economia solidale, e premiandola similmente attraverso le politiche pubbliche.
L’economia solidale alimenta i successi politici, in parte, attraverso i benefici economici che fornisce all’elettorato. Le cooperative, ad esempio, di solito garantiscono posti di lavoro a lungo termine con retribuzioni più elevate per i lavoratori e le lavoratrici e beni di qualità superiore e prezzi più bassi per i consumatori rispetto alle loro controparti convenzionali. E lo fanno, inoltre, in condizioni molto più democratiche ed eque rispetto alle tradizionali aziende private. In questo modo, come ha scritto Ethan Miller, le cooperative dimostrano che «è possibile costruire mezzi di sussistenza reali costruendo allo stesso tempo un altro paradigma di valori sociali». Questa capacità di fornire «mezzi di sussistenza reali» ai poveri e ai lavoratori è difficile da replicare in altre strategie di sinistra ed è fondamentale per il valore distintivo che l’economia solidale aggiunge al repertorio strategico della sinistra.
Garantire il sostentamento degli elettori, a sua volta, fornisce alla sinistra una leva politica. In parte ciò avviene rendendo i lavoratori ricettivi ai benefici materiali della proprietà democratica e alle politiche (e ai partiti) che potrebbero farli avanzare. Ma può anche dare alla sinistra una leva fiscale – e quindi una leva politica – all’interno delle comunità nel loro insieme.
In quanto mezzi di sviluppo economico comunitario, ad esempio, le cooperative possono fornire occupazione di qualità ed entrate fiscali alle città in difficoltà; anzi, nel farlo sono spesso superiori al settore privato. Nella misura in cui garantire lo sviluppo economico è una questione chiave per vincere e mantenere una carica, sostenere le cooperative rappresenta un vantaggio politico per i politici e i partiti di sinistra. E spostando la loro «base» economica verso l’economia solidale, le amministrazioni di sinistra possono diventare meno vulnerabili all’opposizione e al disinvestimento delle imprese.
I ricavi raccolti dalle fiorenti imprese cooperative possono anche aumentare la forza finanziaria dei sindacati. Ad esempio, l’Amalgamated Clothing Workers of America e l’International Ladies’ Garment Workers’ Union furono in grado di aumentare le entrate e la lealtà durante gli anni Venti e Trenta, in parte fornendo ai loro membri servizi che andavano dall’assistenza sanitaria, agli alloggi, alle banche.
Oggi il mondo del lavoro sembra pronto a trarre benefici simili dalle cooperative e da altre imprese solidali. Il Seiu-Uhw, un sindacato di 100.000 operatori sanitari in California, ha recentemente istituito una cooperativa sanitaria sindacalizzata che fornisce sia servizi ai clienti che posti di lavoro significativi ai lavoratori. I pescatori sindacalizzati con Lobster 207, affiliato alla International Association of Machinists nel Maine, hanno formato una cooperativa per aiutare i membri a vendere collettivamente il loro pescato, consentendo loro di aumentare il proprio reddito eliminando gli intermediari. Questo tipo di pratiche mutualistiche possono rafforzare sia i numeri che le risorse finanziarie dei sindacati oltre che, per estensione, il loro potere politico.
Infine, la lotta stessa a favore delle imprese di proprietà dei lavoratori o della comunità fornisce un potente mezzo per mobilitare i lavoratori e l’elettorato. La mancanza di controllo locale sulle decisioni economiche contribuì a radicalizzare molti afroamericani durante gli anni Sessanta, e le loro lotte per il «controllo comunitario» sulla terra e sugli alloggi rafforzarono la più ampia campagna per l’uguaglianza razziale durante il decennio. Come ha scritto l’economista Barry Bluestone nella Review of Radical Economics nel 1969, «l’atto di tendere verso un’economia [di proprietà della comunità] fornisce un potente strumento per organizzare la comunità in una forza politica coerente capace di ottenere concessioni su lavoro, alloggio, reddito e dignità da parte del governo e dell’establishment aziendale». Questo principio si applica allo stesso modo ai lavoratori e alle altre persone oppresse anche oggi.
Una proposta concreta
Ma quanto è pratico iniziare a costruire una nuova economia nel guscio della vecchia? Sostenere le cooperative e imprese simili non toglie il sostegno ad altre lotte?
Non necessariamente. L’idea che l’attivismo sia un gioco a somma zero va contro l’esperienza delle organizzazioni della «grande tenda» come i Democratic Socialists of America (Dsa), che da tempo vedono diverse tattiche di movimento – come il lavoro elettorale, le iniziative sindacali e il sostegno alle proteste per motivi razziali, di giustizia e contro la guerra – come qualcosa di più della somma delle loro parti. L’aggiunta di imprese basate sulla solidarietà a questo mix strategico può solo avvantaggiare l’insieme.
In effetti, l’esperienza dei Dsa con una varietà di tattiche e approcci strategici può renderli un buon posto per sperimentare l’incorporazione di cooperative con strategie di sinistra più tradizionali: Evan Casper-Futterman, direttore senior della pianificazione per la Bronx Cooperative Development Initiative, suggerisce che i Dsa hanno già le «infrastrutture organizzative» necessarie per iniziare a costruire imprese solidali nei rispettivi distretti.
Secondo Brandon Payton-Carrillo, ex membro del Comitato politico nazionale dei Dsa, le argomentazioni secondo cui sostenere queste imprese richiede più tempo ed energia rispetto ad altre strategie sono altrettanto fuorvianti. Sostenere queste imprese può essere semplice come decidere dove investire i nostri soldi, i nostri risparmi e persino (se siamo così fortunati) i nostri fondi pensionistici. E anche ottenere finanziamenti pubblici per imprese del genere è più facile di quanto possa sembrare, non si tratta tanto di chiedere nuove spese quanto di reindirizzare i sussidi e i contratti esistenti verso nuovi attori. L’abbiamo visto a Preston e, più recentemente, in Colombia, che ha accettato di trasferire il 30% di tutti i contratti statali alle cooperative.
Soprattutto, dobbiamo confrontare i costi della costruzione dell’economia solidale con i costi delle tattiche di sinistra più mainstream. Payton-Carrillo osserva che se è difficile farsi carico della forza per gestire imprese mutualistiche, è altrettanto difficile sostenere azioni per gli inquilini che organizzano campagne per abbassare gli affitti per lunghi periodi di tempo. La differenza è che mentre quest’ultima è un’azione principalmente di natura «difensiva», la prima è una manovra «offensiva» che può costruire mezzi di sussistenza durevoli espandendo al tempo stesso la nostra immaginazione politica.
Ciò non significa che l’organizzazione degli inquilini o altri tipi di campagne siano meno importanti dal punto di vista strategico rispetto alla costruzione di avamposti di un’economia alternativa. Si tratta solo di dire che dobbiamo riconoscere come l’organizzazione degli inquilini, le iniziative sindacali e le campagne elettorali possano essere integrate dall’economia solidale.
Ricostruire la solidarietà
C’è un altro vantaggio nel costruire l’economia cooperativa: è un sistema comprovato per combattere l’atomizzazione della società moderna che, come molti di noi ora riconoscono, ha reso più difficile per la sinistra vincere le elezioni e le lotte sindacali. Senza la consapevolezza che il nostro benessere dipende dal benessere degli altri, non solo è più difficile che la sinistra prevalga, ma è più difficile convincere gli elettori che le politiche di sinistra siano addirittura desiderabili. Gabriel Winant ha constatato con tristezza che se «Eugene Debs dovesse risorgere otterrebbe poca popolarità».
Tuttavia, per costruire la solidarietà di cui abbiamo bisogno per vincere, dobbiamo identificare i materiali più forti per generarla: non campionati di bowling o circoli culturali, ma i benefici materiali della cooperazione.
Dopo tutto, le pratiche economiche hanno sostenuto in primo luogo la crescita della società civile. Le comuni medievali, le chiese nere, le innumerevoli società di beneficenza idolatrate da Robert Putnam: tutte erano originariamente costruite attorno a pratiche di mutuo aiuto fra i loro membri e le loro comunità. Durante la metà del XIX secolo, le cooperative di proprietà dei lavoratori dimostrarono come le pratiche economiche potessero essere direttamente «embedded» nei valori della solidarietà. E queste pratiche di cooperazione economica, a loro volta, hanno contribuito a sostenere la crescita dei sindacati e dei partiti politici di sinistra nell’era moderna.
Vista da questa prospettiva, la frammentazione della società moderna non è dovuta solo al «neoliberismo» o a Internet, ma anche al fatto che le istituzioni socializzanti non forniscono più i benefici economici per cui vale la pena aderirvi. Questo processo è in atto da secoli, dallo Stato moderno che ha assunto le funzioni politiche delle libere comuni, alle aziende capitaliste che hanno assunto le funzioni economiche delle corporazioni, alle organizzazioni no-profit d’élite (finanziate dalle donazioni dei ricchi) che hanno assunto il controllo del welfare.
Da qui deriva la situazione attuale: una società civile vuota e arida che svolge una scarsa funzione economica o materiale per la maggior parte delle persone, e di certo non in forme che rafforzino la solidarietà.
Eppure ora stiamo assistendo all’emergere di nuove forme di solidarietà potenzialmente radicate nelle pratiche di democrazia economica. Lo abbiamo visto nel fiorire del mutuo aiuto dopo il Covid-19, nel rilancio delle pratiche mutualistiche tra i sindacati e nell’espansione dell’economia sociale e solidale (Ess) in tutto il mondo. Le cooperative di lavoro stanno crescendo più rapidamente, inoltre, tra alcuni dei gruppi che la sinistra ha maggiormente bisogno di raggiungere, come i dipendenti dei servizi, gli immigrati e i lavoratori non bianchi. Sappiamo che queste imprese hanno un notevole successo nel contribuire a costruire capitale sociale: un recente studio ha rilevato che la partecipazione alle cooperative di lavoro ha promosso tassi più elevati di impegno civico tra i membri – compresi quelli meno inclini ideologicamente – rispetto ai lavoratori delle aziende convenzionali.
Cooperative e strategia della sinistra
Finora, tuttavia, la sinistra organizzata non ha sfruttato in modo efficace i vantaggi dell’economia solidale. Ci sono delle eccezioni: alcune sezioni dei Dsa hanno gruppi di lavoro di mutuo soccorso o di economia solidale, ad esempio. Ma nella maggior parte dei casi, i socialisti non hanno fatto delle cooperative o di altre imprese mutualistiche una parte centrale della loro strategia, o non sono riusciti a farne alcun uso.
Quale sarebbe una strategia che faccia uso dell’economia solidale? Potremmo, da un lato, provare a incorporare formalmente le iniziative di economia solidale all’interno delle organizzazioni di sinistra esistenti come i Dsa. Consiglierei di attingere anche alla saggezza della Seconda Internazionale: «I sindacati, le società cooperative e il partito socialista […] preservando ciascuno la propria unità e autonomia, dovrebbero entrare in rapporti sempre più stretti tra loro» (il corsivo è mio). Ciascuna parte del movimento può perseguire i propri sforzi separati con un occhio rivolto a ciò che stanno facendo gli altri, e a ciò che possono rendere politicamente possibile per gli altri.
Nel caso dell’economia solidale, la sinistra elettorale e sindacale dovrebbe considerare che tipo di organizzazioni economiche, a vantaggio di quali collegi elettorali, potrebbero aiutarli a costruire il tipo di leva finanziaria necessaria per vincere le elezioni ed espandere la propria forza. E i professionisti dell’economia solidale dovrebbero considerare che tipo di movimenti politici e sociali di sinistra possono aiutare a far passare il tipo di politiche, come le iniziative di creazione di ricchezza comunitaria, che possono avvantaggiare le loro imprese. Ciascuna «parte» può sostenere l’altra a proprio vantaggio e per costruire un’egemonia collettiva.
Non è possibile decidere in anticipo quali tipi di alleanze potrebbero emergere da queste discussioni o quali opportunità potrebbero presentarsi. Ma come i socialisti e gli organizzatori sindacali di sinistra che ci hanno preceduto, faremmo bene a riconoscere il potenziale valore strategico delle cooperative di lavoro e di progetti simili.
* Daniel Wortel-London è un ricercatore ed educatore, vive nel New Jersey. Si occupa soprattutto della storia e della strategia dello sviluppo economico radicale. Il suo libro The Menace of Prosperity: Private Growth, Public Costs, and the Struggle for Economic Development in New York City, 1876–1976 è in via di pubblicazione per University of Chicago Press. Una versione di questo articolo è stata originariamente pubblicata da Shareable. Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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