L’inganno del «multipolarismo»
Il sociologo marxista e prigioniero politico russo Boris Kagarlitsky scrive per Jacobin dalla sua cella di Zelenograd: serve un’alternativa tra la logica individualista del liberalismo e la falsa contrapposizione totalitaria del nuovo conservatorismo
Nelle carceri russe di questi tempi, una cella agiata e materialmente benestante è caratterizzata dalla presenza di un televisore, solitamente insieme a un frigorifero. Per me la televisione è più fonte di tormento che di piacere, come ho già spiegato più volte. Le voci stridule e maliziose dei propagandisti mi perforano letteralmente le orecchie, mentre l’umorismo volgare mi fa venire da vomitare.
Ma la televisione sempre accesa ha comunque un effetto positivo. In termini scientifici, rappresenta una finestra sul discorso dominante. A questo proposito mi piace particolarmente il programma «Mesto Vstrechi» di [Andrei] Norkin su Ntv. Ci si trova la spiegazione, intelligente, calma e senza le isterie che sentite negli altri programmi, del perché è giusto e necessario uccidere delle persone, impossessarsi delle terre altrui e privarle delle loro proprietà, limitando al tempo stesso i diritti di chiunque sia in disaccordo con le autorità.
Tutto è molto bonario, con un sorriso piacevole, educato e amabile. Durante una trasmissione uno degli esperti invitati ha spiegato ai conduttori e agli spettatori cos’è un «mondo multipolare». Secondo questo stimato esperto, in un mondo multipolare non esistono regole condivise né confini morali, norme o principi, e ognuno agisce come vuole e cerca il proprio vantaggio nella misura in cui i propri governanti lo consentono. Gli altri partecipanti alla trasmissione sorridevano benevolmente e annuivano in segno di approvazione. Tutto era finalmente al suo posto. Chiunque avesse familiarità con la filosofia potrebbe facilmente osservare che questa descrizione del mondo multipolare è completamente in linea con ciò che Thomas Hobbes nel suo Leviatano del 1651 definì «la guerra di tutti contro tutti». Era la situazione prevalente nell’Europa della prima età moderna, e i pensatori del XVII secolo non vedevano salvezza dal caos che inevitabilmente ne derivava se non attraverso l’instaurazione del governo forte di un’unica autorità, capace di imporre l’ordine anche a costo di limitare la libertà. L’egemone e sovrano, il «Leviatano» che imponeva il suo ordine, poteva sembrare antipatico, ma Hobbes non vedeva alcuna alternativa. Altrimenti il mondo sarebbe precipitato in un caos sanguinoso. Fin dai tempi di Hobbes, la necessità di mantenere l’ordine è stata utilizzata nelle relazioni internazionali per giustificare l’egemonia delle potenze dominanti, e con il progredire della civiltà queste regole sono state formalizzate sotto forma di accordi e norme che non pretendono solo di garantire i diritti dei potenti, ma anche di tutelare i deboli e garantire l’umanizzazione della pratica politica. In realtà, come sappiamo perfettamente, le potenze dominanti che si assumono il compito di mantenere l’ordine e di garantirne il rispetto lo violano costantemente, inventando ogni sorta di scuse ipocrite. Tuttavia, avere regole che di tanto in tanto vengono infrante è meglio che non averne affatto. Questo sembra ovvio ed è stato riconosciuto da tutti. I provocatori e i nemici dell’ordine sono stati vari tipi di rivoluzionari che si sono impegnati ad abbattere il vecchio «mondo di coercizione» per costruire un nuovo mondo. Come sappiamo, non sempre le cose sono andate bene. Ciò non è dovuto tanto alla distruzione del vecchio mondo, ma piuttosto al fatto che il nuovo mondo in costruzione si è dimostrato più e più volte simile al vecchio.
Oggi, tuttavia, assistiamo a una situazione completamente nuova, in cui il caos e la destabilizzazione non vengono seminati dai radicali e dagli anarchici, che ora sembrano del tutto inoffensivi, ma da conservatori impegnati, che difendono i valori tradizionali. In molti casi, la loro retorica suona quasi rivoluzionaria: sentiamo costantemente lamentele sull’ingiustizia dell’ordine liberale – lamentele con le quali è difficile non essere d’accordo. Il problema è che da queste critiche non consegue l’indicazione di quelle che potrebbero essere diverse relazioni socioeconomiche possibili. Non solo le regole fondamentali del capitalismo sono risparmiate da ogni grado di dubbio, ma al contrario queste sono portate all’estremo, poiché in questo caso non conta altro che la concorrenza.
Perché, allora, i tradizionalisti ora sono pronti a seminare il caos su una scala che nemmeno gli anarchici più ferventi del XIX e del XX secolo avrebbero potuto sognare? Dopotutto, gli anarchici non detenevano il potere, mentre i rivoluzionari, dopo aver preso il potere, cercarono per lo più di difendersi (con il risultato che si trasformarono rapidamente in leader statali relativamente moderati che fanno rispettare le regole, comprese quelle che tutelavano il loro diritto a esistere). I politici conservatori di oggi sono abbastanza diversi. Possiedono potere e risorse reali e sono quindi in grado di scatenare un’attività distruttiva quasi senza limiti.
Il problema in questo caso è che le pratiche e i valori tradizionali che i conservatori cercano di preservare o ripristinare sono arrivati da tempo a contraddire la logica di riproduzione dell’economia e della società di oggi. Di conseguenza, il tradizionalismo non solo ha cessato di essere un’ideologia che invoca la preservazione dell’ordine esistente, ma, al contrario, si è trasformato in uno strumento per la sua distruzione. Come ha sostenuto Fredric Jameson, il liberalismo moderno si adatta molto meglio alla logica culturale del tardo-capitalismo. Se abbia senso difendere questa ideologia e la sua logica è tutta un’altra questione. Ciò che è importante qui non sono i folli eccessi del liberalismo moderno, con il suo culto delle minoranze e l’ignoranza degli interessi e dei bisogni della maggioranza. Le condizioni di vita, le opportunità sociali e i bisogni continuano a cambiare e l’ideologia liberale, nella forma che aveva assunto all’inizio del XXI secolo, è in crisi. Naturalmente, la soluzione a questa crisi non è un regime di concorrenza totale combinato con la repressione di chiunque non sia disposto a sostenere i «valori tradizionali». La guerra di tutti contro tutti, proclamata dagli ideologi del «mondo multipolare», significa la fine non solo della civiltà liberale, ma di qualsiasi civiltà.
La società, e in effetti le relazioni internazionali, hanno da tempo bisogno di cambiamenti, la cui base non può che risiedere in una nuova cultura di cooperazione e solidarietà, senza la quale sarà semplicemente impossibile risolvere i numerosi problemi che l’umanità si trova ad affrontare non solo a livello nazionale, ma anche planetario. L’emergere di un nuovo Leviatano, ormai su scala globale, difficilmente potrà fornire una risposta a questa situazione. La risposta va cercata nei cambiamenti sociali che permettano di superare sia la logica individualista del liberalismo moderno sia l’aggressività totalitaria del nuovo conservatorismo.
* Boris Kagarlitsky è professore di sociologia alla Scuola di scienze sociali ed economiche di Mosca e redattore di Rabkor. Ha scritto, tra le altre cose, Between Class and Discourse: Left Intellectuals in Defense of Capitalism (Routledge, 2020), Empire of the Periphery: Russia and the World System (Pluto, 2007) e Restoration in Russia: Why Capitalism Failed (Verso, 1995). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
Per chiedere la liberazione di Kagarlitsky si può firmare questo appello.
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