
Lo spettro del gender
Secondo Judith Butler, il gender è il fantasma contemporaneo che incuba e alimenta «le mille facce del panico attuale», una fantasia sovradeterminata dalle paure del contesto geo-politico e sociale
Credo che Judith Butler avesse in mente l’opera di Edward Albee, Chi ha paura di Virginia Woolf? quando ha scelto il titolo del suo ultimo libro, Chi ha paura del gender?.
Il titolo di Albee, a sua volta, fu probabilmente ripreso da quello della popolare canzone Chi ha paura del lupo cattivo? che i tre porcellini cantano nel famoso cartone animato di Walt Disney del 1933. «Il fischiettare nella canzone – scrive Alison Hopwood – ha la funzione di dare coraggio nello sfidare ciò di cui si ha più paura». Sostituendo il lupo cattivo con la scrittrice femminista Virginia Woolf, Albee fece di quest’ultima la rappresentante di un «lupo cattivo (femminile)», cioè di una donna indipendente che vuole evirare gli uomini e stravolgere il mondo binario del patriarcato, dove le cose sono definite e semplici: il bene contro il male, l’ordine contro il caos, i maschi dominanti contro le femmine subalterne.
Come il lupo cattivo e Virginia Wolf, anche il gender – nel racconto di Butler – è la personificazione di tutto ciò che nel mondo d’oggi sembra spaventoso e inquietante. Il gender è infatti diventato un fantasma, uno spettro. E alla stregua di un fantasma davvero sinistro, viene rappresentato dai suoi detrattori come un «potere distruttivo», «una minaccia per i bambini, la sicurezza nazionale», per «il matrimonio eterosessuale e la famiglia normativa», ma anche «un complotto delle élite per imporre i propri valori culturali al popolo» e «un piano per colonizzare il Sud globale da parte dei centri urbani del Nord globale». In breve, il gender è il fantasma contemporaneo che incuba e alimenta «le mille facce del panico attuale».
Quest’ultima è la tesi chiave di Butler. In un momento storico in cui la speranza è svanita e la disperazione per il futuro impera a tutti i livelli – ecologico, sociale e finanziario – l’estrema destra in particolare è riuscita a spostare e condensare paure molto reali (e molto comprensibili) in un fantasma chiamato gender. Butler prende qui in prestito dallo psicoanalista francese Jean Laplanche il concetto di «scena fantasmatica». Quest’ultimo concetto viene adattato e utilizzato da Butler per decifrare il movimento anti-gender e il modo in cui questo utilizza il genere come una sintassi che permette di organizzare elementi molto diversi della nostra vita psicosociale in una grammatica apparentemente coerente.
In tutto il mondo, dal Brasile, all’Argentina, all’Uganda, agli Stati uniti e in tutta Europa, organizzazioni politiche di estrema destra, gruppi cristiani e il Vaticano, ma anche alcune femministe, identificano il gender e quella che chiamano teoria del gender come un terrore inquietante che minaccia tutto ciò che è presunto puro, ordinato e «naturale» nella vita. Judith Butler ci accompagna in un viaggio alla scoperta della miriade di organizzazioni e individui pubblici che lottano contro questo nemico, il «gender», nel tentativo di ripristinare o affermare l’ordine «corretto» (e binario) delle cose. Qui Butler ricostruisce il ruolo centrale svolto dalle gerarchie cattoliche, in particolare dal cardinale Ratzinger (poi papa Benedetto), nel lanciare l’allarme contro il gender già negli anni Novanta, fino ad arrivare alla legge anti-gay approvata in Uganda nel 2023, che punisce la «sodomia» con la pena di morte.
Ma se la propaganda omofoba del Vaticano ha avuto certamente un’influenza enorme sulla legislazione anti-gay in Uganda, per Butler è soprattutto attraverso il ricorso alla «storia economica e coloniale» del paese che si può dare un senso compiuto alla durezza di questa legge. In Uganda «le chiese sono diventate– scrive Butler – le istituzioni che forniscono quei servizi sociali che i governi neoliberali hanno cancellato. Le chiese, in altre parole, si sono fatte carico di necessità basilari e facendo questo hanno modellato il modo in cui la sessualità e il genere sono state percepite e comprese imponendo alcuni valori e creando spettri terrificanti».
Butler approfondisce la natura degli attacchi anti-gender tra le gerarchie vaticane, in particolare da parte di Papa Francesco, contribuendo a diffondere la fobia del gender in molti paesi del mondo. Poi si sofferma invece sull’ascesa dell’estrema destra e le sue affiliazioni religiose negli Usa, soprattutto durante l’amministrazione Trump.
A questo punto sarebbe ragionevole pensare che il movimento globale anti-gender sia fondamentalmente guidato dal conservatorismo religioso di matrice cristiana. Scopriamo invece che il fenomeno anti-gender è molto più complesso. Butler infatti si dedica all’analisi del fenomeno Terf (Trans exclusionary radical feminists – femministe radicali che escludono le persone trans) in Gran Bretagna. «L’emergere di femministe che si oppongono al ‘gender’ – scrive Butler – ha complicato qualsiasi tentativo di adottare una chiave religiosa per comprendere il blocco anti-gender».
In effetti il femminismo anti-gender nel Regno Unito riunisce donne di diverse, e persino opposte, appartenenze politiche, da destra a sinistra. Ciò che le mette insieme sembra essere la critica a un generico patriarcato. Ma in che senso – si interroga Butler – si può parlare di «critica» quando le posizioni anti-gender di queste femministe le associano di fatto con il conservatorismo più becero e autoritario? E in che senso si può ancora parlare degli uomini tout court come il nemico principale, quando la teoria intersezionale e il femminismo di matrice marxista hanno mostrato da tempo quanto il mondo maschile sia tutt’altro che omogeneo ma attraversato invece da divisioni di razza e di classe?
Questo è a mio avviso uno dei capitoli centrali del libro, in cui Butler disvela con dovizia di argomenti l’assurdita’ delle posizioni anti-gender delle Terf. In particolare, come fanno queste cosiddette femministe a non vedere che le donne-trans sono le prime a criticare il mondo maschile e a volersene allontanare visto che vogliono essere riconosciute come donne e non come uomini? In che modo si può ancora parlare di fissità biologica del sesso quando gli scienziati sono ormai d’accordo sul fatto che in molti casi non si può determinare il sesso delle persone secondo una misura binaria? E infine, perché queste femministe attaccano pubblicamente il gender e le persone trans in un contesto in cui queste ultime rischiano letteralmente la vita a causa dell’intensa transfobia delle nostre società?
Alla fine, Butler cerca di elaborare non tanto una teoria su cosa sia realmente il gender – un compito a suo parere impossibile e forse anche inutile – ma piuttosto di ricostruire in modo sintetico un dibattito ultradecennale che ha impegnato sia medici e scienziati che filosofi. Un dibattito nel quale genere e sesso, natura e cultura, sono viste in realtà più come una co-costruzione che una dicotomia distinta.
In definitiva, la decisione di Butler di non definire il gender come un significante vuoto, ma piuttosto come una fantasia sovradeterminata dalle paure del contesto geo-politico e sociale in cui viene evocato – dato che il movimento anti-gender è un fenomeno realmente globale – è acuta e importante. Questo perché le paure che il gender suscita non sono le stesse negli Stati uniti o nell’Europa dell’Est. In quest’ultima, ad esempio, l’estrema destra attacca il gender in quanto rappresentante dell’individualismo neoliberale, responsabile dello smantellamento dei servizi sociali di cui gli Stati sovietici godevano (con un’evidente contraddizione) al di fuori dell’unità familiare. Laddove «la famiglia diventa sempre più importante […] in quanto proxy dello Stato sociale» scrive Butler, le forze di estrema destra dell’Europa orientale individuano nella teoria del gender l’elemento che mette a repentaglio proprio la famiglia nucleare ed eterosessuale che percepiscono come l’ultimo baluardo di protezione sociale.
Più che a fornire definizioni concettuali definitive, Butler è interessata a capire come sia possibile «contrastare un fantasma di queste dimensioni e intensità prima che prosegua nello sradicamento» delle conquiste fondamentali degli ultimi due secoli, tra cui l’uguaglianza e la giustizia sessuale, riproduttiva e sociale.
*Sara R. Farris, professoressa in sociologia alla Goldsmiths-University di Londra, è autrice di Femonazionalismo (Alegre, 2019). La versione originale di questo articolo è uscita in inglese sull’European Journal of Sociology (Cambridge University Press, gennaio 2025). La traduzione è a cura della redazione.
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