L’XM24 è morto: lunga vita all’XM24
Lo sgombero del centro sociale bolognese è frutto della messa a profitto delle periferie di cui è protagonista da anni il centrosinistra. Ma la mobilitazione di queste settimane mostra che è possibile opporsi al «nulla che avanza»
Eravamo una cinquantina di persone già alle sei e mezza del mattino, occhi rossi e sguardi commossi, ad applaudire i resistenti dentro e sopra il tetto di XM24 mentre, dopo settimane di annunci, ieri avveniva lo sgombero. Dopo ore di resistenza pacifica con una partecipazione di massa nonostante l’assolata giornata d’agosto che rende la città un deserto, sembra di essere giunti a una soluzione autunnale che fino a pochi giorni fa era negata, quella dell’assegnazione di un nuovo spazio. Un risultato importante della mobilitazione di ieri, di fronte a uno sgombero avvenuto il giorno dopo l’approvazione del Decreto Sicurezza Bis e che ha ricevuto subito i complimenti di Matteo Salvini su Facebook, mentre l’unico partito che potrebbe, per numeri, fare opposizione si dimostrava il terzo alleato di governo della Lega dopo M5S e Fratelli d’Italia.
La gentrificazione della Bolognina
C’era una volta un mercato dopo il ponte della stazione. Era nel cuore di una città piccola che guardava con occhi poveri e colorati, nelle sue notti rocambolesche, la città dopo il ponte. Bolognina e Bologna, una di fronte l’altra, una affianco l’altra. Poi il mercato se n’è andato, era il 2002, e dentro al mercato nacque la cosa che oggi conosciamo come XM24. Un paio di anni fa ci avevano già provato a sgomberarlo: volevano costruirci una caserma. Pensa te, una caserma al posto di un centro sociale. Poi l’idea del presidio dei Carabinieri è stata abbandonata, ma non quella dello sgombero. L’unico modo per combatterlo è farlo con le armi della partecipazione come fatto ieri e come abbiamo fatto vivendo le serate all’XM24, acquistando ai mercati ortofrutticoli che ospita, parlando agli amici fuori città della sua storia. E scendendo in piazza: qualche settimana fa c’è stata una manifestazione che ha attraversato l’intero centro cittadino e buona parte dei viali. Non la dimenticheremo facilmente – in tempi di sonnolenza inter-generazionale a proposito di manifestazioni politiche e di appartenenza popolare, vedere quasi diecimila persone per strada è stato importante.
Il braccio di ferro tra il mondo dei centri sociali e la Bologna dei taglieri e della riqualificazione, il nuovo modello fatto di ostelli di lusso e Airbnb, è un rapporto di forze difficile da geo-localizzare. Apparentemente sembrano due mondi: quello della storica periferia e quello di un centro ricco che vuole espandersi. Negli ultimi anni abbiamo assistito a una sorta di riassestamento della città, figlio di interessi di diverse fazioni della cittadinanza. Da una parte i residenti di alcune vie del centro, divenute aree di spaccio e afflitte da quello che viene definito «degrado» che, anche con una certa ragione, si sono chiesti cosa fosse successo ai loro deliziosi spazi di origine medievale. La risposta è stata, in parte, la «riqualificazione»: è successo con il Guasto Village (in zona universitaria) o il Mercato delle Erbe (dietro Via Ugo Bassi). In estate diventano aree frequentate, soprattutto da una clientela appassionata di movida, giacca-camicia-apericene. Ironia vuole che la stessa cittadinanza ha cominciato a lamentarsi del rumore e della movida stessa: era quasi meglio prima, almeno gli spacciatori non facevano tutto quel casino fatto di brindisi e risate. È scattato un gioco di leggi e ordinanze civiche che hanno colpito luoghi di aggregazione storica, dal sapore secolare, come quello di Piazza San Francesco. Divieti che hanno causato giorni di piazze vuote e fantasmagoriche, divieti fisiologicamente infranti.
C’è poi una fazione, sostanzialmente politica e amministrativa, che vuole sfruttare la «riqualificazione» per giocare a Monopoli. Nel 2007 scatta un piano di ricostruzione della Bolognina, «Trilogia Navile», piano edilizio clamoroso quanto una produzione cinematografica di Howard Hughes. La Trilogia Navile è una colata di cemento ghiacciato in mezzo alla terra, con pochi residenti abbandonati in questi palazzoni strani che sembrano navi aliene conficcate in verticale e uffici comunali in mezzo a scenari post apocalittici. Un mezzo flop come una produzione di Hughes, appunto. Chi ha vissuto la Bolognina, se si fa un giro sul sito che si occupa di vendere gli appartamenti in Via John Cage, non può non rimanere stordito da una forte sensazione di alterità: le proiezioni perfettamente renderizzate stile Autocad, gli interni di lusso, la scritta «Nel centro evoluto di Bologna, immersi tra comfort e design»: immagini che cozzano con la borgata popolare.
Nella visione futuristica che l’amministrazione e alcuni investitori privati si erano (e si sono) fatti di quella zona, l’esistenza di un luogo come l’XM24, con i suoi mercati, la sua «gentaglia» libera e colorata, è una macchia di sporco. Il fallimento parziale della Trilogia Navile non ha certamente coinciso con la fine di questo strano remake de Le mani sulla città. Che poi a nessuno fregherebbe se uno volesse costruire su uno spiazzo deserto, il problema è proprio la rottura di equilibri precari e autodeterminati che ne conseguono. Sono state vittime della riqualificazione tutti i nuclei familiari, circa ottanta famiglie sfrattate, che vivevano nello stabile Ex-Telecom occupato, fatto sgomberare nel 2015. Al posto delle 80 famiglie oggi c’è lo Student Hotel, anzi, deve ancora essere inaugurato. Leggiamo come viene presentato:
«[…] Portiamo il nostro stile fuori dagli schemi nel Quartiere Navile, meglio conosciuto come Bolognina o la piccola Bologna, un quartiere che ben rispecchia la nostra community: multiculturale, cosmopolita, pop, creativa, divertente. Questa è una zona di Bologna che storicamente ospita una scena underground, tutta graffiti, musica punk rock e anticonformismo artistico applicato in ogni forma d’avanguardia. Chissà perché ci sentiamo come a casa…».
È difficile capire se sia una presa in giro o una stramba forma di marketing. Ma se vi piace la musica punk e l’anticonformismo perché non lasciate stare l’XM24? Una delle cause dell’odio di parti della società bolognese nei confronti dell’XM24 è in realtà proprio per il suo essere autenticamente punk e anticonformista: il problema è che la società si è abituata ai punk e all’arte idealizzata in show di massa come X-Factor o altri talent. Forse da qui viene anche il disturbo provato da Lodo Guenzi (frontman de Lo Stato Sociale) quando si è ritrovato sotto casa le scritte figlie del corteo di un mese fa.
Perché l’XM24 è pericoloso
Non basta la narrazione della periferia che viene «riqualificata» per questioni economiche, c’è dell’altro. Uno dei motivi che rende la storia dello sgombero dell’XM24 un fatto sociale vissuto con urgenza è che lo stabile di Via Fioravanti è l’ultimo fortino di una Bologna in via d’estinzione. Qui non si parla più di un movimento circolare su un piano orizzontale, ma di un iceberg, di alto e basso, di visibile e nascosto; delle vetrine e degli specchietti sopra la soglia del mare e di una città sotterranea. Forse vent’anni fa sullo scontro tra i due mondi prevaleva una forma di convivenza. Per anni Bologna è stata una delle città italiane con più centri sociali. Alcuni di questi luoghi hanno brillato anche di notorietà nazionale (come l’Isola nel Kantiere) e, fino a dieci anni fa, la situazione era tale che per contarli servivano due mani. Poi è successo qualcosa, una frattura, le giunte comunali del Pd e le procure hanno alzato l’asticella dello scontro dando il via a un lungo e doloroso tramonto. Crash, (il primo) Labas, Bartleby, Terzo Piano, Atlantide – tanto per citarne alcuni – sono stati sgomberati. Luoghi che hanno un peso specifico per chi ha vissuto nella città sotterranea o per chi ci è passato per fare serate punk, hip hop, techno, o ha voluto toccare con mano un modello di vita, di divertimento e di economia diverso da quello della Bologna a marchio Fico. Erano anche posti che rappresentavano un’alternativa a uno stile di vita notturno in cui tanti studenti e lavoratori non si riconoscevano: disco-bar ricolmi di zarri e rampanti self-made man, aperitivi di lusso e musica lounge, pub irlandesi e inglesi che ospitavano carovane di erasmus e bar ricolmi di bamba e risse.
Ma i centri sociali sono sempre stati anche un’alternativa alle tanto temute strade buie e abbandonate. Luoghi come l’XM24 sono resistenze al declino culturale e politico. A furia di serate dedicate al Kurdistan e alla Palestina, di cineforum alternativi ecc., cresce un antidoto, quello che rende naturalmente allergici a un Ministro dell’Interno che va al Papeete in compagnia di cubiste che ballano sull’Inno di Mameli. Ma potremmo dirne tante di qualità, che in teoria avrebbero dovuto far piacere a un’amministrazione di centrosinistra: i centri sociali rappresentano la cultura antifascista, sono cellule di resistenza in luoghi dove cresce il malassere e su cui cavalca l’estrema destra e da sempre, all’interno dei propri spazi, sono luoghi di inclusione.
Per ogni sgombero hanno raccontato la stessa storia: il Comune aveva bisogno di quei luoghi per «ricostruire» la città. In Via San Petronio vecchio, nelle sale del Bartleby, una volta percorse da associazioni e cavalcate jazz, oggi c’è solo polvere e silenzio, una fila di mattoni che nasconde ogni possibilità. Stesso discorso per tutti gli altri luoghi: promesse di alternative mai realizzate, dopo lo sgombero sono divenuti templi per blatte e idoli al sacro buio. Non bastano associazioni cicloamatoriali, incontri letterari, mercatini ortofrutticoli, scuole d’Italiano per stranieri o ritrovi per i giovani del quartiere: l’importante è chiudere l’illegalità burocratica, anche al costo di dare il nulla in cambio. Peggio del sale dei romani sugli sconfitti cartaginesi. E oltre il danno la beffa: è ufficiale la notizia che il Comune abbia messo in vendita l’area una volta appartenuta al primo Vag (oggi in Via Paolo Fabbri), alla cifra di oltre un milione di euro in attesa di un privato che voglia prendersela. Perché il Comune, con quell’area sgomberata anni fa, non ha mai saputo che diamine farci. C’è forse una coerenza tra gli affitti delle camere che esplodono, le ronde poliziesce in Piazza San Francesco e gli ostelli di lusso in Via Irnerio.
Bisognerebbe solo avere il coraggio di dirlo: posti come l’XM24 hanno un messaggio politico troppo pericoloso. Sono aree figlie del concetto di «zone temporaneamente autonome», la dimostrazione di una realtà tangibile libera dalle leggi di coercizione tipica del mondo in cui cresciamo e dove finiamo per essere consumati dal lavoro e dalla competizione sociale. Ci sono, per citare uno scandaloso articolo del Resto del Carlino, «punkabbestia, spacciatori, anarchici»: quanto è vero (!), e con loro immigrati meridionali e settentrionali, immigrati africani, studenti, operai, giovani avvocati, mercanti, hacker, pugili, ballerini, e non so quante donne, uomini, cani, gatti e topi che hanno dimostrato che si può essere liberi. All’XM24 si realizza il subconscio fantozziano del volersi poter sentire bene per ciò che si è e non per quello che ti dicono di diventare. Sarà anche per questo che oggi sui muri esterni si trova quella mezza citazione al film del ragioniere Ugo: «Il cohousing è una cagata pazzesca». Perché sì, pare proprio che al posto dell’XM24 ci costruiranno 13 appartamenti autonomi e «locali e spazi esterni di uso collettivo».
Per dirla con gli attivisti del centro sociale: il cohousing risponde a un’emergenza abitativa?; e aggiungo, lo Student Hotel risponde a un’emergenza abitativa? Così come l’ostello di lusso in Via Irnerio, o i proprietari che si abbandonano alle tentazione Airbnb, progetti come il people mover rispondono a un’emergenza ogni giorno che passa sempre più forte? Dove andranno gli studenti con i costi delle camere raddoppiate? Ma soprattutto, dove andranno le famiglie che non possono reggere i nuovi costi di quartiere? Che volto avranno le nuove periferie oltre la Bolognina? Questo articolo di Internazionale risponde a queste domande descrivendo perfettamente la gravità della situazione affitti.
Contro il nulla che avanza
Se volessimo vederla con un occhio appassionato di letteratura fantasy, oggi l’XM24 sarebbe l’ultima fortezza che ci isola dalla marea di morti e fantasmi che pullulano i luoghi sgomberati. «Contro il Nulla che Avanza» è il motto girato in questi giorni a difesa dell’XM, che poi è un modo come un altro per ritornare a quell’inevitabile «No Future» coniato nella Londra dei Sex Pistols. Nel corteo di un mese fa c’erano tutte le istanze che hanno vissuto questo mondo, lavoratori, famiglie con bambini e danzatori; la sfilata delle mondine e del mondo politico vicino all’XM; i saltatori e musici, i metallari e i trattori anarchici; c’era una band punk che suonava su un furgoncino e che alimentava il suo rumore con un generatore da giostra. Non ci siamo fatti mancare nemmeno un rave techno in Via Cavour, di fronte le boutique di Gucci e Prada.
Vi era del situazionismo d’ispirazione debordiana in tutto ciò. A proposito di Debord, era lui che raccontava che innocenti statue greche, sculture rinascimentali e opere medievali possono divenire, contro la volontà estranea dei creatori, vittime della macchina del capitale. Immaginatevi un graffito di Blu che finisce in una mostra di un museo. Questo semplice ragionamento spiega il suo clamoroso gesto di tre anni fa. Qualche giorno fa ci hanno riprovato, scadendo addirittura nel ridicolo: pare che la Soprintendenza voglia salvaguardare i murales sulle facciate di XM24 per il loro evidente valore artistico.
Siamo fragili, siamo mortali, la nostra vita si lega ai luoghi, ed è per questo che vorremmo durassero in eterno quelli che leghiamo alla nostra felicità. Invece li vogliono sgomberare, ricostruendo sulle macerie, tenendo in piedi solo un segno degli sconfitti – i graffiti – per far parlare i fantasmi dei vinti. «No Future», fantasmi di un presente interrotto. O un po’ come quella storia degli statunitensi dopo Little Bighorn: presero Toro Seduto e lo buttarono in un circo.
No, grazie. Magari altrove come ottenuto ieri, ma noi l’XM in un modo o nell’altro ce lo riprendiamo.
* Diego De Angelis ha collaborato con Noisey, Motherboard, Esquire, Everyeye e Not, scrivendo soprattutto di cultura popolare. Quando non scrive lavora come informatico.
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