Morire di assicurazioni, la complicità dei media
I giornali mainstream hanno dato molto rilievo all’omicidio di Brian Thompson, amministratore di UnitedHealthcare. Purtroppo invece ignorano le morti provocate dalle assicurazioni sanitarie
Alcuni anni fa, la mia assicurazione copriva solo l’insulina Admelog per il trattamento del mio diabete di tipo 1, il che faceva sì che la mia glicemia rimanesse alta per mesi. Nel lungo termine, un’elevata glicemia prolungata può portare a complicazioni come cecità e amputazioni. A breve termine, le conseguenze possono comunque tradursi in un pericolo per la vita, la chetoacidosi diabetica, che rende il sangue acido.
Quando ho chiesto al mio medico di passare nuovamente all’Humalog, un tipo di insulina che aveva funzionato in precedenza, si è rifiutato: «Sarà troppo difficile per me ottenere un’autorizzazione preventiva dalla sua assicurazione». Ci sono volute settimane, ma alla fine sono riuscita a convincerlo. Da allora, dopo molte esperienze simili, ho lasciato gli Stati uniti per l’Olanda. Ho un passaporto olandese e ho deciso che non valeva più la pena di vivere in un paese in cui l’insulina e le forniture per il diabete di cui ho bisogno per vivere non solo hanno prezzi che variano a seconda della domanda, ma sono rinchiuse dietro ore di attesa e lotte laceranti con i rappresentanti delle compagnie di assicurazione e di forniture mediche. Il diabete, dopo tutto, è la malattia cronica più costosa con cui convivere negli Stati uniti.
Il 4 dicembre, Brian Thompson, amministratore delegato di UnitedHealthcare, nota per essere la compagnia assicurativa privata con il più alto tasso di rifiuto dei sinistri, è stato assassinato su un marciapiede di Manhattan. Il clamore online ha immediatamente superato la notizia stessa. Gli articoli e i post sui social media relativi all’evento hanno scatenato un flusso di commenti che esprimevano odio nei confronti del settore delle assicurazioni sanitarie. «Pensieri e preghiere richiedono una pre-autorizzazione», ha scritto una persona sotto un post Instagram del Washington Post sull’evento. Il New York Times ha evidenziato un altro commento trovato su TikTok: «Sono un’infermiera del Pronto soccorso e le cose che ho visto negare ai pazienti in fin di vita da parte dell’assicurazione mi fanno stare fisicamente male. Non riesco a provare compassione per lui a causa di tutti quei pazienti e delle loro famiglie». Un post di UnitedHealth Group su Facebook sulla morte di Thompson ha ricevuto quasi centomila reazioni con emoji di risate.
Sui bossoli delle pistole, gli investigatori hanno poi trovato tre parole scritte: «negare», «difendere» e «deporre». Le prime due parole sembrano alludere alle tattiche utilizzate dalle compagnie assicurative per farla franca nel negare le richieste di risarcimento. L’ultima parola suggerisce un possibile movente. Al momento in cui scriviamo, un sospetto è stato nominato e arrestato in Pennsylvania [si tratta di Luigi Mangione, arrestato il 9 dicembre, Ndt].
La notizia richiama alla mente le tante morti silenziose consentite da un’assistenza sanitaria trainata dal profitto. Secondo Lancet, l’assistenza sanitaria a scopo di lucro causa ogni anno 68.000 morti evitabili negli Stati uniti. Pur guadagnando 6 miliardi di dollari a trimestre, UnitedHealthcare ha utilizzato tattiche come l’intelligenza artificiale e le autorizzazioni preventive per negare e ritardare automaticamente le cure salvavita e per indebitare milioni di americani. L’assassinio in sé è già stato trattato a sufficienza. Ciò che manca è il motivo per cui è stato necessario l’omicidio di un amministratore delegato perché i media mainstream finalmente, inavvertitamente, mettessero la crisi dell’assistenza sanitaria in prima pagina. Sebbene ritenga che alcuni commenti si siano spinti troppo in là nella celebrazione dell’omicidio, non mi interessa valutarli moralmente quanto spiegarli. Il loro numero rende chiaro quale sia il sentimento diffuso contro l’industria delle assicurazioni sanitarie, contro cui abbiamo gridato a vuoto per tanto tempo.
Perché i decessi dovuti a richieste di risarcimento negate e al razionamento dell’insulina non hanno ricevuto la stessa attenzione di questo omicidio? Uno dei motivi è che le morti dei pazienti non sono di solito così plateali come l’assassinio su un marciapiede. Si consideri poi che il potere delle lobby a Washington impedisce al Congresso non solo di approvare l’assistenza sanitaria universale – nell’unica nazione sviluppata che ne è priva – ma anche di discuterne seriamente la possibilità, con l’effetto di proteggere l’industria assicurativa privata da ogni controllo.
Ho visto le ripercussioni di questa situazione in prima persona. Nel 2022, ho collaborato alla stesura di un articolo per un importante quotidiano americano, che analizzava come il denaro che le principali organizzazioni non profit che si occupano di diabete accettano dalle aziende produttrici di insulina costituisca un conflitto di interessi, sostenendo in sostanza che esse sono diventate agenzie di pubbliche relazioni per le aziende farmaceutiche che praticano prezzi esorbitanti.
Poco prima della pubblicazione, i nostri redattori hanno chiesto un commento alle parti oggetto della critica. Breakthrough T1D (allora JDRF) e l’American Diabetes Association hanno risposto con una raffica di commenti definiti dai nostri redattori «senza precedenti». I redattori, sopraffatti dai commenti delle organizzazioni non profit, ci dissero che potevamo presentare un’ampia rielaborazione senza alcuna garanzia di pubblicazione o proporre il pezzo altrove. Dopo cinquantaquattro proposte, alcuni rifiuti e molto silenzio, il nostro articolo ha trovato una nuova casa qui su Jacobin. Le proposte possono essere rifiutate per vari motivi, ma non dovrebbero essere necessari cinquantaquattro tentativi da parte di due autori per far sì che un saggio, già edito da un’importante testata giornalistica, venga preso in considerazione.
I produttori di insulina fanno spesso pubblicità, soprattutto sui principali quotidiani americani. La cosa che più mi colpisce sono gli annunci a tutta pagina sul New York Times che Eli Lilly e Novo Nordisk hanno pubblicato nel corso degli anni. Questi annunci mettono in evidenza i rispettivi programmi di assistenza, che si sono dimostrati inaffidabili per la maggior parte dei pazienti, come soluzione per coloro che hanno difficoltà a permettersi l’insulina. L’ironia della sorte vuole che questi annunci siano pubblicati su un giornale il cui abbonamento annuale ha un prezzo di 1.040 dollari, una spesa che dubito possano sostenere coloro che non possono permettersi l’insulina.
Nel 2022 ho cercato sul sito dell’Atlantic la parola «insulina». Il primo articolo pubblicato era un post sponsorizzato da Eli Lilly. L’articolo mette in evidenza il programma di assistenza ai pazienti dell’azienda e arriva persino a raccomandare ai datori di lavoro di fornire un supporto diretto ai loro dipendenti in difficoltà.
Anche Dexcom, produttore del glucometro continuo, spesso salvavita, che la maggior parte dei diabetici non può permettersi, ha investito molto in pubblicità, investendo regolarmente 5,5 milioni di dollari in spot per il Super Bowl. Nello spot del 2021, Nick Jonas, che ha il diabete di tipo 1, chiede retoricamente perché i diabetici si pungano ancora le dita in un mondo con auto a guida autonoma e altre invenzioni futuristiche. «Nick Jonas è il sostenitore di una vita privilegiata con il diabete di tipo 1», ha scritto Janina Gaudin, sostenitrice del diabete e artista su Twitter/X. «Facendo pubblicità al Super Bowl dice al resto del mondo che i diabetici stanno vivendo la loro vita migliore con la tecnologia per il diabete, quando la realtà è che i diabetici stanno morendo perché non possono permettersi l’insulina».
Perché l’industria farmaceutica fa pubblicità? Non dovremmo informarci sui farmaci e sulle attrezzature mediche durevoli attraverso i nostri medici? Gli Stati uniti sono uno dei due paesi al mondo che consentono la pubblicità diretta al consumatore di farmaci da prescrizione. Se i media mainstream partecipano a un’azione che la maggior parte del mondo considera non etica e illegale, sarebbe logico che non si occupassero del tema dell’assistenza sanitaria orientata al profitto, o almeno che evitassero di scavare troppo a fondo sui soggetti coinvolti. Osservando la quantità di spazio in prima pagina e la forza investigativa che giornali come il New York Times hanno dato all’assassinio di Thompson, mi viene da immaginare un mondo in cui la stessa quantità di energia fosse spesa per raccontare le morti causate dall’assistenza sanitaria basata sul profitto. Con lo stesso dettaglio granulare delle mappe aeree e delle linee temporali degli spostamenti e della fuga del sospettato, vorrei vedere più indagini su chi ha permesso agli amministratori delegati delle tre aziende produttrici di insulina di far lievitare il prezzo di una fiala da 5 a 300 dollari in un’unica soluzione.
«Ci sarà da discutere se [l’assassinio di Thompson] fosse giustificato o meno», ha detto recentemente Miles Gray al podcast The Daily Zeitgeist. «Ma il vero problema è che abbiamo completamente normalizzato e celebrato questo sistema di spremere i profitti dalle persone fino alla bancarotta finanziaria ed emotiva. La vera discussione deve riguardare se il nostro sistema di cura basato sull’avidità sia giustificato o meno». Accettando denaro dalle aziende farmaceutiche, molte società di media hanno già risposto a questa domanda.
*Annalisa van den Bergh è una narratrice visiva, scrittrice e ciclista d’avventura vincitrice del Leone d’Oro di Cannes, che vive con il diabete di tipo 1. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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