Oltre il pensiero binario
Per lottare per la pace servono connessioni che oltrepassino la cortina di capitalismo e nazionalismo. Alleanze che sfuggano alle divisioni artefatte che vorrebbero riportarci a una nuova Guerra fredda
L’unico modo per porre fine alla guerra in Ucraina passa per la combinazione tra resistenza ucraina e opposizione russa. Nonostante la repressione di tutte le forme di opposizione in Russia, migliaia di persone sono state abbastanza coraggiose da protestare contro la guerra in almeno 53 città della Russia; migliaia sono state arrestate, eppure le proteste continuano. Molti consiglieri locali, due membri del Parlamento, direttori teatrali, personalità sportive, conduttori di talk show, nonché il quotidiano Novaya Gazeta [che in seguito ha annunciato l’interruzione delle pubblicazioni, Ndt] stanno pubblicamente esprimendo opposizione alla guerra.
L’atmosfera in Russia è un misto di confusione, disperazione e sfida. Coloro che fanno parte del gruppo di sostegno al regime sono impegnati in una profezia che si autoavvera, indicando la risposta occidentale alla guerra come prova dell’aggressione occidentale. Molti altri hanno perso la speranza e stanno discutendo su come lasciare il paese. E ci sono anche moltissimi che si chiedono come costruire un movimento contro la guerra di fronte alla repressione diffusa. Questa petizione è stato un primo passo in questa direzione; ora ci sono molte discussioni tra diversi gruppi e reti su come portare avanti questo obiettivo.
Ciò che serve ora è che gli attivisti per la pace e per i diritti umani in Occidente organizzino un dialogo intenso con gli attivisti per la pace in tutta la Russia al fine di sviluppare una strategia transnazionale comune. È un dialogo che deve includere anche attivisti della Bielorussia e dell’Ucraina.
Geopolitica contro democrazia
Un punto di partenza è la necessità di una comprensione condivisa della guerra in termini di democrazia e diritti umani. La preoccupazione principale del regime russo è rimanere al potere: temono che la democrazia in Ucraina possa offrire un esempio da seguire in Russia. Non possono accettare la democrazia in Ucraina più di quanto il regime di Assad potrebbe accettare la democrazia in Siria. Tale comprensione è necessaria per contrastare le interpretazioni dominanti della guerra che tendono a concentrarsi sulla geopolitica piuttosto che sulla democrazia e sui diritti umani, e che emarginano anche il ruolo dell’attivismo contro la guerra.
C’è la tendenza a spiegare la guerra in termini binari, proprio come durante la Guerra fredda: le istituzioni occidentali attribuiscono la crisi interamente al comportamento aggressivo della Russia mentre lo stato russo giustifica il suo comportamento come risposta all’espansionismo della Nato. Qualsiasi movimento contro la guerra in Russia è trattato dallo stato russo come una creazione dell’Occidente, mentre coloro che in Occidente si oppongono all’espansione della Nato sono spesso sembrati condonare il comportamento russo.
Durante il periodo della Guerra fredda, gli attivisti finirono in una trappola simile. Gli attivisti per la pace in Occidente furono politicamente emarginati perché visti come una quinta colonna sovietica, mentre gli attivisti per i diritti umani nell’Unione Sovietica e nell’Europa orientale furono trattati come strumenti dei governi occidentali. Solo unendosi, sottolineando sia la pace che i diritti umani, è stato possibile espandere la loro influenza politica.
La storia viene solitamente raccontata dall’alto, quindi l’importanza del dialogo tra i movimenti per la pace e i diritti umani oltre il divario est-ovest e il suo contributo alla fine della Guerra fredda viene spesso sottovalutata.
Negli ultimi anni in Russia le grandi proteste sono state represse e le strutture della società civile – organismi per i diritti umani, partiti politici di opposizione, Ong di vario tipo e media indipendenti – sono state attaccate e smantellate dallo stato, rendendo sempre più difficile la protesta attiva. La repressione della società civile è giustificata con l’argomento che questi gruppi sono «agenti stranieri» sostenuti dall’Occidente.
Se vogliamo la pace in Europa, allora gli attivisti contro la guerra sia in Occidente che in Russia devono abbandonare le visioni binarie del mondo. È molto importante per coloro che si oppongono al militarismo e alla corsa agli armamenti in Occidente impegnarsi in un dialogo con coloro che fanno pressioni per la pace e i diritti umani all’interno della Russia e trovare il modo di perseguire congiuntamente i loro obiettivi comuni.
Capitalismo clientelare e nazionalismo esclusivo
Il comportamento aggressivo del Cremlino deve essere inteso come la manifestazione di un fenomeno molto contemporaneo – una nuova forma di populismo autoritario di destra che unisce capitalismo clientelare e nazionalismo esclusivo – che si può riscontrare non solo in Russia, ma anche nella Gran Bretagna di Johnson o nell’America di Trump, per non parlare dell’India di Modi o del Brasile di Bolsonaro. Si può sostenere che l’Occidente abbia contribuito a questo fenomeno in due modi.
Innanzitutto, quando la Guerra fredda è finita molti hanno sperato che ciò avrebbe portato alla smilitarizzazione dell’Europa. L’alleanza sovietica, il patto di Varsavia, fu sciolta, ma la Nato ha continuato a esistere e anzi si è espansa. È accaduto in parte per inerzia, in parte come risposta alle richieste degli aspiranti membri dell’Europa centrale e orientale e in parte come conseguenza delle pressioni del complesso militare-industriale. Putin avrebbe probabilmente agito in modo aggressivo anche senza l’espansione della Nato, ma non era assolutamente necessario che l’Occidente gli fornisse un pretesto. Si è persa un’occasione per ristrutturare l’architettura della sicurezza europea con un focus sulla sicurezza delle persone e sulla complessa risposta alle crisi.
Forse ancora più importante, l’Occidente ha introdotto il fondamentalismo di mercato in tutti i paesi post-comunisti. Privatizzazione e liberalizzazione producono la combinazione di capitalismo clientelare e disuguaglianza socioeconomica che ha fornito il contesto per il nuovo autoritarismo in molti luoghi. Nonostante qualche retorica critica e discorsi sulle sanzioni, le élite occidentali hanno per lo più condonato l’accumulo di ricchezza russa estratta nei propri centri finanziari, alimentando ulteriore corruzione e impunità.
C’è bisogno che gli attivisti di tutta Europa si uniscano e resistano al nuovo autoritarismo di destra. C’è bisogno di un’intensa comunicazione transnazionale – che, con Internet, è molto più facile ora che durante la Guerra fredda – per sviluppare analisi condivise su cosa non va e come contrastare le tendenze pericolose. Tutti noi dobbiamo attirare l’attenzione sulle diffuse violazioni dei diritti umani in Russia e nei paesi circostanti, in particolare nella regione della Crimea e del Donbas, nonché in altre zone grigie e territori contesi. L’obiettivo principale dovrebbe essere anche la difesa e il sostegno per rafforzare le istituzioni della società civile che sono sotto attacco nello spazio post-sovietico così come a casa. E gli attivisti contro la guerra, ovunque si trovino, devono sfidare il militarismo continuo e la corsa agli armamenti da tutte le parti e anche costruire connessioni e reti tra loro.
Dobbiamo impegnarci in una ricerca comune di soluzioni a questa crisi continua e urgente, che non ha solo una dimensione militare o dei diritti umani, ma anche concettuale. Possiamo immaginare un’Europa che non si fermi ai confini dell’Ue? Una società civile che vede oltre le differenze nazionali e resiste all’isolamento e alle divisioni che ricordano l’era della Guerra fredda?
Soprattutto, questa crisi offre un’opportunità per un nuovo sistema di sicurezza paneuropeo basato sulla sicurezza umana piuttosto che sulla sicurezza nazionale, sul multilateralismo piuttosto che sulla geopolitica. La sicurezza umana riguarda la sicurezza degli individui e delle comunità in cui vivono. L’implicazione è che la sicurezza di ucraini e russi conta tanto quanto la sicurezza di britannici o americani. Riguarda anche la sicurezza dalla povertà, dalle malattie e dal degrado ambientale, nonché dalla repressione e dagli attacchi armati. Ha al centro i diritti umani, lo stato di diritto e la giustizia.
Un dibattito sulla creazione di un tale sistema ha bisogno di tre fattori:
Pace: rispetto dello status quo territoriale, misure di rafforzamento della fiducia, controllo degli armamenti e disarmo;
Cooperazione: economica, sociale, culturale, sanitaria e ambientale. Particolarmente importante è la cooperazione in risposta alle sfide globali del nostro tempo come pandemie o cambiamenti climatici;
Diritti umani: libertà di riunione e associazione, libertà di stampa, libertà di movimento, stato di diritto e responsabilità per corruzione e violazioni dei diritti umani.
Questo appello pubblicato di recente da attivisti della società civile, accademici e politici di tutta Europa invita a discutere di tutto ciò. La corsa agli armamenti e la militarizzazione non garantiscono il bisogno umano fondamentale di sicurezza e protezione se non integrati da diritti umani, democrazia partecipativa, giustizia economica e sociale. Le persone che credono in tutto ciò dovrebbero unirsi all’appello e contribuire al movimento.
*Dmitri Makarov è un attivista per i diritti umani e contro la guerra e membro del Consiglio del gruppo di Helsinki di Mosca. Mary Kaldor è professoressa di governance globale presso la London School of Economics e attivista per la pace e i diritti umani. Questo articolo è uscito su Red Pepper. La traduzione è a cura della redazione.
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