
Pablo Hasél e la normalità democratica spagnola
L'arresto del rapper catalano ha scatenato le proteste di piazza e la polemica politica. Mentre i grandi media chiedono le dimissioni di Pablo Iglesias da vice presidente del governo
Un rapper incarcerato per le proprie canzoni. Nazisti che esaltano Hitler e insultano gli ebrei senza che nessun agente intervenga. Poliziotti che percuotono una minorenne e usano armi da fuoco per sedare una manifestazione. Una politica imbrogliona incredibilmente assolta tra lo stupore generale e giudici di peso che affermano che i comunisti non dovrebbero far parte del Governo spagnolo.
Ce ne sarebbe a sufficienza per una serie di fantapolitica, se non fosse che tutto ciò è accaduto realmente in Spagna nell’ultimo mese e che è solo una parte degli avvenimenti che stanno scuotendo l’instabile stato iberico, perennemente in bilico tra tendenze riformatrici e altre reazionarie. Come se non bastasse, tra un’elezione catalana che ha rivisto la vittoria degli indipendentisti e le imbarazzanti confessioni dell’ex-tesoriere del Partito popolare, è emerso il dibattito sull’assenza di «normalità democratica» lanciato dal vice-Presidente del Governo, Pablo Iglesias, e accolto con agitazione dalla quasi totalità dei mezzi di informazione spagnoli. Le tensioni che ne sono seguite stanno mettendo a serio rischio la stabilità della coalizione tra Partito socialista e Unidas Podemos.
Il primo cantante in galera
Pablo Hasél è un rapper catalano condannato nel 2018 dall’Audiencia Nacional per il contenuto della canzone Juan Carlos el Bobón e di 64 tweet pubblicati tra il 2014 e il 2016. In entrambi i casi si tratta di contenuti contro la Monarchia spagnola e le forze dell’ordine nonché di esaltazione di gruppi come Eta e i Grapo. Seguendo una giurisprudenza del Tribunale europeo dei diritti umani, i giudici hanno riconosciuto che si tratta di organizzazioni non più attive, ma hanno comunque individuato reati di odio e non hanno, quindi, concesso attenuanti relative al diritto alla libertà d’espressione. Trattandosi di una recidiva, per il cantante di Lleida si sono così aperte le porte del carcere e Pablo Hasél è diventato il primo musicista condannato e imprigionato per reati politici dai tempi del franchismo.
L’artista di non si è consegnato volontariamente al carcere e ha trascorso gli ultimi giorni di libertà denunciando la violazione dei suoi diritti politici. Di lì in poi è scaturito un ampio movimento di solidarietà nei suoi confronti, che ha visto dapprima la pubblicazione di manifesti di artisti di primo piano (tra cui spiccano i cineasti Javier Bardem e Pedro Aldómovar) e poi la convocazione di affollate manifestazioni in tutta la Spagna, forse le prime di stampo progressista dallo scoppio della pandemia.
Il tema della libertà di parola ha così preso piede nel paese, facendo venire alla luce una serie di storture del sistema penale spagnolo che non solo sembrano provenire direttamente dalla tradizione franchista, ma che sono state anche accentuate nell’ultimo decennio. Secondo un’indagine del giornale El Salto dal 2004 a oggi vi sono state 122 condanne al carcere per il reato di apologia di terrorismo, la gran parte dichiarate dopo l’abbandono della lotta armata da parte dell’Eta del 2011. Si è intensificata l’azione delle forze di sicurezza nei confronti delle manifestazioni di opinioni sul web o attraverso opere d’arte, come dimostrano i casi di Cassandra Vera, condannata in primo grado per aver ironizzato su Twitter sulla morte del Primo ministro franchista Carrero Blanco, quello dei membri del collettivo rap La Insurgencia, condannati a sei mesi di carcere (pena sospesa) per il contenuto delle proprie canzoni, o quello ancor più noto di Valtonyc, musicista punito a tre anni e mezzo di reclusione per apologia di terrorismo e ingiurie alla Corona e latitante in Belgio da quasi tre anni. Sono solo alcuni casi di persone perseguitate per le proprie idee, mentre il Congresso spagnolo ha approvato e messo in pratica la cosiddetta «Legge Bavaglio», che ha aumentato considerevolmente le multe per manifestazioni non autorizzate e per i blocchi degli sfratti.
Denunciato da anni dall’attivismo di sinistra, il dibattito sulle libertà politiche in Spagna sembra interessare finalmente anche la classe politica e la stampa. Spinto anche dall’interesse internazionale sul tema, il Governo centrale ha annunciato una non meglio specificata riforma delle norme che regolano i reati d’opinione e, separatamente, Unidas Podemos ha proposto la deroga per il reato di vilipendio della Corona e ha sollecitato la grazia per Pablo Hasél. Strategie diverse che svelano divergenze tra i due partiti membri dell’esecutivo, una tra le tante in un mese in cui è esploso il dibattito sulla democrazia in Spagna lanciato dal vice-Presidente Pablo Iglesias e che ha causato un peggioramento importante del rapporto tra i due partiti della maggioranza.
Il dibattito che sta mettendo in crisi il Governo è stato lanciato da Pablo Iglesias il 7 febbraio, attraverso un’intervista al quotidiano catalano Ara. In quell’occasione il leader di Unidas Podemos ha affermato che non si può parlare di piena normalità democratica quando i massimi dirigenti dei partiti di governo catalani sono in carcere e un rapper viene incarcerato per le sue opinioni. In un’altra intervista realizzata nei giorni successivi, il vice-Presidente ha insistito: non può esserci normalità democratica se l’ex-capo dello Stato fugge negli Emirati Arabi per scappare dalla giustizia, se emerge che il sistema corruttivo del Partito popolare dura da quarant’anni (come affermato dall’ex-tesoriere del Pp, Luís Bárcenas), se il Consiglio Superiore di Giustizia continua a essere controllato dai conservatori che si rifiutano di rinnovarlo. Si tratta di pensieri in qualche modo sempre manifestati da Iglesias, ma il fatto che li abbia espressi da vice-Presidente del Governo e una serie di altri avvenimenti di quest’ultimo mese hanno amplificato la questione, dandogli da un lato maggiore legittimità dall’altro moltiplicando gli attacchi delle destre e dei grandi mezzi di informazione.
La «normalità democratica» spagnola
Il 13 febbraio 300 neonazisti si sono riuniti nel cimitero madrileno di Almudena per rendere omaggio alla División Azul (autorizzati dalla Delegazione del Governo), ovvero alle truppe spagnole che sostennero Hitler nella campagna di Russia. In tale occasione una giovane fascista un intervento ha affermato che «l’ebreo è il colpevole», senza che nessun responsabile della sicurezza interrompesse l’atto o identificasse i presenti. Il giorno dopo a Linares, in Andalusia, un poliziotto ha malmenato in pieno giorno un cittadino e sua figlia quattordicenne. Nelle proteste avvenute la sera successiva la polizia ha ferito decine di persone e sparato con un’arma da fuoco a un cittadino inerme causando una grave ferita alla gamba.
Il 15 febbraio l’ex-Presidentessa della Comunità di Madrid è stata incredibilmente assolta dall’accusa di falsificazione di documenti. Nel 2019 ElDiario.es rivelò che un master le era stato sostanzialmente regalato dall’Universidad Juan Carlos I e poche ore dopo lei presentò pubblicamente un documento falso per smentire la notizia. Una sua collaboratrice e una funzionaria dell’università sono state condannate mentre sull’ex-dirigente del Partito popolare i giudici hanno affermato, tra lo sconcerto di molti, che non si poteva provare che la falsificazione fosse stata realizzata in suo favore. Lo stesso giorno la Procura Generale di Barcellona presentò un ricorso contro le uscite dal carcere autorizzate dal Tribunale di Vigilanza dei dirigenti indipendentisti, rei, dicono i giudici, di non essersi pentiti delle proprie convinzioni politiche.
Il 16 febbraio, infine, il Presidente del Tribunale Superiore di Giustizia della Castiglia e León ha sostenuto che con la presenza del Partito comunista spagnolo nel Governo la democrazia sia in pericolo e il Consiglio Superiore di Giustizia si è rifiutato di chiedergli una rettifica.
Gli attacchi a Pablo Iglesias
Davanti a questi e altri avvenimenti che manifestano il classismo e la politicizzazione della giustizia spagnola, la violenza della polizia, nonché l’impunità di cui godono i neonazisti in Spagna rispetto agli antifascisti (non c’è nessuna condanna per terrorismo di destra nel paese iberico), le proteste e l’animosità del dibattito politico è arrivata a punti estremamente elevati.
Nelle manifestazioni svoltesi in tutta la Spagna in questi giorni vi è stata grande partecipazione e una dura reazione degli agenti antisommossa. A Barcellona una ragazza di 19 anni ha perso un occhio a causa dello sparo di un proiettile di poliuretano in una serata che ha registrato 52 arresti e otto feriti. A livello politico, intanto, le pressioni contro Unidas Podemos sono arrivate a livelli estremi. Praticamente tutti i grandi mezzi di informazione privati attaccano quotidianamente il partito di Iglesias, con un uso della menzogna e dell’insulto che ormai non è più neanche nascosto da atteggiamenti apparentemente neutrali. Come avvenuto dozzine di altre volte, i partiti della destra, i giornali vicini al Partito popolare e al Partito socialista hanno chiesto le dimissioni di Pablo Iglesias da vice presidente del consiglio, come pure i grandi giornali e un gruppo di ex-dirigenti dei due principali partiti spagnoli, tra cui spicca l’ex Presidente del Governo Felipe González. Unidas Podemos sta reagendo con forza a queste pressioni, denunciandole direttamente, in modo sicuramente coraggioso ma che tradisce una mancanza di controllo che rischia di far deragliare il Governo. Dopo esser stata accusata decine di volte di reati di finanziamento illecito e corruzione, Podemos ha visto archiviate tutte le accuse ma è rimasta seriamente scottata da una campagna stampa che segnala anch’essa la mancanza di normalità democratica.
Nel Congresso Iglesias è tornato sul punto, ribadendo i suoi concetti senza ricevere applausi dai suoi colleghi di governo e, soprattutto, in un intervento di un quarto d’ora ha affrontato l’argomento «tabù», ovvero il potere dei grandi mezzi di informazione, da considerare non più come guardiani del potere, ma come gruppi economici che dettano l’agenda politica. Un atto coraggioso, con pochi precedenti per un membro del Governo, e che forse è finalizzato a compensare la mancanza di risultati in seno all’esecutivo. Tuttavia tale atteggiamento non può che risultare indigeribile per un partito ancorato al sistema economico come il Psoe. Ovviamente a esso è seguito un attacco ancora maggiore dei principali giornali e programmi televisivi spagnoli.
Difficile immaginare che questa battaglia possa essere vinta da Unidas Podemos e Pablo Iglesias. La guerra psicologica contro di loro continuerà fino a che non usciranno dal Governo e non si tornerà alla vecchia normalità delle élite. Nel frattempo però, nelle manifestazioni che quotidianamente si stanno realizzando in tutto il Regno i più giovani stanno ponendo al centro il tema dei diritti politici e di quella parte di democrazia mancante, come dieci anni fa fece il movimento degli Indignados. Qualunque sia il destino del Governo, c’è da sperare che non molleranno la presa.
*Nicola Tanno è laureato in Scienze Politiche e in Analisi Economica delle Istituzioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Ha pubblicato il racconto autobiografico Tutta colpa di Robben (Edizioni Ensemble, 2012). Vive e lavora da anni a Barcellona.
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