Torna la paura rossa
Questa volta più che in passato Trump agita il maccartismo e promette il pugno di ferro contro i movimenti statunitensi. Ma i segnali della repressione annunciata ci sono tutti da anni
Questa tornata elettorale per la sinistra è stata tumultuosa e molto controversa, dal punto di vista sia etico che strategico. Stranamente, da queste discussioni sono assenti le promesse esplicite e i piani dettagliati di Donald Trump e del suo team per dare il via, in caso di vittoria, a una terza ondata di paura rossa per distruggere la sinistra organizzata.
Proprio questo mese, nell’anniversario del 7 ottobre, la stessa Heritage Foundation che ha prodotto per conto di Trump il Progetto 2025 ha fatto uscire il Progetto Esther, «per contrastare l’antisemitismo negli Stati uniti». Partendo dall’assunto che il movimento pro-palestinese statunitense sia «parte di una rete globale di supporto di Hamas» che è «sostenuta da attivisti e finanziatori dediti alla distruzione del capitalismo e della democrazia» che gode del «supporto e l’addestramento dei nemici degli Usa all’estero», il Progetto Esther contiene una strategia per «smantellare» questo movimento entro uno o due anni e «sferrare un colpo decisivo sia all’antisemitismo che all’antiamericanismo».
Questa strategia prevede una campagna di intimidazione, calunnia e del lawfare da parte del governo, sia a livello federale che statale e in collaborazione con organizzazioni private, per annientare i diritti del Primo Emendamento degli attivisti pro-palestinesi e portare avanti un’ondata di repressione. L’obiettivo finale dichiarato è rendere impossibile agli attivisti organizzarsi mentre si scatena l’opinione pubblica contro i movimenti.
Il documento suggerisce di ricorrere ai reati associativi, creati originariamente per combattere la mafia e più di recente utilizzato per presentare accuse inventate contro i manifestanti di Stop Cop City in Georgia [una campagna contro la costruzione di una mega caserma di polizia, Ndt], insieme a «leggi antiterrorismo, incitamento all’odio e immigrazione», nonché verifiche, campagne di propaganda, indagini e umiliazioni pubbliche. Prende consapevolmente a modello la Brown Scare antifascista degli anni Trenta, le cui tattiche e strumenti non erano solo il prototipo, ma si sono evoluti direttamente negli stessi usati contro la sinistra durante la Red Scare di Joe McCarthy degli anni Cinquanta, incluso il famigerato House Un-American Activities Committee.
Secondo il documento, gli obiettivi e i risultati sperati di questa campagna sono gli stessi emersi da quel vergognoso episodio storico, così come dalla precedente Red Scare degli anni Venti, tra cui: scuole epurate sia dagli insegnanti che dal materiale con cui il popolo di Trump non è ideologicamente d’accordo; procedimenti giudiziari e incarcerazioni; stranieri ideologicamente indesiderati deportati o spinti a lasciare «volontariamente» il paese; e una caccia alle streghe che intimorirà i simpatizzanti inducendoli a tagliare i ponti con la sinistra, a denunciarla e a marginalizzarla.
In altre parole, il piano dei trumpiani è un cocktail innaturale della «guerra al terrore» di questo secolo e della paura rossa del secolo scorso; ed è , apertamente, un piano che prende di mira l’intera sinistra, non solo i sostenitori della campagna contro la guerra.
La «cabala attiva di odiatori di ebrei» afferma il riassunto esecutivo del Progetto Esther, è «allineata con il movimento progressista di estrema sinistra», che ha una «forte vena di antisemitismo che sta dilagando». Il Progetto Esther individua quello che chiama «Hamas Caucus» (considera Bernie Sanders, la Squad e un certo numero di altri eletti di sinistra come parte di questa «cabala«» in servizio a Washington, che deve essere «emarginata») come uno dei diciannove obiettivi principali che porteranno al successo del progetto.
Non è l’unico segnale di un’imminente ondata di repressione maccartista. È noto da tempo che la galassia trumpiana intende appellarsi all’Insurrection Act per schierare l’esercito sul suolo statunitense contro i manifestanti. Una delle figure dietro questi piani, l’ex ministro Russ Vought, che attualmente dirige un think tank pro-Trump e si dice sia in lizza per la carica di capo dello staff di Trump, ha affermato che stanno già scrivendo ordini esecutivi e regolamenti a tal fine e predisponendo motivazioni legali, in modo che l’amministrazione sia «in grado di sedare le rivolte e non che la comunità legale o la comunità della difesa» annullino questa violenza statale tramite azioni legali. Secondo ProPublica, che ha pubblicato i discorsi di Vought sull’argomento, ha puntato il dito contro le proteste per l’assassinio di George Floyd del 2020 come un esempio del genere di cose per cui una futura amministrazione Trump schiererebbe le truppe, e ha parlato della necessità di fermare «le fasi finali di una completa presa di potere marxista» in cui il paese si troverebbe.
Anche l’alleato di Trump e leader della maggioranza repubblicana alla Camera Steve Scalise è stato di recente visto in un video in cui delinea alla lobby pro-Israele Aipac i suoi piani per indurre la repressione del discorso pro-palestinese nel campus minacciando di ritirare miliardi di dollari di finanziamenti dalle università d’élite. Ha anche avvertito che l’iniziativa, che sarebbe coordinata con una futura Casa Bianca di Trump, comporterebbe il ritiro dell’accreditamento delle scuole indagate per presunte violazioni dei diritti civili. «Non lo fare più, altrimenti non sei più una scuola», ha minacciato.
Trump fa sul serio
Non si tratta solo di idee eccentriche e oscure che una manciata di persone di Trump considera un programma ma che non verrebbero mai realizzate. Sia Trump che il suo compagno di corsa, JD Vance, hanno parlato pubblicamente di «attaccare aggressivamente» le università e «liberarle» da «maniaci e lunatici marxisti», il che rende difficile sostenere che il Progetto Esther o le minacce di Scalise non abbiano il sostegno in cima alla lista.
Più in generale, distruggere la sinistra è un’idea fondante per Trump e molti dei suoi sostenitori almeno dal 2020, quando disse tra gli applausi bipartisan che «l’America non sarà mai un paese socialista» e ammise privatamente che il socialismo «potrebbe non essere così facile» da battere in un’elezione. Mentre Trump ha iniziato la sua carriera politica attaccando gli immigrati, la Cina e i cattivi accordi commerciali, la retorica antisocialista è diventata sempre più centrale nel suo messaggio e in quello dei suoi alleati negli ultimi cinque anni, con l’ex presidente che ha affermato in un discorso l’anno scorso che l’America era nel mezzo della «battaglia finale» e che «alla fine, o i comunisti distruggono l’America, o noi distruggiamo i comunisti».
Importanti sostenitori di Trump hanno scritto libri che chiedono apertamente una repressione statale della sinistra. Vance e altri nell’orbita di Trump ne hanno endorsato uno che definisce i sinistrorsi «non umani» e suggerisce di condurre campagne violente per annientarli, indicando come modelli dittatori brutali come Augusto Pinochet e il letterale fascista Francisco Franco.
Lo stesso Trump ha ripetutamente giurato di mantenere fede a queste parole, promettendo a un gruppo di ricchi donatori che avrebbe «fatto tornare indietro quel movimento di venticinque o trent’anni» se rieletto, riferendosi alle proteste nei campus contro il genocidio di Israele e definendole parte di una «rivoluzione radicale» che avrebbe sconfitto. Tornate a leggere le affermazioni autoritarie di Trump che catturano i titoli e su cui la stampa mainstream ha trascorso l’ultimo anno a lanciare l’allarme: non si riferiscono solo ai legislatori democratici e alle celebrità liberal, spesso sono esplicitamente dirette agli attivisti di sinistra.
«Vi promettiamo che sradicheremo i comunisti, i marxisti, i fascisti e i teppisti della sinistra radicale che vivono come parassiti entro i confini del nostro paese, che mentono, rubano e imbrogliano alle elezioni», ha detto Trump lo scorso Veterans Day.
Quando Trump parla del «nemico interno», a volte dice di riferirsi ai legislatori democratici e alla stampa. Ma ha anche chiarito che intende quei «lunatici della sinistra radicale» contro cui pensa che l’esercito dovrebbe essere schierato, o «i marxisti, i comunisti». Infatti, al suo comizio al Madison Square Garden di lunedì scorso, ha detto chiaramente che vede il Partito democratico semplicemente come la parte di facciata del vero nemico.
«Ci stiamo candidando contro qualcosa di molto più grande di Joe e Kamala, e molto più potente di loro – ha detto – Si tratta di un sistema radicale di sinistra enorme, feroce e criminale che gestisce l’attuale Partito democratico. Sono solo dei contenitori. In effetti, sono dei contenitori perfetti, perché non gli renderanno mai la vita difficile, faranno tutto quello che vogliono… È solo questo gruppo amorfo».
Alcuni liquidano la cosa dicendo che Trump non ha fatto nulla di tutto ciò nel suo primo mandato. Ma molti leader autoritari non prendono immediatamente il potere assoluto, lo fanno gradualmente nel giro di qualche anno, in base alle esigenze di mantenere la presa sul potere. È certamente il caso dell’uomo forte ungherese Viktor Orbán, il modello di leadership dei trumpisti, che ha perso la rielezione dopo il suo primo mandato e ha iniziato a centralizzare il potere solo al suo ritorno in carica otto anni dopo. Tendono a farlo anche quando spariscono i vincoli, come accadrà per Trump, che si è impegnato a garantire che questa volta le poche voci di moderazione nella sua prima presidenza non saranno lì a trattenerlo.
Non bisogna scordare anche il fatto che sotto l’ultimo mandato di Trump c’è stata un’allarmante ondata di autoritarismo, quando la polizia militarizzata e gli agenti della Homeland security hanno attaccato i manifestanti, li hanno sequestrati per strada a bordo di furgoni senza targhe e ne hanno persino giustiziato sommariamente uno.
La sinistra probabilmente non potrà contare sullo stesso tipo di resistenza liberal istituzionale e generalizzata a Trump nel suo secondo mandato. I liberal ultraricchi di fronte alle sue minacce si stanno ritirando dalla rumorosa opposizione che ha avuto così tanto prestigio sociale e culturale dopo il 2016. E un anno fa, i funzionari liberal hanno attuato un’autocensura preventiva per paura di un’eventuale presidenza Trump.
L’attacco pianificato da Trump al movimento pro-palestinese e ai progressisti otterrà probabilmente un sostegno cruciale dai democratici di destra al Congresso che hanno un rapporto antagonistico con la sinistra e si sono schierati con i repubblicani nell’ultimo anno a sostegno del genocidio israeliano a Gaza. Il leader democratico del Senato Chuck Schumer promette di approvare una legge sull’«antisemitismo» che fa rabbrividire i discorsi del periodo di anatra zoppa dopo le elezioni, il che sarebbe una manna per i piani maccartisti di Trump. I gruppi finanziati dalle aziende che hanno influenza all’interno del Partito democratico come Third Way cercano da tempo l’opportunità di epurare dal partito l’ala progressista e socialista.
Non è chiaro se la stampa liberal dell’establishment, che ha avuto un ruolo chiave nel demonizzare i manifestanti pro-palestinesi e legittimare la violenza della polizia contro di loro, si farà avanti. Basta guardare la discussione recente tra Vance e Jake Tapper della Cnn sulla minaccia di Trump di scatenare l’esercito contro quello che ha definito «il nemico interno»: quando Vance ha protestato dicendo che Trump stava semplicemente parlando di «lunatici di estrema sinistra» e «rivoltosi» – intendendo, nel linguaggio che le élite di entrambi i partiti usano ora, i manifestanti per George Floyd e altri dimostranti – Tapper ha ignorato questa affermazione palesemente allarmante e invece ha ripetutamente incalzato Vance sul fatto che Trump stesse effettivamente parlando di membri democratici del Congresso come Nancy Pelosi e Adam Schiff. La domanda è se Tapper sarebbe a suo agio se Trump schierasse l’esercito solo contro manifestanti impotenti invece che contro potenti funzionari democratici.
Sta già accadendo
Se ancora non siete convinti del fatto che Trump e i suoi alleati facciano sul serio, considerate il fatto che abbiamo già visto i repubblicani mettere in atto questo programma su scala più ridotta.
C’è stata, ad esempio, la campagna dell’anno scorso da parte di funzionari repubblicani ultraconservatori a livello statale per indebolire l’American Library Association (Ala) per la sua elezione alla presidenza di Emily Drabinski , autodefinitasi «lesbica marxista». A causa dell’isteria secolare da Red Scare e del panico per i gay adescatori della destra dell’era Biden, la controversia ha visto i Freedom Caucus statali lavorare, uno dopo l’altro, per ritirare le biblioteche statali dall’Ala a causa delle convinzioni politiche e dell’orientamento sessuale di Drabinski.
L’episodio è un esempio di come la repressione pianificata dai trumpisti avrebbe funzionato in pratica. L’obiettivo non era necessariamente quello di distruggere l’Ala, ma, come con le minacce di Scalise contro le università, di intimidirla e incentivarla a tagliare i legami e portare avanti la repressione delle voci di sinistra e di altre voci indesiderate. Sfortunatamente, i diritti costituzionali di Drabinski non hanno sempre ottenuto una difesa a piena voce dai liberal, che hanno risposto più con un atteggiamento difensivo.
Nel frattempo, l’Indiana ha visto diverse proposte approvate dalla sua legislatura statale controllata dai repubblicani e trasformate in legge quest’anno, che sembrano anticipare a livello statale del Progetto Esther. Probabilmente la più allarmante è la Sea 202, scritta e promossa dai esponenti conservatori del Gop e duramente osteggiata dalle organizzazioni di facoltà universitarie, con l’obiettivo di punire i professori per discorsi con cui i conservatori non sono d’accordo.
Parte del disegno di legge è una misura di ritiro della cattedra, come è successo in stati a maggioranza repubblicana, che impedisce ai docenti di ottenere promozioni o la cattedra se insistono sulle opinioni politiche dei loro studenti che non hanno a che fare con la disciplina che insegnano o non riescono a promuovere la «libera espressione» e la «diversità intellettuale», costringendo i docenti titolari a essere sottoposti a verifica e, se opportuno, sanzionati ogni cinque anni.
L’altra parte riguarda quello che Benjamin Balthaser, professore associato presso l’Università dell’Indiana a South Bend, chiama «un sistema di spionaggio» che consente a studenti, colleghi e personale ad accusare i professori di violare queste regole e che consente alla commissione per l’istruzione superiore nominata dal governatore dello Stato di intervistare gli studenti per sapere se il loro college incoraggia «l’espressione di opinioni e ideologie diverse».
Il disegno di legge, che è già stato contestato in tribunale dall’Aclu statale, si è fatto strada attraverso la legislatura contemporaneamente a un testo separato che avrebbe bandito l’antisemitismo dal sistema di istruzione pubblica dell’Indiana adottando una definizione controversa e troppo larga del termine che include le critiche a Israele. Quel disegno di legge è stato posto sotto veto, non a causa delle obiezioni dei sostenitori della libertà di parola, ma perché nel processo legislativo, i suoi sostenitori non hanno ritenuto che la formula finale fosse abbastanza ampia, ma il fatto che i due disegni di legge siano stati approvati più o meno simultaneamente è inquietante per i critici della guerra di Israele, dal momento che li metteva nello stesso calderone. «Potrebbe essere a un certo livello un esercizio di controllo delle caselle che non porta a nulla, oppure potrebbe essere potenziato e trasformarsi in una gigantesca purga – afferma Balthaser -Tutti gli strumenti per una purga ci sono, ma se Trump vince, saranno potenziato».
Ciò si aggiunge a tutte le altre misure agghiaccianti che abbiamo visto da stati profondamente repubblicani come la Florida, come la legislazione «anti-sommossa» che in realtà mira a limitare drasticamente il diritto di protestare e il divieto di accesso al campus agli Students for Justice in Palestine. C’è chiaramente un desiderio tra le élite repubblicane di lanciare una repressione delle opinioni politiche e degli attivisti che non gli piacciono, che un secondo mandato di Trump scatenerà completamente.
Una minaccia incombente
Otto anni di retorica contro Trump come autoritario e fascista hanno, a questo punto, reso insensibili molte persone a questo genere di accuse, persino a sinistra. Ma è molto chiaro che, qualunque etichetta si voglia attribuirgli, Trump e i suoi alleati stanno pianificando un assalto concertato come non si vedeva da decenni al movimento per la giustizia per la Palestina sia alla sinistra più ampia. Ed è più che probabile che non solo questa campagna avrà ampia libertà di manovra, ma anche che probabilmente otterrà un sostegno cruciale dagli altri due rami del potere, compresi gli alleati repubblicani e i democratici di destra al Congresso.
Una presidenza Harris avrà senza dubbio i suoi costi, date la campagna per le imprese e centrista che ha condotto, la coalizione conservatrice che sta assemblando e le lezioni terribili e sbagliate che il Partito democratico imparerà dal vincere un’elezione dopo aver compiuto un genocidio e aver escluso gli oppositori progressisti di quel crimine. Ma un secondo mandato di Trump non darà alcun vantaggio alla sinistra, portando invece, nella migliore delle ipotesi, a quattro anni che dovranno essere deviati su battaglie difensive e, nella peggiore delle ipotesi, a un’ondata di repressione governativa che indebolisce e forse distrugge sia il movimento filo-palestinese che la sinistra.
*Branko Marcetic è redattore di JacobinMag, dal quale è tratto questo testo. Ha scritto Yesterday’s Man: The Case Against Joe Biden. La traduzione è a cura della redazione.
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