Un grande del Novecento
Dalla Resistenza al nazifascismo all'analisi del tardo capitalismo, passando per le lotte operaie e la fiammata del 1968: Ernest Mandel ha ancora molto da insegnarci
Il 5 aprile del 1923, cento anni fa, nasceva l’intellettuale e attivista socialista belga Ernest Mandel. Mandel fu un instancabile militante e studioso che scrisse alcune delle opere più significative della teoria marxista nella seconda metà del ventesimo secolo.
Mandel è forse meglio ricordato oggi per il suo libro Late Capitalism, che rese popolare un termine ormai divenuto familiare. Il critico Fredric Jameson ha attinto pesantemente agli scritti economici di Mandel nella sua teorizzazione del postmodernismo, e il «tardo capitalismo» è diventato un cliché giornalistico per l’analisi culturale.
Lo stesso Mandel, che ha scritto anche una storia sociale del romanzo poliziesco, avrebbe potuto sorridere a questa curiosa appropriazione del suo lavoro. Ma il suo obiettivo principale era sfidare le strutture di potere del capitalismo piuttosto che analizzarne gli effetti culturali.
Rimase fedele a quell’obiettivo dalla sua adolescenza da combattente della Resistenza sopravvissuto al sistema carcerario nazista fino ai suoi ultimi giorni nel deserto neoliberista degli anni Novanta. La vita politica e l’opera di Mandel possono essere un’importante fonte di ispirazione per il movimento socialista dei nostri tempi.
Resistere al nazismo
Mandel nacque da una famiglia di ebrei polacchi assimilati di origine tedesca nella città belga di Anversa. Suo padre, Henri Mandel, aveva simpatie di sinistra, in particolare per le idee di Lev Trotsky. Durante gli anni Trenta, dopo che i nazisti presero il potere in Germania, casa Mandel divenne un luogo di incontro per i profughi di sinistra. Ascoltando questi rifugiati discutere di socialismo, degli ultimi sviluppi nell’Unione sovietica e dell’ascesa del fascismo, il giovane Ernest ricevette una prima introduzione alla politica radicale.
Nel maggio 1940, la guerra arrivò in Belgio e la Germania nazista invase il paese. Gran parte della sinistra consolidata non fu in grado di reagire alla nuova situazione. Molti leader del partito laburista belga socialdemocratico e dei sindacati lasciarono il paese, mentre l’ex leader del partito laburista Hendrik de Man chiese di collaborare con gli occupanti.
Il patto di non aggressione sovietico-tedesco era ancora in vigore, e i comunisti belgi proclamarono una posizione di «pura e completa neutralità». Settimane dopo l’inizio dell’invasione nazista, un assassino che lavorava su ordine sovietico uccise Trotsky nel suo esilio messicano.
In mezzo a questo caos, un gruppo di persone di sinistra indipendenti decise di pubblicare il primo giornale clandestino in lingua fiamminga, prodotto a casa Mandel. Ernest e suo padre scrissero molti degli articoli sul giornale. Nell’agosto del 1942 Ernest entrò in clandestinità. Alla fine di quell’anno fu arrestato ma riuscì a fuggire durante un trasferimento.
Secondo il suo biografo Jan Willem Stutje, il padre Henri Mandel pagò un riscatto per il rilascio di suo figlio. Il «volo audace» di Ernest potrebbe essere stato «messo in scena da agenti ansiosi di evitare di essere messi sotto accusa». Secondo Stutje, la fuga di Mandel lo lasciò con un senso di colpa.
Imperterrito, Mandel continuò le sue attività di resistenza. A questo punto, era diventato un membro del Partito comunista rivoluzionario Trotskista (Rcp). All’inizio del 1944, l’Rcp pubblicò un opuscolo bilingue sui contatti tra corporazioni tedesche e statunitensi che si rivolgeva direttamente ai soldati tedeschi: «Venite sacrificati come carne da cannone mentre i vostri padroni negoziano per salvare i loro possedimenti». Il 28 marzo 1944, mentre distribuiva l’opuscolo, Mandel fu nuovamente arrestato.
Essendo stato arrestato per la sua attività di resistenza piuttosto che perché ebreo, Mandel fu mandato in diverse prigioni e campi di lavoro, a un certo punto fu costretto a lavorare in una fabbrica chimica della Ig-Farben. Come membro della Resistenza, ebreo e trotskista disprezzato dai suoi compagni di prigionia stalinisti, le sue possibilità di sopravvivenza erano scarse.
Mandel in seguito avrebbe ricordato che la fortuna fu una delle ragioni per cui riuscì a cavarsela. Ma ha anche raccontato della sua capacità di stabilire legami con alcuni dei carcerieri tedeschi che erano stati sostenitori del partito socialdemocratico prima che i nazisti prendessero il potere: «Era la cosa intelligente da fare, anche dal punto di vista dell’autoconservazione». Le dure condizioni hanno avuto il loro pedaggio e Mandel venne ricoverato in ospedale all’inizio del 1945. Il 25 marzo 1945, le forze statunitensi liberarono il campo in cui era detenuto.
Il trotskismo dopo Trotsky
Sebbene i membri diretti della famiglia di Mandel sopravvissero alla guerra, sua nonna, sua zia e suo zio furono tutti uccisi ad Auschwitz, insieme alle loro famiglie. Henri Mandel sognava una carriera accademica per suo figlio, ma Ernest aveva altre priorità. Voleva continuare la lotta contro il capitalismo, il sistema che aveva prodotto gli orrori del nazismo e della guerra. Per tutta la vita l’esperienza del fascismo rimase per Mandel un punto di riferimento politico e morale.
Lev Trotsky e i suoi sostenitori avevano fondato la Quarta Internazionale nel 1938. Trotsky si aspettava che la prova della guerra imminente avrebbe screditato i partiti comunisti stalinisti e sperava che la Quarta si sarebbe trasformata in un’alternativa. Tuttavia, l’importante ruolo dell’Unione sovietica nella sconfitta della Germania nazista e la partecipazione dei comunisti ai movimenti di resistenza europei portarono a quei partiti un prestigio e una popolarità senza precedenti, lasciando ai loro rivali dell’ala radicale del movimento operaio limitate opportunità di crescita.
Intanto la guerra e la repressione avevano decimato i piccoli gruppi associati alla Quarta internazionale. Mandel sentiva che era suo dovere aiutare a costruire il movimento trotskista e ne divenne un attivista di primo piano. In parte, era spinto dal ricordo di compagni che i nazisti avevano ucciso, come il suo caro amico Abram Leon, autore di un importante studio sulla storia ebraica e l’antisemitismo.
Come molti pensatori radicali, Mandel pensava che la guerra sarebbe stata il preludio di un’ondata di rivoluzioni in Europa, come era avvenuto con la Prima guerra mondiale. Il programma elaborato da Trotsky nel 1938 affermava che il capitalismo si era arenato:
Le forze produttive dell’umanità ristagnano. Ormai nuove invenzioni e miglioramenti non riescono ad aumentare il livello della ricchezza materiale. Le crisi congiunturali nelle condizioni della crisi sociale dell’intero sistema capitalista infliggono privazioni e sofferenze sempre più pesanti alle masse.
A poco a poco, Mandel arrivò a riconoscere che il sistema non solo avrebbe continuato a funzionare, ma sarebbe stato anche in grado di evolvere ulteriormente, entrando in un lungo periodo di crescita economica dopo il 1945. In queste condizioni, aderì al Partito socialista belga, mantenendo segreta la sua identità trotskista, e contribuì a fondare il settimanale La Gauche, giornale che divenne influente sulla sinistra socialista in Belgio.
In questo periodo, Mandel si affermò come teorico e leader socialista. Nel 1962 pubblicò la sua prima opera importante, Teoria economica marxista. Il libro forniva una presentazione sistematica, tentando di dimostrare che si sarebbe potuto «ricostituire l’intero sistema economico di Karl Marx» attingendo «ai dati scientifici della scienza contemporanea».
Nell’introduzione al libro, Mandel descriveva il suo approccio come «genetico-evolutivo», intendendo con ciò che era impegnato nello studio dell’origine e dell’evoluzione dell’oggetto di studio. La «teoria economica marxista», scriveva, dovrebbe essere considerata come «la sommatoria di un metodo, dei risultati ottenuti utilizzando questo metodo e dei risultati che sono continuamente soggetti a riesame». La combinazione di storia e teoria, che provava continuamente a integrare nuove scoperte, sarebbe divenuta caratteristica del lavoro di Mandel.
Riforme strutturali e strategia socialista
Mentre lavorava a Marxist Economic Theory, un libro di quasi ottocento pagine, Mandel sviluppò una strategia di «riforme strutturali anticapitaliste» nel circolo attorno a La Gauche. Con queste intendeva riforme che non avrebbero introdotto il socialismo in sé, ma avrebbero comunque rappresentato dei passi verso di esso e «avrebbero dato alla classe operaia la capacità di indebolire decisamente il grande capitale».
Per Mandel, le possibili riforme strutturali anticapitaliste in Belgio includevano l’organizzazione di un ufficio di pianificazione che garantisse la piena occupazione, il controllo pubblico sulle grandi società e la nazionalizzazione del settore energetico. Sottolineò che le riforme economiche non possono essere separate dalla questione del potere politico.
Mandel stava tentando di formulare una strategia socialista che potesse essere adatta a un paese capitalista altamente sviluppato come il Belgio. Una fonte di ispirazione per questo sforzo fu lo sciopero generale belga dell’inverno 1960 contro alcune riforme proposte dal governo di destra. Lo sciopero, durato diverse settimane, coinvolse centinaia di migliaia di lavoratori. Gli scioperi francesi e le occupazioni delle fabbriche del giugno 1936, dopo l’ascesa al potere del Fronte popolare di sinistra, furono un altro esempio citato da Mandel.
Durante il periodo di crescita economica del dopoguerra, le condizioni di vita erano migliorate per molti, ma lotte come lo sciopero generale belga dimostrarono che lo sviluppo capitalista non aveva pacificato completamente la classe operaia. Per Mandel, le armi più potenti dei lavoratori nella lotta contro il capitalismo erano l’organizzazione, la formazione politica e la consapevolezza del loro essenziale ruolo economico.
Capì che le lotte dei lavoratori e delle lavoratrici non ruotavano semplicemente attorno alle condizioni economiche, erano guidate anche dalla resistenza a pratiche di lavoro alienanti e oppressive. Anche i lavoratori relativamente benestanti sperimentavano l’alienazione e il dominio sul posto di lavoro. In un bilancio dello sciopero del 1960, Mandel scrisse che la lotta della classe operaia contro il capitalismo «differisce dalle lotte sociali del passato in quanto non è solo una lotta per interessi essenziali e immediati». Quella lotta poteva diventare una «lotta consapevole per cambiare la società».
Per Mandel lo sciopero belga era un’occasione persa perché non c’era stata alcuna leadership politica a proporre questo cambiamento. Perché avvenisse un cambiamento rivoluzionario, era necessario estendere la lotta per le riforme economiche alla questione del potere politico.
Per Mandel, la lotta poteva essere vittoriosa se «l’avversario veniva affrontato non solo nelle fabbriche ma anche nelle strade». La storia aveva mostrato, insisteva, la necessità di istituire un partito rivoluzionario che «spiegasse instancabilmente» ai lavoratori e alle lavoratrici che era necessario impadronirsi del potere economico oltre che politico per raggiungere i propri obiettivi.
Dinamiche del tardo capitalismo
Durante gli anni Sessanta, Mandel sviluppò la sua comprensione di come funzionava il capitalismo un secolo dopo che Marx aveva pubblicato Il capitale. Inizialmente adoperò il termine «neo-capitalismo», prima di «tardo capitalismo». Il libro del 1972 con quel titolo è l’opus magnum di Mandel.
In Late Capitalism, tentava di «fornire una spiegazione marxista delle cause della lunga ondata di rapida crescita del dopoguerra». Secondo Mandel, questo periodo di crescita aveva anche «limiti intrinseci» che avrebbero causato «un’altra lunga ondata di crescente crisi sociale ed economica per il capitalismo mondiale, caratterizzata da un tasso di crescita complessivo di gran lunga inferiore». Aveva predetto correttamente la fine del boom del dopoguerra a metà degli anni Settanta.
Mandel considerava l’aumento dei tassi di innovazione tecnologica una delle caratteristiche del tardo capitalismo. Ciò accorciava la durata del capitale fisso e comportava la maggiore necessità per le grandi imprese di impegnarsi nella pianificazione. Ci fu anche un intervento del governo nell’economia su una scala senza precedenti per evitare crolli come quello di Wall Street del 1929. Come osservò Mandel nel 1964: «Lo Stato ora garantisce, direttamente e indirettamente, il profitto privato in modi che vanno dai sussidi nascosti alla ‘nazionalizzazione delle perdite’».
Tuttavia, ogni tentativo del capitalismo di superare le sue contraddizioni gli presentava nuovi problemi. Sostenute dai governi, le banche concedevano credito a buon mercato alle società, consentendo una rapida crescita ma anche portando all’inflazione. Tale inflazione danneggiava i principali investimenti a lungo termine che erano fondamentali per la concorrenza tra le grandi imprese ad alta intensità di capitale. A loro volta, i tentativi di combattere l’inflazione creavano problemi specifici, limitando la crescita economica. L’intervento dello Stato nell’economia poteva essere utile per evitare crisi catastrofiche e garantire profitti. Ma chiariva a tutti che «l’economia» non era un dato naturale.
Orizzonti rivoluzionari
Mandel scommise sulla possibilità di un cambiamento rivoluzionario derivante da tali contraddizioni. Esplosioni come lo sciopero generale belga e la crisi greca dell’Apostasia del 1965 gli presentarono un classico dilemma marxista. Se fosse vero, come aveva insistito Marx, che «l’ideologia dominante di ogni società è l’ideologia della classe dominante», allora la classe operaia come poteva liberarsi?
Mandel riconobbe che il dominio dell’ideologia della classe dirigente aveva radici più profonde della «manipolazione ideologica» attraverso i mass media, il sistema scolastico, ecc. Questo dominio traeva forza dal funzionamento quotidiano del capitalismo in cui i lavoratori erano costretti a competere tra loro e dovevano dipendere dalla vendita della loro forza lavoro.
Tuttavia, le inevitabili contraddizioni e crisi del capitalismo risultanti dalla concorrenza tra i monopoli dominanti portavano anche a crepe nel consenso dominante. La questione centrale era andare oltre le esplosioni di malcontento che erano il risultato inevitabile della turbolenza economica. Per passare dalle lotte difensive contro gli attacchi alle condizioni di vita e ai salari alle rivendicazioni per il potere dei lavoratori era necessario un «salto consapevole».
In un testo influente sulla necessità di un’organizzazione socialista, Mandel sviluppò le sue idee su ciò che avrebbe reso possibile un tale salto. Distinse tre gruppi: la massa della classe operaia; un’avanguardia di quella classe composta da lavoratori attivisti; e i membri delle organizzazioni rivoluzionarie. La terza categoria si sovrapponeva parzialmente alla seconda.
Nel quadro di Mandel, l’«avanguardia» non era un’élite autoproclamata, ma piuttosto era fatta dalle e dagli attivisti più impegnati ed energici della classe operaia. Costruire un movimento rivoluzionario significava convincere questi lavoratori attivisti alle idee socialiste. Ciò avrebbe dato loro l’organizzazione e impedito il loro ritiro dall’attivismo politico durante l’inevitabile riflusso delle lotte sociali a breve termine.
Un cambiamento radicale sarebbe stato possibile solo durante ondate di disordini, quando le contraddizioni del capitalismo generano rabbia e proteste di massa. Durante tali periodi, un partito rivoluzionario doveva provare a coinvolgere gruppi sempre più ampi di persone nell’azione politica e proporre rivendicazioni anticapitaliste.
Mandel vedeva la rivoluzione come un processo di interazione tra azione organizzata e movimenti spontanei in cui i lavoratori e le lavoratrici si sarebbero inevitabilmente organizzati in gruppi diversi. Ciò superava una divisione stereotipata tra organizzazione e spontaneità che era rispettivamente associata alle figure di Vladimir Lenin e Rosa Luxemburg nella sinistra marxista. Quasi scherzando, Mandel si definì «un leninista con deviazioni luxemburghesi».
Un ponte tra le generazioni
Gli anni Sessanta e i primi anni Settanta furono tempi turbolenti durante i quali Mandel fu straordinariamente produttivo, come se fosse trascinato dalla marea crescente della lotta di classe. Insieme a Late Capitalism, gli altri libri che pubblicò in quegli anni includevano uno studio delle contraddizioni tra il capitalismo statunitense ed europeo, un testo accademico su La formazione del pensiero economico di Karl Marx, una critica alla tendenza eurocomunista tra i partiti comunisti dell’Europa occidentale, e un esame dei cicli di espansione e recessione nella storia del capitalismo, Long Waves of Capitalist Development. Nel corso della sua vita, Mandel pubblicò oltre due dozzine di libri e centinaia di articoli.
Allo stesso tempo, era un instancabile militante e conferenziere. Nel 1964 fu invitato a Cuba per partecipare ai dibattiti sulla pianificazione socialista. Che Guevara aveva letto con grande interesse la Teoria economica marxista e aveva avuto ampie discussioni con Mandel.
Da parte sua, Mandel rimase molto colpito dal leader rivoluzionario argentino. Quando l’esercito boliviano catturò e giustiziò sommariamente Guevara nel 1967 mentre cercava di lanciare una campagna di guerriglia, Mandel pubblicò un appassionato tributo a «un grande amico, un compagno esemplare, un eroico militante».
Per i governi degli stati capitalisti Mandel era una presenza sgradita sul loro territorio. Nel 1969, le autorità statunitensi gli negarono l’ingresso in un caso che la maggioranza conservatrice della Corte Suprema in seguito citò come precedente per giustificare il «divieto ai musulmani» di Donald Trump. Pochi anni dopo, il governo della Germania Ovest intervenne per bloccare la nomina di Mandel alla Freie Universität Berlin e lo fece espellere dal paese.
Anche la Francia ha bandito Mandel dal suo suolo. Nel maggio 1968 fu invitato a parlare alle riunioni della Gioventù Comunista Rivoluzionaria (Jcr), un gruppo radicale che si era mosso verso la Quarta internazionale. La Jcr era stata fortemente coinvolta nelle rivolte e nelle proteste del maggio ’68.
In quella che doveva essere un’opportunità per impegnarsi in qualche attività pratica, Mandel aiutò a costruire barricate nel Quartiere Latino di Parigi durante la «notte delle barricate». L’auto con cui era andato a Parigi venne distrutta durante gli scontri di strada. Un giornalista sentì Mandel esclamare «Che bello! È la rivoluzione!».
Per la nuova generazione di rivoluzionari, Mandel era un legame con la storia e l’esperienza rivoluzionaria. Daniel Bensaïd, uno dei leader della Jcr, ricordava come Mandel li ha aiutati a scoprire «un marxismo aperto, cosmopolita e militante». Per questi giovani radicali, secondo Bensaïd, Mandel era «un tutor in teoria» e un ponte tra le generazioni: qualcuno che faceva pensare le persone, piuttosto che pensare al loro posto.
Mandel aveva forti capacità pedagogiche, messe a punto nel corso di innumerevoli incontri con lavoratori, sindacalisti, studenti e attivisti rivoluzionari. Il suo opuscolo del 1967, Introduzione alla teoria economica marxista, divenne un classico ampiamente letto.
Socialismo o barbarie
C’è qualcosa di tragico nel fatto che Mandel, che aveva lottato così duramente per il cambiamento socialista, sia morto nel 1995, quando l’egemonia neoliberista era al suo apice. Mandel ebbe difficoltà ad adattarsi al declino delle lotte sociali dalla fine degli anni Settanta in poi.
Guardando indietro nel nuovo secolo a una popolare introduzione al marxismo che Mandel aveva pubblicato nel 1974, Bensaïd sosteneva che la sua analisi politica ottimistica sulle prospettive del socialismo si basava sulla «fiducia sociologica nella crescente estensione, omogeneità e maturità del proletariato». Secondo Bensaïd, questa fiducia «ha trasformato in una tendenza storica irreversibile la situazione specifica creata dal capitalismo industriale del dopoguerra e il suo specifico modo di regolazione». Eppure l’offensiva neoliberista degli anni Ottanta aveva invertito questo processo, minando le forze del lavoro organizzato:
Lungi dall’essere irreversibile, la tendenza all’omogeneizzazione è stata minata dalle politiche di dispersione delle unità di lavoro, dall’intensificazione della concorrenza sul mercato del lavoro mondiale, dall’individualizzazione dei salari e dell’orario di lavoro, dalla privatizzazione del tempo libero e degli stili di vita, dalla demolizione sistematica della solidarietà sociale e della protezione . In altre parole, lungi dall’essere una conseguenza meccanica dello sviluppo capitalistico, la mobilitazione delle forze di resistenza e di sovversione dell’ordine stabilito dal capitale è un lavoro incessante, ripreso nelle lotte quotidiane, e i cui risultati non sono mai definitivi.
Più avanti nella sua vita, l’esuberante ottimismo di Mandel fu bilanciato dagli allarmi per gli effetti a lungo termine del capitalismo. La scelta storica era tra la barbarie e il socialismo, diceva sempre, e un esito socialista non era garantito.
Durante questo periodo, Mandel tornò allo studio della barbarie capitalista espressa nella Seconda guerra mondiale e nei crimini del nazismo. Sebbene sia rimasto un ammiratore per tutta la vita di Trotsky, riprese in considerazione alcuni dei suoi precedenti giudizi, diventando più critico nei confronti delle pratiche di Trotsky durante i suoi «anni bui» nei primi anni Venti quando, secondo Mandel, «la strategia della leadership bolscevica ha ostacolato piuttosto che promosso l’autoattivazione dei lavoratori».
Mandel era orgoglioso di situarsi all’interno di quella che considerava la tradizione essenziale dell’Illuminismo: la lotta per l’emancipazione umana e l’autodeterminazione. Sebbene il termine non gli piacesse, c’era, come ha osservato Manuel Kellner, una dimensione utopica nel pensiero di Mandel. Questo era utopismo nel miglior senso della parola: fede nel fatto che la società può essere trasformata, dall’azione umana, in qualcosa di molto migliore.
La crisi del socialismo e del comunismo era agli occhi di Mandel prima di tutto una crisi di questa convinzione. «Il compito principale dei socialisti e dei comunisti – scrisse poco prima di morire – è ripristinare la credibilità del socialismo nella coscienza di milioni di persone». Definì gli obiettivi del socialismo in «termini quasi biblici»:
Eliminare la fame, vestire gli ignudi, dare una vita dignitosa a tutti, salvare la vita di coloro che muoiono per mancanza di adeguate cure mediche, generalizzare il libero accesso alla cultura compresa l’eliminazione dell’analfabetismo, universalizzare le libertà democratiche, i diritti umani ed eliminare la violenza repressiva in tutte le sue forme.
Per Mandel, la speranza in un futuro simile si basava sulla scintilla di ribellione che aveva sempre condotto la gente a rivoltarsi di fronte a condizioni oppressive e alienanti. Compito dei socialisti era alimentare quella scintilla in una fiamma sostenendo tutte queste ribellioni e offrendo una via alternativa per andare avanti.
Questo obiettivo non è cambiato. In un periodo storico diverso, l’eredità di scrittura e attivismo di Mandel può aiutarci a trovare nuove strade.
*Alex de Jong dirige la rivista Grenzeloos e attivista nei Paesi Bassi. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.