
L’eredità di Claudia Jones
Nei suoi anni di attivismo politico nel Partito comunista, Jones anticipò i caratteri fondanti del femminismo nero. Le autorità statunitensi la deportarono nel 1955, senza riuscire a cancellarne l'insegnamento
Nel corso della sua vita, Claudia Jones ha costruito forme di organizzazione nei posti in cui ha vissuto, laddove si sono incontrate molteplici lotte e forme di oppressione. Il suo attivismo ha abbracciato la lotta contro il colonialismo, le mobilitazioni per i diritti dei lavoratori (in particolare i diritti delle lavoratrici nere) e l’opposizione al razzismo sia nazionale che internazionale. Ha affermato il diritto delle donne nere a svolgere un ruolo in quelle lotte come teoriche e intellettuali.
Nata a Trinidad e Tobago nel 1915, Jones ha aderito al Partito comunista degli Stati uniti d’America (CpUsa) negli anni Trenta ed è stata l’unica donna di colore mai eletta nel suo comitato centrale. Nel 1952-53, le autorità statunitensi la processarono in quanto comunista.
È diventata prigioniera politica nel 1955 per il reato confesso di aver pronunciato un discorso intitolato «Giornata internazionale della donna e lotta per la pace» in occasione della Giornata internazionale della donna nel 1950. Dopo aver scontato dieci mesi di una condanna a un anno nel penitenziario femminile di Alderson, West Virginia, Jones venne rilasciata nell’ottobre 1955 per motivi di salute e in seguito a numerose petizioni in suo favore.
Nonostante fosse arrivata negli Stati uniti da bambina, Jones era tecnicamente ancora suddita britannica a causa delle sue origini nei Caraibi coloniali, dove la maggior parte dei paesi non raggiunse che un’indipendenza limitata negli anni Sessanta. Le era stata negata la naturalizzazione statunitense a causa della sua precoce adesione al partito comunista.
Jones fu deportata dagli Stati uniti nel dicembre 1955 e partì per la Gran Bretagna, arrivando a Londra prima della fine di quell’anno. La deportazione pose fine prematuramente al suo lavoro negli Stati uniti, ma non le impedì di proseguire l’attività politica.
Un bersaglio del maccartismo
L’attività nelle comunità della classe operaia aveva reso Jones un obiettivo per la sorveglianza da parte dell’Fbi. Prima di essere deportata era già stata imprigionata tre volte. Jones ha difeso la sua posizione politica in un discorso in aula poi pubblicato in Thirteen Communists Speak to the Court.
L’appiglio legale per imprigionare Jones proveniva dallo Smith Act del 1940 e dal McCarran-Walter Act del 1952. Questi atti legislativi consideravano un reato sostenere il rovesciamento violento del governo degli Stati uniti e obbligavano i cittadini stranieri a registrarsi presso le autorità.
C’erano due gruppi di comunisti processati in base a questi atti, con Jones che faceva parte del secondo gruppo. Nel caso Yates contro Stati uniti (1957), la Corte suprema alla fine stabilì che era incostituzionale condannare persone ai sensi dello Smith Act soltanto per le opinioni che esprimevano. Tuttavia, la demonizzazione del comunismo è rimasta profondamente radicata nella cultura politica statunitense.
Diventare comunista
Jones era entrata per la prima volta negli Stati uniti nel febbraio 1924, poco prima del suo nono compleanno, il ventuno di quel mese. Ha sperimentato direttamente gli effetti della segregazione razziale delle leggi Jim Crow e del capitalismo razziale statunitense e ha visto la condizione della sua stessa famiglia legata a quella di altri neri in difficoltà che avevano sopportato il peso maggiore del terrorismo rurale della supremazia bianca nel sud e della povertà urbana nel il Nord.
New York fu il crogiolo della sua formazione educativa e politica. La gamma della sua attività è indicata dalle varie etichette che le sono state attribuite: sostenitrice dei diritti dei neri, antimperialista, organizzatrice di comunità, giornalista, attivista per i diritti delle donne. È entrata a far parte della Lega dei giovani comunisti durante la Grande depressione dopo aver ascoltato i docenti all’angolo della strada di Harlem che esprimevano le loro analisi sui problemi che devono affrontare i neri negli Stati uniti.
Per Jones, era particolarmente importante che i portavoce del Partito Comunista fornissero le migliori argomentazioni per processi razziali come quelli degli Scottsboro Boys. Gli Scottsboro Boys erano un gruppo di nove adolescenti, di età compresa tra i tredici e i diciannove anni, accusati ingiustamente nel 1931 di aver stuprato due donne bianche nel vagone merci di un treno che viaggiava attraverso il sud degli Stati uniti.
Il Partito comunista degli Usa diede una difesa legale per questi giovani e ragazzi che hanno impedito loro di essere vittime di un linciaggio fisico o giudiziario. Jones venne quindi influenzata da giovani attivisti che avevano un’analisi materialista della natura del capitalismo statunitense.
Oltre a diventare successivamente membro del comitato centrale del CpUsa, è stata anche segretaria della commissione delle donne del partito. Le sue responsabilità in questo ruolo prevedevano anche che viaggiasse in quarantatré stati degli Usa per reclutare nuovi membri e organizzare manifestazioni per portare più donne nell’organizzazione. Il suo lavoro ha affermato il diritto delle donne di colore a essere partecipanti e leader nelle attività del Partito comunista.
La teoria sull’oppressione delle donne non bianche
Il filone di attivismo per i diritti delle donne che Jones ha portato dentro al partito ha sottolineato la necessità di incorporare le questioni di razza e genere nel quadro di classe del marxismo. Jones non era solo un’attivista: era anche una delle principali teoriche del Partito comunista. È diventata una pioniera nel teorizzare che le donne non bianche dessero il loro contributo intellettuale a pratico. Per Jones, accorpavano le tre identità che erano ancora oppresse negli Stati uniti e in altre società europee e americane: erano lavoratici, donne e non bianche.
Jones sostenne questi argomenti in diversi documenti del CpUsa e in una rubrica intitolata Half the World. Diventò il suo argomento nel giornale del partito, il Daily Worker, e in una serie di saggi pubblicati sui diritti delle donne. Il più noto di quei saggi è An End to the Neglect (1949).
An End to the Neglect fornì una meravigliosa descrizione della posizione sociale delle donne nere negli Stati uniti della metà del secolo ed è ancora rilevante per la discussione sul loro status socioeconomico oggi. È stato riconosciuto come uno dei saggi più importanti sulle donne nere di quel periodo. Jones tirò fuori i dati relativi a una serie di problemi e difficoltà economiche che si trovavano davanti (e ancora affrontano) le donne non bianche. Diede anche un contesto storico e informazioni sulla loro condizione di donne, nere e di lavoratrici. Jones concludeva il saggio sfidando la combinazione di pensiero suprematista bianco e suprematista maschile che produce l’indifferenza di fronte al trattamento delle donne nere. Suggerì che la responsabilità di affrontare questo problema spettava esclusivamente ai bianchi.
Un altro saggio del 1949 di Jones, We Seek Full Equality, delinea le sue posizioni sullo status delle donne nere in relazione ai sistemi di oppressione. Sostenne costantemente che la posizione delle donne non bianche combinava tre identità sociali attraverso le quali erano super sfruttate. Tuttavia, per Jones, l’intera popolazione avrebbe tratto beneficio se fossero stati affrontati questi problemi.
Jones ha preso la teoria classica marxista del super-sfruttamento e l’ha estesa alla condizione delle donne non bianche. La donna non bianca si trovava nella società tra i lavoratori più sfruttati e sottopagati, quelli il cui lavoro era sfruttato da altri lavoratori.
Usando l’esempio della collaboratrice domestica nera, ha dimostrato come il suo lavoro non fosse mai remunerato in modo commisurato alla sua forza lavoro o al lavoro che svolgeva dentro e fuori casa. Jones sostenne che la liberazione delle donne non bianche era possibile solo con il comunismo, il che avrebbe portato a una completa ridistribuzione delle risorse.
Eredità
Jones non si è mai definita femminista e in alcuni dei suoi saggi criticò quello che definiva «femminismo borghese». Tuttavia, ha usato il linguaggio dei diritti delle donne in diverse forme. Insieme a un certo numero di altre attiviste che si unirono al CpUsa dalla sua fondazione fino agli anni Cinquanta, sostenne un approccio innovativo alla politica volta alla liberazione dei neri, per i diritti delle donne, la decolonizzazione, la giustizia economica, la pace e la solidarietà internazionale. Insisteva sul fatto che il partito avrebbe dovuto includere le donne nei ruoli di leadership se voleva costruire un movimento di massa.
L’attenzione di Jones e delle sue compagne per le donne nere, l’effetto della guerra sulla vita delle donne e le connessioni internazionali tra le donne costituiscono il retroterra di una lotta che in seguito è caduta nell’oblio. Il movimento femminista mainstream in Europa e Nord America durante gli anni Settanta tendeva troppo spesso a operare nel quadro del femminismo borghese, cercava l’uguaglianza con gli uomini nel contesto di un sistema che rimaneva oppressivo.
La deportazione di Jones nel 1955 fu una grande perdita per gli Stati uniti ma un guadagno per il resto del mondo. Dopo essersi stabilita in Gran Bretagna, trascorse gli anni che precedettero la sua morte nel 1964 svolgendo attività di organizzazione politica e culturale. Ciò includeva il lavoro tra le crescenti comunità nere di Londra mentre gli immigrati delle colonie si trasferivano in Gran Bretagna dai Caraibi.
Durante la sua permanenza in Gran Bretagna, Jones ha creato un giornale comunitario, la West Indian Gazette e l’Afro-Asian Caribbean News, nonché il primo carnevale caraibico di Londra nel 1958. Da quest’ultimo evento ne nacquero successivamente altri, tra cui il famoso carnevale di strada all’aperto nel quartiere di Notting Hill, a ovest di Londra, che ancora oggi è un importante evento pubblico. Da allora un certo numero di organizzazioni comunitarie a Londra hanno preso il nome da Jones, sebbene sia stata in gran parte dimenticata negli Stati uniti e nei Caraibi.
Jones morì nel sonno la vigilia di Natale del 1964, a soli quarantanove anni. Dopo un funerale che attirò un numero enorme di attivisti di sinistra, è stata sepolta accanto al gigantesco busto di Karl Marx nel cimitero di Highgate a Londra. Il ricordo del suo attivismo resiste. Così come la sua teorizzazione innovativa sull’oppressione delle donne nere, che rimane ancora oggi urgente e rilevante.
*Carole Boyce-Davies è professoressa di studi e letterature africane sulla diaspora alla Cornell University. Ha scritto Left of Karl Marx: The Political Life of Black Communist Claudia Jones (Duke Universityu Press, 2008) e curato Claudia Jones: Beyond Containment (Ayebia Clarke, 2011). Questo testo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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