Blangiardo. La demografia come instrumentum regni
Il candidato alla presidenza dell'Istat è organico alla Lega e mette a rischio l’indipendenza dal governo della statistica pubblica. Si tratta di una strategia politico-culturale che ricorda il modo di gestire i dati socio-demografici degli anni Trenta
Il discorso nazionalpopulista utilizzato attualmente dalla Lega Nord ha, nonostante le apparenze, una solida e profonda base teorica. Un esempio concreto riguarda le vicende della demografia in Italia durante il ventennio fascista e il loro riverberarsi nell’Italia attuale. In questa chiave, la recente designazione di Gian Carlo Blangiardo alla presidenza dell’Istat da parte del governo Conte (che non a caso ha suscitato preoccupazione tra la comunità accademica e tra i lavoratori dell’Istat) si rivela essere non una mera operazione di sottogoverno ma l’articolazione di una strategia politico-culturale di ampio respiro, che mette a rischio l’indipendenza della statistica pubblica.
Demografia e regime fascista
L’Istat (Istituto Centrale di Statistica) fu fondato nel 1926 dal governo fascista; il suo primo presidente fu il grande statistico Corrado Gini (esponente di punta del cosiddetto “fascismo razionale”, vedi Francesco Cassata, Il fascismo razionale. Corrado Gini tra scienza e politica, Carocci, 2006) che ne mantenne la presidenza fino al 1932, quando si dimise per insanabili contrasti con Mussolini. Gli successe Franco Rodolfo Savorgnan (dal 1932 al 1943), titolare della cattedra di demografia nell’università di Roma. L’Istituto era alle dirette dipendenze del governo, situazione che si prolungò fino al 1989, quando l’Istituto si trasforma in Istituto Nazionale di Statistica e viene istituito il Sistema Statistico Nazionale (Sistan). Nella coscienza politica del Paese e nelle élite che dirigono la Repubblica si è ormai affermata la consapevolezza che l’informazione statistica ha assunto un rilievo costituzionale. La legge prescrive infatti che il candidato designato dal governo (che deve necessariamente essere un professore ordinario di discipline statistiche o economiche) debba essere approvato con maggioranza dei due terzi dalle commissioni Affari Costituzionali della Camera e del Senato, e che il decreto di nomina sia emanato dal Presidente della Repubblica. Ne deriva la sua indipendenza rispetto al Governo.
L’istituzione dell’Istat è da ascriversi alla vena modernizzatrice del fascismo, che proprio intorno a quegli anni si trasforma in nazionalfascismo, sussumendo gran parte dei contenuti politici espressi dal movimento nazionalista, manifestatisi già da prima della guerra del 15-18 sulla rivista Il Regno. Il fascismo diede grande importanza, come è ben noto, alla politica demografica, e come sostengono De Sandre e Favero (Demografia e statistica prima della Repubblica, “Popolazione e storia”, 2003, 4 (1): 19-61) la demografia assunse il ruolo di disciplina “regina” tra le scienze sociali, sia per le sue connessioni dirette sulla vita quotidiana degli italiani che per la sua centralità nell’apparato ideologico e nella politica del regime. La posizione popolazionista, pro-natalista e anti-malthusiana fu largamente condivisa dall’ambiente accademico italiano. L’allora presidente dell’Istat Savorgan fu anche tra i dieci firmatari del “Manifesto degli scienziati per la difesa della razza” che costituì uno dei pilastri ideologici della politica razzista del regime (culminata con le leggi razziste del 1938). A ben vedere, tuttavia, la politica razzista del regime origina dai rapporti con la popolazione autoctona delle colonie italiane; le leggi anti-ebraiche sono in gran parte una conseguenza dell’avvicinamento al nazionalsocialismo (ma non dobbiamo dimenticare i secoli di propaganda anti-giudaica espressa dalla chiesa cattolica, come ricordò lo stesso Farinacci). Problema della popolazione e fascismo sono strettamente intrecciati (e la demografia scientifica e accademica produsse molta “benzina” da mettere nel motore della politica fascista). Occorre poi tenere presente il riflesso culturale del tradizionalismo cattolico sulle questioni che costituiscono l’oggetto della demografia.
Le mura di Roma
Per comprendere appieno il significato della designazione di Blangiardo alla presidenza dell’Istat occorre affrontare la questione sotto un duplice punto di vista: quello dell’analisi del pensiero politico di Blangiardo che sta alla radice delle sue opere scientifiche e della sua attività come polemista e quello della continuità con il fascismo storico che caratterizza l’ala destra del cattolicesimo italiano. Va da sé che il problema non è la qualificazione culturale e scientifica di Blangiardo, quanto il fatto che nei suoi scritti si intravede l’eredità sia della tradizione reazionaria cattolica, il che spiegherebbe i suoi legami con Comunione e Liberazione, che del nazionalfascismo, da cui la sintonia con le posizioni della Lega. Vediamo a questo riguardo due temi che costituiscono i cavalli di battaglia di Blangiardo: l’immigrazione e la natalità/abortività.
È quasi scontato che in questi mesi il tema all’ordine del giorno sia quello delle migrazioni. Per estrarre il punto di vista di Blangiardo sull’argomento in questione, più che agli interventi sulla stampa, preferiamo fare riferimento alle pubblicazioni consolidate di impronta accademica. Cominciamo con l’agile libretto Immigrazione: tutto quello che dovremmo sapere (Roma, Aracne, 2016). Il lavoro è scritto in collaborazione con Giuseppe Valditara e GianAndrea Gaiani. Il primo è ordinario di Diritto Privato Romano nell’Università di Torino (è stato parlamentare per Alleanza Nazionale e ora è Direttore generale per l’Università al Miur, nominato dal ministro leghista Bussetti); il secondo è giornalista e scrive prevalentemente su problemi di carattere politico-militare. Assai interessante, e rivelatore, è il primo capitolo, “Immigrazione, una scelta culturale” (autore G. Valditara). Leggiamo (pag. 9):
Come si è detto, le città e gli Stati nascono con la costruzione di mura. Il primo atto che compie Romolo non è la costruzione di strade, templi o fognature, ma la edificazione delle mura, che sono sanctae, e dunque consacrate alla divinità. Si arriva addirittura a legittimare un fratricidio per giustificare la punizione di Remo che aveva osato oltrepassare quelle mura.
Si ha qui il richiamo alla romanità e alla mitologia, dunque irrazionalismo e anti-illuminismo con tutto quello che ne consegue. Siamo nel solco più classico della reazione europea anti-razionalista, anti-illuminista e anti rivoluzione francese (da de Maistre a Maurras). Altrettanto forte è la saldatura con le istanze cattoliche che si contrappongono a papa Bergoglio. Ancora a pag. 11:
[…] una visione cristiana che rinneghi Matteo 22.21 rischia di proporre modelli irrealistici entrando nell’agone della politica, ponendo al centro la vita terrena e i suoi problemi. Emblematico è un papa che porta in Europa dodici “migranti” islamici con un gesto di enorme valore simbolico.
Nel capitolo specificamente scritto da Blangiardo “Numeri e realtà del fenomeno migratorio”, compare di nuovo la grande paura dei demografi italiani degli anni Venti-Trenta, le culle vuote. Blangiardo contesta, sulla base dei dati Istat, che il tasso di fecondità delle donne immigrate sia in grado di “ribaltare” il declino demografico della popolazione autoctona . Il contributo degli immigrati alla natalità sarebbe quindi, secondo Blangiardo, ampiamente sopravvalutato. La fallacia del ragionamento di Blangiardo è duplice: in primis perché trascura di sottolineare che il tasso di fecondità delle donne immigrate è di circa il 40% superiore a quello delle italiane (seppur lievemente inferiore a quello di equilibrio di due figli per donna); in secondo luogo più donne equivale a più figli, anche con un tasso di fecondità uniforme tra italiane e straniere. Anche l’argomento utilizzato per ridimensionare il contributo degli immigrati al sistema nazionale di welfare, ovvero che in base al principio contabile della competenza l’eccesso di versamenti attuali sarà riequilibrato in futuro da esborsi corrispondenti. Quindi il contributo degli immigrati si limiterebbe a un mero beneficio di cassa. Questa posizione non coglie (non sappiamo se ad arte o meno) il principio fondamentale dell’economia aziendale, ovvero che i fallimenti delle aziende avvengono soprattutto per problemi di cassa. Quindi, i lavoratori immigrati alleviano sicuramente i problemi di cassa dell’Inps, e ove non maturino il diritto al trattamento della pensione, anche i problemi di competenza.
In sostanza l’ostilità degli autori verso l’immigrazione è forte, anche se non si manifesta con argomenti apertamente xenofobi o razzisti. È palese che ogni discorso umanitario o agganciato ai diritti dell’uomo è completamente assente dalle loro tesi, mentre dell’immigrazione si propone una visione utilitaristica, innestata su una robusta base nazionalistica. I contributi analitici del libro cercano quindi di dimostrare come, a ben vedere, l’immigrazione non sia così utile all’Italia, almeno assai meno utile di quanto sostengano “le sinistre”. C’è un profumo di cinismo materialista che si coglie dalle loro pagine, con accenni, più o meno forti, a una impostazione che si propone di costruire nell’opinione pubblica un “nemico del popolo”, per rubare le parole di Ibsen. L’umanità, lo human kind, è proprio ciò che manca nel discorso dei tre Autori, che rimangono appiattiti sull’orizzonte dello nazione, o, meglio, reclusi dentro il recinto delle mura che proprio essi hanno costruito.
Il discorso di Blangiardo sulla natalità e sulla fecondità è strettamente collegato a quello sull’immigrazione. A pagina 28 del libretto citato:
[…] sul fronte della potenziale “riproduttività demografica” le attuali donne straniere in età feconda metterebbero al mondo negli anni a venire (dati i livelli di fecondità attuali) un potenziale di poco meno di un milione di figli: circa un sesto del totale di nascite stimabili per il corrispondente insieme delle donne italiane.
Ci chiediamo: e allora? Dove sta il problema? Cosa c’è che non va negli immigrati di seconda generazione? Essi rappresentano a nostro giudizio sì una sfida, ma anche una splendida opportunità per costruire Die Zweite Heimat (La seconda patria), citando il titolo del bellissimo film per la Tv di Reisz, la seconda patria non ereditata dai padri, non solo almeno, ma anche costruita da noi. Forse la preoccupazione deriva dal fatto che per la maggior parte gli immigrati e i loro figli sono non caucasici (ovvero bianchi)? Oppure dal fatto che sono di religione non cattolica?
Ma gli attacchi di Blangiardo investono anche la legge 194 e più in generale quelle che chiama le politiche neo-malthusiane. Alla base di queste posizioni vi è un atteggiamento che non esitiamo a definire “organicistico”. In un’intervista al periodico Sì alla vita pubblicata il 21/10/2016 Blangiardo afferma:
Il fenomeno dei non nati sottrae al Paese risorse importanti: le motivazioni e i mezzi con cui evitare questa perdita sono svariati.
E ancora:
Abbiamo bisogno di mettere le famiglie nelle condizioni di svolgere il loro ruolo primario: la formazione del capitale umano del paese.
Sostituiamo al termine “Paese” quello di “Patria” oppure quello di “Nazione” e siamo tornati in pieno negli anni Trenta.
In sintesi, Blangiardo è un tradizionalista cattolico che ha visto nella Lega il veicolo su cui far marciare le proprie convinzioni e si è pertanto alleato con il conservatorismo radicale. La sua designazione segnala una svolta molto profonda negli assetti politico-culturali della Repubblica, ed è, in ultimo, un attacco alla cultura dell’89 (come molti altri atti del governo Conte, del resto). Blangiardo è anche organicamente legato alla Lega, il che non è un buon viatico per la sua indipendenza. Chissà, una volta nominato la sua vicenda potrebbe essere simile a quella di Corrado Gini, (che abbracciò il fascismo perché vedeva in esso il veicolo della modernizzazione autoritaria dell’Italia) e che fu liquidato dalla presidenza dell’Istat perché sostanzialmente indipendente dagli indirizzi di Mussolini.
*Ignazio Drudi e Giorgio Tassinari sono entrambi docenti ordinari al Dipartimento di Scienze Statistiche dell’Università di Bologna.
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