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Marine Le Pen, detta Giorgia
Il Rassemblement National si candida a governare la Francia rassicurando gli imprenditori e proponendo di gestire l’economia con formule reaganiane. Ma punterà su razzismo, disuguaglianze e abusi di potere. Sul modello di Meloni
Di recente, il ministro delle finanze francese Bruno Le Maire ha rivolto un appello lacrimoso all’élite imprenditoriale del paese: «Davvero, non innamoratevi dell’estrema destra». Lo ha affermato il 20 giugno scorso durante l’incontro del Mouvement des entreprises de France, una delle principali lobby imprenditoriali, cui hanno partecipato rappresentanti delle principali forze politiche del paese. In vista delle elezioni anticipate che inizieranno questa domenica, Le Maire ha avvertito: «Non rovinate gli ultimi sette anni di lavoro», riferendosi al periodo in cui Emmanuel Macron è stato in carica.
La storia, tuttavia, potrebbe presto voltare pagina. Le proiezioni sull’assegnazione dei seggi nella prossima Assemblea nazionale puntano verso una sconfitta devastante per il campo macronista. Il Rassemblement National (Rn) di Marine Le Pen è in testa ai sondaggi, seguito dall’alleanza di sinistra Nouveau Front Populaire (Nfp). Tali proiezioni sono chiaramente solo ipotesi, e il candidato del Rn a primo ministro, Jordan Bardella, ha detto che rifiuterebbe una nomina a meno che il suo partito e i suoi alleati non ottengano la maggioranza assoluta. Ma sarebbe un brutto affare per le multinazionali francesi non prepararsi alla possibilità di un governo di estrema destra.
Il Rn è ancora in gran parte accolto con ambivalenza, se non con cauta ostilità, nel mondo degli affari. Il marchio del partito evoca vecchi timori di un’uscita della Francia dall’Unione europea, di interruzioni delle catene di approvvigionamento e di spese a pioggia per accaparrarsi pacchetti di voti. Ma a giudicare dalla recente raffica di trattative e incontri tra leader aziendali e figure di estrema destra, hanno un terreno comune su cui lavorare. Nelle ultime settimane, i personaggi del mondo imprenditoriale non hanno potuto evitare di sondare le intenzioni economiche dell’estrema destra. Questo interessamento è stato, a sua volta, ricambiato da Le Pen e dai membri del suo entourage, che secondo quanto riferito si sono anche impegnati a costruire relazioni e placare le paure.
La stampa francese ha analizzato attentamente questi negoziati solo negli ultimi giorni, ma è chiaro che lo slancio nelle relazioni ha precedenti che risalgono a molto prima dello scioglimento a sorpresa del parlamento da parte di Macron, poco più di due settimane fa. Lo scorso autunno, la leader di estrema destra Le Pen è stata invitata a pranzo dall’amministratore delegato di Veolia, un colosso dei servizi pubblici, e i due si sono incontrati in un ristorante parigino alla moda frequentato dal mondo imprenditoriale. In risposta a un editoriale firmato Le Pen e pubblicato a febbraio dal quotidiano economico Les Échos, una sorta di ramoscello d’ulivo per i leader aziendali, Ross McInnes, presidente del consiglio di amministrazione dell’impresa appaltatrice della difesa Safran, ha risposto con un articolo in cui accusa Rn di tentare di ripulire la propria immagine. Ma nelle ultime settimane, il direttore generale di Safran, Olivier Andriès, ha ribadito i suoi rapporti con Le Pen.
Le grandi imprese francesi sono spesso un affare di famiglia. Proprietari del principale quotidiano di destra Le Figaro e da tempo nota famiglia dell’establishment conservatore, i Dassault sarebbero divisi sulla scelta di lavorare o meno a un riavvicinamento con Le Pen, secondo quanto sostiene un’inchiesta pubblicata la settimana scorsa su Le Canard Enchaîné. Intanto Glitz riferisce che Lvmh, il conglomerato del lusso di proprietà della dinastia Arnault, si sta affrettando ad arginare la mancanza di agganci di Le Pen e Bardella.
Un insider ha riassunto la situazione nei consigli di amministrazione nei commenti di Mediapart, sottolineando che nessuna mossa del genere era stata ritenuta necessaria così tanto tempo prima delle elezioni presidenziali del 2027: «Pensavano di avere tre anni per preparare il Rn sulle questioni economiche e sugli interessi delle imprese. Si è scoperto che hanno solo tre settimane».
Precedentemente legata a Macron e al centro politico, la gran parte delle aziende francesi si ritrova ora a recuperare terreno con controparti che negli ultimi anni si sono invece schierate con l’estrema destra. Durante la sua corsa ribelle alle elezioni presidenziali del 2022, il veterano reazionario Éric Zemmour è stato corteggiato da una fazione dell’élite imprenditoriale sedotta dalla sua idea di «unione» tra il vecchio establishment conservatore e l’estrema destra. Il vero perno di questo mondo è il magnate Vincent Bolloré, che dalla metà degli anni 2010 ha dirottato le sue attività commerciali dalla logistica e dalle spedizioni africane verso la creazione di un vasto impero mediatico di estrema destra. Il 9 giugno, alcuni esponenti dell’ecosistema Bolloré avrebbero ricevuto una soffiata sull’imminente scioglimento del parlamento da parte di Macron ancor prima dei principali alleati di Macron, come il primo ministro in carica Gabriel Attal.
Incompetenza sul bilancio
Tuttavia, ciò che allenta le divisioni più di ogni altra cosa è avere un nemico comune. L’Nfp, l’alleanza dei partiti di sinistra, ha presentato un vasto programma di governo che comprende investimenti nei servizi pubblici, l’abrogazione immediata dell’aumento dell’età pensionabile deciso da Macron da sessantadue a sessantaquattro anni e alcune nuove forme di regime fiscale. Non sorprende che la piattaforma del Nfp abbia allarmato gli ambienti economici, di fronte alla possibilità di tassazioni sui superprofitti aziendali, al ritorno di importanti tasse sul patrimonio e all’impegno dichiarato dell’alleanza di ignorare le regole del deficit dell’Ue. «Il programma del Rn è pericoloso per l’economia francese – ha detto a Le Figaro il presidente della Medef Patrick Martin – E lo stesso vale per il Nouveau Front Populaire, se non di più».
Non è solo la paura più pronunciata nei confronti della sinistra a gettare le basi per una distensione tra le grandi imprese e l’estrema destra. «Un voto per Lfi [France Insoumise, il partito più forte del Nfp] è un voto per il Fondo monetario internazionale», ha avvertito Bardella, sostenendo che un’alleanza di sinistra provocherebbe una corsa al debito francese e un’epidemia di fallimenti aziendali. Dopo aver stretto un patto con una fazione dei Républicains di centrodestra nei giorni successivi allo scioglimento del parlamento, Bardella, in una conferenza stampa tenutasi il 24 giugno, ha cercato di dare l’immagine di un partito d’ordine guarito, dispiegando gli assi principali del programma di governo del Rn.
«Se lo scioglimento [del Parlamento] ha alimentato i timori sulla direzione politica che prenderà il nostro paese a partire da quest’estate, nego che esso diventi occasione di disordine o conflitto – ha detto Bardella lunedì – L’alleanza che guido oggi è l’unica alternativa credibile e responsabile per ripristinare nel paese il rispetto delle istituzioni, la tutela delle libertà individuali e, naturalmente, dell’unità nazionale».
Non si tratta solo di retorica. Il programma economico del Rn è pensato per soddisfare le imprese francesi alle proprie condizioni. Bardella si è impegnato ad «allentare le condizioni che frenano la crescita economica», promettendo di lavorare di concerto con le imprese. Promette ulteriori riduzioni delle tasse alle imprese, misure per incentivare le persone a rientrare nel mondo del lavoro e la creazione di un fondo di investimento sovrano.
Inoltre, il Rn ha espunto dal suo programma quelle che gli ambienti economici consideravano da tempo le posizioni più minacciose, in particolare la richiesta dell’uscita della Francia dall’Ue e del ritorno al franco. Altro importante ramoscello d’ulivo, è stata la concessione, almeno retorica, del Rn verso l’obiettivo di ridurre spesa pubblica e deficit. Questo era il tenore dell’editoriale di Le Pen pubblicato su Les Échos, che è stato condiviso da Bardella nella campagna elettorale in corso. Il 24 giugno ha criticato «gli eccessi di bilancio senza precedenti del governo uscente». Il partito chiede un «audit fiscale» generale per rivedere le finanze statali.
Sebbene abbia fatto cenno al ripristino di una versione indebolita dell’imposta sul patrimonio abrogata da Macron nel 2017, la soluzione proposta dal Rn per il deficit statale è un piano chimerico contro le frodi. Include l’evasione fiscale, ma è principalmente rivolto a una presunta epidemia di abusi sul welfare sociale, in particolare da parte di cittadini non francesi. Il partito promette di mettere nel mirino i programmi di welfare e gli aiuti agli stranieri che vivono in Francia.
L’adozione elettorale da parte del Rn della restrizione fiscale avviene nel momento in cui annacqua le promesse sociali e redistributive del passato. Il partito sostiene che abrogherà l’ultimo inasprimento del sistema di tutela contro la disoccupazione imposto da Macron, ma Bardella ha abbandonato la proposta del partito di ridurre l’età pensionabile a sessantadue anni, assicurando eccezioni solo a coloro che entrano nel mondo del lavoro dall’età di vent’anni. La principale proposta «di emergenza» consiste in una riduzione delle tasse sulla vendita di benzina ed energia e nel ritiro del mercato nazionale dell’elettricità dal sistema tariffario regionalizzato dell’Ue. Altre promesse del passato, come la riduzione dell’Iva per i beni di prima necessità o l’esenzione dalle imposte sul reddito per i minori di trent’anni, sono state rigettate. Il partito vuole portare avanti la completa privatizzazione delle reti televisive e radiofoniche pubbliche francesi.
A dire il vero, la pretesa del Rn di rappresentare una piattaforma economica genuinamente democratica è sempre stata, nella migliore delle ipotesi, debole. Ma mentre l’estrema destra si trova molto probabilmente alle soglie della sua prima esperienza di potere, sta tornando alle sue origini nel reaganismo di impronta francese. Ciascuna delle sue dichiarazioni politiche nelle ultime settimane ha segnato un ritiro dalla retorica vagamente populista abbracciata da Le Pen dopo aver preso le redini del partito all’inizio degli anni 2010.
Il Rn metterà «l’autorità al centro dell’azione pubblica», ha detto Bardella il 24 giugno, promettendo una «legge contro l’ideologia islamista», norme minime sulla pena, l’esclusione delle famiglie dei minori recidivi dall’assistenza sociale e l’immediata deportazione dei cittadini non francesi condannati. Respingendo le critiche alla violenza della polizia, il partito vuole approvare una legge che garantisca la «presunzione di legittima difesa» nei casi in cui gli agenti usano la loro arma di servizio. Quanto a quello che Bardella definisce un «big bang di autorità» nel sistema scolastico, è favorevole alla generalizzazione delle uniformi studentesche e alla messa al bando dei cellulari nelle scuole.
Scuola Meloni
La metafora prevalente per un eventuale governo del Rassemblement National è l’esempio del premier italiano Giorgia Meloni. Al potere dal 2022, Meloni – che proviene da un partito riconducibile al neofascismo del secondo dopoguerra – ha orchestrato la sua rapida normalizzazione all’interno dell’establishment europeo.
A giudicare dai segnali lanciati dal Rn nelle ultime settimane, sembra che anche l’estrema destra sia disposta a stabilire una qualche forma di modus vivendi. Ciò potrebbe consentire, ad esempio, attacchi agli standard europei sull’ambiente o tentativi di limitare la libera circolazione all’interno dell’area Schengen, senza però arrivare al punto di scontrarsi del tutto con Bruxelles e le altre capitali europee. Con i suoi alleati in crescita in tutta Europa, è naturale che il Rn si sia evoluto dalla sua posizione puramente di opposizione: l’estrema destra vuole gestire le cose a livello europeo.
Nel caso di «coabitazione» tra un presidente e un primo ministro di partiti diversi, il controllo sulla politica estera è vagamente diviso tra i due. Il Rn ha affermato che sosterrà ulteriori acquisti di armi per Kiev, ma si è opposto subito al piano di Macron di inviare istruttori dell’aeronautica in Ucraina. Allo stesso modo si oppone all’ammissione di Kiev nella Nato, o all’autorizzazione delle forze armate a utilizzare armi fornite dall’Occidente per colpire obiettivi in Russia. Anche se fa ancora cenno a un riavvicinamento postbellico con la Russia, il Rn ha annunciato che non chiederà più il ritiro francese dal comando integrato Nato, almeno non «mentre la guerra è ancora in corso», come ha detto Bardella a marzo.
La «normalizzazione» è ovviamente negli occhi di chi guarda. Nonostante il ritiro delle promesse di rottura con la politica economica di Macron, il Rn è rimasto aggrappato al suo nucleo storico come principale veicolo del razzismo in Francia. Mentre si prepara al potere, ciò che rimane è un partito la cui missione è il rifiuto dell’immigrazione, la persecuzione degli stranieri o delle minoranze e la difesa di un’identità nazionale considerata in difficoltà.
Il cuore della piattaforma nazionale drl Rn è la rivendicazione della cosiddetta preferenza nazionale. Uno degli obiettivi a lungo termine del partito è una riforma costituzionale per stabilire per legge una solida gerarchia tra cittadini nazionali e non nazionali in ogni ambito, dall’occupazione e dagli alloggi ai servizi pubblici. Il partito vuole seppellire definitivamente i diritti di cittadinanza per i figli di stranieri nati sul suolo nazionale. Sebbene abbia fatto marcia indietro rispetto alle proposte di vietare la doppia nazionalità, il partito ha comunque proposto di escludere i cittadini francesi con una seconda nazionalità dai lavori statali. Molte di queste proposte entrerebbero in conflitto con l’attuale Costituzione francese, per non parlare degli accordi a livello europeo come la Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Ciò pone le basi per un confronto tra regimi nazionali ed europei, con un partito che tollererà pochi vincoli alle prerogative del governo.
Anche entro i limiti dell’attuale Costituzione francese, e anche senza una solida maggioranza in parlamento, un governo di estrema destra potrebbe attingere a un arsenale di poteri pronti a vincolare la società civile e limitare la libertà di espressione e il diritto di protestare. Il sistema giudiziario francese è fortemente centralizzato sotto il ministero della giustizia, che spesso emana circolari politiche che istruiscono i pubblici ministeri su come gestire potenziali reati, soprattutto in periodi di crisi politica e scontri. Sotto il controllo centrale del ministero dell’interno, l’aggressività della polizia è stata un altro modo di reprimere i conflitti politici.
Sono le tattiche di gestione della proteste già sperimentate negli anni di Macron. Possiamo solo chiederci se il palese abuso da parte di un governo di estrema destra susciterebbe maggiore attenzione a livello internazionale.
*Harrison Stetler è un giornalista freelance e insegnante, vive a Parigi. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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