
Carisma senza fiducia
Soumahoro ha riempito uno spazio che era sguarnito. Ma se chiediamo ai nostri rappresentanti politici di essere uomini o donne di spettacolo, ne emergerà sempre una contro-immagine dietro le quinte
Carisma e fiducia. Aboubakar Soumahoro usa le parole del linguaggio spirituale. Tale linguaggio costituisce buona parte del suo carisma, ma ne mina la fiducia. Il carisma è stata la qualità su cui si è basata la sua carriera politica, in diversi modi. Le modalità di questa costruzione della propria carriera politica e ora lo smantellamento delle stesse, ci dicono tanto della nostra società, più di quanto ci dicano concretamente dell’uomo.
Faccio una premessa. Il primo Soumahoro, quello del periodo antisalviniano, non nominava il suo essere africano o nero. Aveva creato una propria figura televisiva e per questo manifestava visivamente il proprio colore della pelle ma lo lasciava semplicemente intendere. Ha ostentato un linguaggio aulico, l’italiano della Crusca, è stato prolisso anche nel citare teorici militanti italiani (Giuseppe Di Vittorio, Antonio Gramsci, Danilo Dolci, ecc.) quasi sfottendo la destra visivamente bianca per non essere in grado di rispondergli intellettualmente. Al contrario il secondo Soumahoro, quello del periodo elettorale e adesso parlamentare, nomina apertamente la sua identità anche dentro la Camera. È entrato a Montecitorio con gli scarponi sporchi di fango e ha incentrato il suo primo intervento sul modo in cui la sua identità veniva nominata: con il «tu» o con il «lei» (una versione razzializzata dello stesso scontro che c’è con la destra sul genere: «il» o «la» presidente). Il ponte fra questi due Soumahoro è stato il linguaggio trasformativo della spiritualità. Le sue lacrime videoregistrate in risposta alle recenti persecuzioni giornalistiche sono l’esito di questa nuova persona. E nell’intervista a Piazza Pulita, parlando in terza persona, è tornato il primo Soumahoro, la «massima consapevolezza, la razionalità» non «la dimensione intima della debolezza umana».
Soumahoro ha costruito queste sue persone politiche sul carisma perché funzionava. Ha funzionato perché ci serviva. Serviva un portavoce al movimento, serviva alla Camera un deputato nero, serviva qualcuno sullo schermo che potesse controbattere a tono agli argomenti delle destre, serviva un compagno in grado di salire su una nave bloccata in porto. Serviva e serve ancora. Le critiche che ora vediamo verso di lui – che lo accusano di essere stato solo uno spettacolo di sé stesso, un venditore di un autoritratto – contrastano con le implorazioni dei commentatori sui social e degli esperti di pubblicità che solitamente arringano le aree militanti: «non siamo mediaticamente furbi, non sappiamo presentarci, non abbiamo capito fino in fondo le nuove modalità imposte sulla politica dai cambiamenti tecnologici», ecc. Il problema è che se chiediamo ai nostri rappresentanti politici di essere uomini o donne di spettacolo, di esprimere meramente la propria identità, emergerà sempre una contro-immagine dietro le quinte, una vita passata, un’ombra, una smorfia, che brucerà la pellicola. Vince la merce ogni volta, ma questo lo sapevamo già.
Soumahoro ha il carisma quindi – ma non la fiducia. Questo è quanto emerge dai militanti del suo ex sindacato, l’Usb: l’uscita di Soumahoro dal sindacato ha segnato una rottura, non la strada verso la rappresentanza. La mancanza di fiducia è emersa chiaramente quando ha tentato di creare un proprio movimento – ora la Lega dei braccianti, ora gli Invisibili – che non è riuscito a trovare una definizione organizzativa, oscillando fra vaghezza spirituale, slogan movimentistici e confusione rispetto alla forma: partito, blocco sociale o associazione culturale? Quando si è candidato con l’alleanza Sinistra-Verdi, si è capito che alla fine i tempi della politica avevano costretto la sua ambizione a scegliere una casa. La mancanza di fiducia emerge però drammaticamente anche dentro le mura che aveva trovato, basta osservare la reazione dei leader politici della lista che lo ha candidato che ora cercano di scaricarlo al primo ostacolo, senza neanche un ringraziamento per i voti che gli ha portato.
Arriviamo quindi alle accuse, che sono emblematiche dell’incapacità di costruire una politica basata sulla fiducia. Di cosa possiamo accusarlo davvero? I giornali di destra lo vogliono accusare di immoralità, di «predicare bene e razzolare male». Lo vorrebbero escluso, distrutto e annichilito. Un deputato nero e di sinistra dev’essere schiacciato.
Ma noi? Guardiamo i fatti, prima di farlo diventare un capro espiatorio o, peggio ancora, un martire. Si tratta di un’indagine sulla cooperativa gestita dai suoi familiari, una cooperativa di accoglienza con tutti i problemi sistemici del settore: mancanza di pagamenti di stipendi dovuti all’abbassamento del capitolato di spesa da parte dei finanziatori pubblici e ritardi nell’erogazione. Il tutto infarcito dal costante approccio emergenziale con cui le prefetture amministrano le questioni relative all’immigrazione, con soluzioni appositamente provvisorie a questioni che sono invece strutturali.
Sono problematiche che emergono mediaticamente solo quando c’è una figura di sinistra da colpevolizzare. Per la destra, l’accusa del maltrattamento dei lavoratori c’entra poco. La mala-accoglienza, la corruzione e la repressione (sia degli «ospiti» dell’accoglienza sia dei lavoratori e delle lavoratrici del settore) che altre cooperative ben agganciate portano avanti anno dopo anno, non attirano mai la stessa attenzione se non c’è una figura di sinistra da screditare.
Ma la vera questione da porre è che si tratta di servizi dello Stato che vengono esternalizzati e precariazzati, in cui la centralità del lavoro di cura non è riconosciuta e le cooperative che scelgono di gestirlo non possono far altro che fallire. Sono problemi strutturali, che parlano della una valorizzazione neoliberista dell’impresa sociale a discapito del sistema di welfare. Anche quando gestite in buona fede, le cooperative non hanno le risorse e, per far bilanciare i conti economici e morali, spesso finiscono per tagliare sia sull’etica del servizio che i diritti dei propri lavoratori e lavoratrici.
Non è un caso che l’unico politico nero di sinistra candidabile in questo momento storico sia connesso a questo settore intrappolato in una crisi costante ma tra i pochi in cui le persone di origine africana sono benvenute. Non è un caso che lo scandalo che riguarda Soumahoro non abbia connessioni con le banche, con la diplomazia, con le fondazioni opache, come più spesso accade negli scandali politici. Ha a che fare con l’accoglienza.
La contro-immagine dietro le quinte è stata trovata anche nei vestiti alla moda della sua compagna, Liliane Murekatete, in evidente contrasto con gli stivali infangati del fidanzato bracciante. È una contro-immagine che dimostra sia l’odio per la classe operaia che per le donne. Un operaio – un operaio nero – è riuscito a mettere un piede nelle stanze del potere, anche se con gli stivali infangati. Contro di lui vengono utilizzati i selfie della sua compagna. Per costoro la donna sembra dover essere riservata e modesta. Certo una borsa di lusso può valere quanto una mensilità di stipendio per un bracciante nei campi – ma lo stesso si può dire per qualsiasi orologio sul polso di qualsiasi deputato.
Il disastro è stato creato dal contesto. Non dal deputato Soumahoro, non da i militanti che lo hanno sostenuto e non dalla sua compagna – dal contesto intero. Un contesto sociale e politico che ora punisce con violenza l’immagine che esso stesso ha generato, che rivendica il suo potere verso il burattino che ha osato diventare burattinaio.
Si dirà che senza reali organizzazioni politiche che impongano trasparenza e responsabilità ai propri iscritti e delegati, non ci può essere fiducia. Che la fiducia si concretizza attraverso la democrazia o non si concretizza. Eppure Bettino Craxi aveva un’organizzazione di questo tipo e le cose non sono andate così lisce.
La sinistra ha sempre avuto bisogno di figure estroverse, fuori dalle organizzazioni ma carismatiche. Sicuramente Soumahoro non è riuscito a costruire l’organizzazione che ci servirebbe, ma negli ultimi anni nessuno ci è riuscito. Quell’organizzazione non si materializzerà nemmeno sacrificandolo sull’altare della purezza e disconoscendo l’unico deputato che potrebbe far risuonare le rivendicazioni della classe operaia in parlamento. Magari Soumahoro è il deputato che ci è toccato e non quello che avremmo voluto, ma pensiamoci due volte prima di mettere il coltello nella nostra piaga.
*Richard Braude, traduttore e attivista antirazzista, vive a Palermo.
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