
Compagno Harry
Belafonte, scomparso la scorsa settimana, ha condiviso profondamente le lotte per la giustizia e l'uguaglianza. «Sono stato attivista molto prima di diventare un artista», diceva di sé stesso
Harry Belafonte, cantante, cantautore e attore pioniere che ha iniziato la sua carriera cantando il calypso prima di dedicarsi all’attivismo politico, è morto lo scorso 25 aprile a novantasei anni.
Oltre ad aver dato all’arte un contributo rivoluzionario, Belafonte è stato un attivista impegnato nella lotta contro l’imperialismo, l’oppressione di lavoratori e lavoratrici e la discriminazione razziale, ha usato la posizione che i suoi talenti artistici gli hanno offerto per opporsi all’ingiustizia in tutte le sue forme. «Devo far parte della ribellione che cerca di cambiare tutto questo – diceva al New York Times nel 2001 – La rabbia è un carburante necessario. La ribellione è salutare».
Nato a Manhattan, New York, Belafonte ha trascorso la sua prima infanzia nella Giamaica dalla quale provenivano i suoi genitori. Dopo essere tornato negli Stati uniti, si è offerto volontario nella Marina per combattere il fascismo nella Seconda guerra mondiale. La sua ambizione artistica è nata dopo aver lavorato come addetto alle pulizie in un teatro di New York alla fine degli anni Quaranta, formandosi infine con l’iconico regista comunista tedesco Erwin Piscator.
Belafonte cominciò a eisbirsi come cantante nei club per finanziarsi corsi di recitazione, ma è stato reso celebre inizialmente per il suo talento musicale. Accreditato di aver reso popolare la musica caraibica presso un pubblico internazionale, è stato soprannominato il «Re di Calypso». In un momento in cui la segregazione era praticata in gran parte degli Stati uniti, sarebbe diventato la prima persona non bianca a esibirsi in molti club e a sfondare i vincoli razziali nel cinema.
Nel 1957 nel film di Robert Rossen L’isola nel sole, Belafonte interpretava un leader sindacale nero di un immaginario paese caraibico che ha una relazione amorosa con una giovane donna della classe media interpretata da Joan Fontaine, il che suscitò le minacce di bruciare i cinema nel sud degli Usa. I ruoli che Belafonte ha interpretato nel corso della sua carriera sullo schermo hanno regolarmente sfidato e attaccato il razzismo e l’ingiustizia prevalenti nella società statunitense.
Membro di spicco del movimento per i diritti civili, Belafonte sarebbe diventato un amico personale di Martin Luther King Jr. Figura significativa nella lotta contro il razzismo e la discriminazione a pieno titolo, ha usato la sua ricchezza e fama per sostenere e finanziare l’attivismo antirazzista, salvando attivisti, finanziando campagne di registrazione degli elettori e finanziando organizzazioni che si oppongono al razzismo e promuovono la liberazione dei neri.
Come attore, cantante e cantautore, l’espressione artistica di Belafonte è stata troppo grande per essere confinata a un solo media, e la sua opposizione all’ingiustizia troppo radicata nei principi per essere limitata a una sola lotta. Come King, Belafonte ha riconosciuto la relazione che lega le oppressioni del razzismo, dell’imperialismo e del capitalismo, finendo nella lista nera dell’era McCarthy.
Negli anni Ottanta ha portato avanti una campagna contro l’apartheid in Sudafrica e in seguito ha organizzato la prima visita di Nelson Mandela negli Stati uniti. L’opposizione di Belafonte all’apartheid era parte di una posizione più ampia contro l’imperialismo e l’oppressione in tutto il mondo.
Schietto oppositore dell’invasione statunitense di Grenada, sostenitore di Hugo Chávez e ostile all’antagonismo della Guerra fredda, l’internazionalista Belafonte spesso si è contrapposto alla politica estera degli Stati uniti. Feroce oppositore dell’invasione dell’Iraq del 2003, nel 2006 avrebbe ricevuto un notevole contraccolpo da parte della stampa quando definì George W. Bush «il più grande terrorista del mondo».
Belafonte nel 1987 ha viaggiato per il mondo come ambasciatore di buona volontà dell’Unicef e in seguito ha istituito una fondazione per la lotta all’Aids, come parte dei suoi più ampi sforzi per promuovere l’istruzione e lo sviluppo economico in Africa, per il quale avrebbe ricevuto un Oscar nel 2014 in onore del suo lavoro umanitario.
Belafonte ha dichiarato in un’intervista nel 2011: «Sono stato attivista molto prima di diventare un artista». Anche dopo gli ottant’anni, Belafonte parlava ancora della disuguaglianza razziale ed economica, esortando il presidente Barack Obama a fare di più per aiutare i poveri e in seguito appoggiando Bernie Sanders nelle primarie Democratiche. Belafonte ha chiesto l’«irruzione del pensiero radicale» per fare progressi sull’uguaglianza razziale e ha sostenuto il movimento Black Lives Matter, cui riconosceva il merito di affrontare le ingiustizie razziali rimaste dall’era dei diritti civili.
Quando nel 2017 è stata pubblicata un’antologia della sua musica, Belafonte ha detto alla rivista Rolling Stone che cantare era per lui un modo per esprimere le ingiustizie del mondo. «Mi ha dato l’opportunità di fare dichiarazioni su temi sociali, di parlare di cose che trovavo spiacevoli – ha detto – e di cose che per me erano stimolanti».
In molti modi, l’attività politica di Belafonte dimostra che la lotta per i diritti civili negli Stati uniti è stata profondamente intrecciata al socialismo: basti pensare a Martin Luther King che criticava spesso il capitalismo e a leader come Bayard Rustin ed Ella Baker che avevano radici nel movimento socialista. Harry Belafonte era parte di questa tradizione ed ebbe la Medaglia dell’Amicizia dallo stato cubano in riconoscimento della sua solidarietà con Cuba nel corso degli anni. Aveva coltivato uno stretto rapporto con Fidel Castro fin dall’inizio della rivoluzione.
Nelle sue memorie, pubblicate nel 2011, Belafonte parlava del razzismo nella Cuba prerivoluzionaria:
Quando sono diventato un artista e ho iniziato ad avere una certa fama, sono andato a Cuba abbastanza regolarmente prima del ’59. Sono andato lì con Sammy Davis Jr. per ascoltare Nat King Cole e uscire con Frank Sinatra; il luogo dove ci siamo incontrati di più è stato l’Hotel Nacional. Tutti si esibivano lì tranne me. Quando sono venuti da me – e avevo un contratto di lavoro – ero in un matrimonio interrazziale come si diceva allora, e all’improvviso sono diventato persona non grata, a Cuba, ovunque.
Nel settembre 2003 Belafonte tenne un discorso a New York in cui condannava l’embargo statunitense contro Cuba. Quando gli veniva chiesto perché sosteneva il popolo cubano, ha risposto: «Non lo vedo come uno sforzo supremo – ha detto – È uno stile di vita: se credi nella libertà, se credi nella giustizia, se credi nella democrazia, se credi nei diritti delle persone, se credi nell’armonia di tutta l’umanità».
Per quanto i successi di Belafonte nel cinema e nella musica siano una testimonianza della sua grandezza artistica, il suo lascito di devozione alle lotte di liberazione da ogni forma di ingiustizia è la testimonianza di una delle figure morali e politiche più straordinarie della sua epoca.
*Trish Meehan è un’attivista della Cuba Solidarity Campaign (Ccs). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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