I dannati di Attica
Cinquant'anni fa, i detenuti del penitenziario dello stato di New York si ribellarono per chiedere trattamenti umani. La loro lotta fu repressa nel sangue. Un documentario ricostruisce quegli eventi
Armato di filmati d’archivio, spezzoni di telegiornali, commenti di testimoni oculari, filmati amatoriali e video di sorveglianza, Attica di Stanley Nelson scaraventa gli spettatori nella più sanguinosa rivolta carceraria d’America: il clamoroso riot del 1971 all’Attica Correctional Facility. Il risultato è un resoconto appassionante raccontato in modo avvincente nelle quasi due ore di Attica, che Nelson ha prodotto e co-diretto con Traci Curry, e che è in onda su Showtime.
Nelson, nato e cresciuto ad Harlem e vincitore di tre Emmy Awards, è tra i migliori documentaristi del mondo. Nei suoi film, spesso girati per la Pbs, si è occupato di diritti civili e dell’epopea Black Power in Freedom Riders (2011), Freedom Summer (2014) e The Black Panthers: Vanguard of the Revolution (2016).
Con Attica, Nelson affronta un’altra tragedia razziale storica, nella quale trentatré detenuti e dieci guardie carcerarie vennero massacrate, con molti altri feriti e torturati durante l’orribile bagno di sangue di mezzo secolo fa. Nelson e Curry ricostruiscono scrupolosamente, passo dopo passo, ciò che è realmente accaduto, e portano gli spettatori dietro le quinte della cinica collusione tra il governatore di New York Nelson Rockefeller e il presidente Richard Nixon che ha segnato il destino non solo dei prigionieri ma anche dei loro ostaggi. I realizzatori raccontano anche l’eroismo di William Kunstler, esponente della New Left e avvocato militante; dei giornalisti di Abc News e Amsterdam News John Johnson e Clarence B. Jones; e soprattutto di quei detenuti coraggiosi che, come una versione contemporanea di Spartaco, sono insorti e hanno lottato per rivendicare un trattamento umano.
Dunque, cosa accadde nella prigione di Attica nel 1971?
Attica si trova a 250 miglia a nord di New York City. È nello stato di New York, ma in una zona molto rurale. Il 9 settembre 1971, i carcerati presero il controllo della prigione, e fu la più grande ribellione carceraria nella storia degli Stati uniti. I prigionieri catturarono in ostaggio una trentina di guardie. Ciò impedì alle forze dell’ordine di fare irruzione e prendere il controllo del carcere, perché prigionieri minacciarono di uccidere gli ostaggi se fossero entrate le forze dell’ordine. I prigionieri si sono ribellati perché ad Attica venivano trattati in maniera orribile. Tutto era orribile, dalle piccole cose – come il fatto che concedevano loro solo un rotolo di carta igienica al mese – ai pestaggi e le crudeltà di altro tipo. Così, decisero che ne avevano abbastanza e, con un’azione spontanea, si impossessarono della prigione.
L’occupazione dell’Attica Correctional Facility fu improvvisata o venne pianificata in anticipo dai detenuti?
No, non era prevista. Ai tempi c’erano le Black Panthers, gli Young Lords, c’era George Jackson [l’autore de I Fratelli di Soledad, imprigionato a San Quentin, Ndt], e altri che si opponevano all’autoritarismo e alla disuguaglianza. Erano molto famosi in prigione. Quando George Jackson morì, i prigionieri proclamarono uno sciopero della fame per un giorno o due. Tutti i prigionieri erano solidali: neri, bianchi e latinos. Si trattava di una novità. C’erano in generale disordini, ma non un piano vero e proprio per prendere la prigione.
Perché hai voluto raccontare la storia della più grande rivolta carceraria degli Stati uniti proprio adesso?
Per molti motivi. Poteva accadere probabilmente dieci o vent’anni fa, o tra dieci o vent’anni. È una storia che risuonerà sempre e avrà sempre importanza. In un certo senso, è provvidenziale che questo film esca oggi, perché stanno succedendo molte cose nelle carceri di tutto il paese. Vengo da New York e in questo momento Rikers Island [l’isola sull’East River tra il Queens e il Bronx che ospita un carcere per 10 mila persone, Ndt] compare ogni giorno sui titoli dei giornali. In questo momento le persone guardano in modo diverso alle carceri, e in particolare alle forze dell’ordine. Si è aperto un varco: le persone che non avrebbero mai pensato di dubitare dell’operato delle forze dell’ordine lo stanno facendo, e stanno pensando alla violenza e al razzismo in un modo in cui potrebbero non averci pensato cinque anni fa. Il modo in cui il pubblico accoglie il film è cambiato negli ultimi anni. Tra le altre cose, raccontiamo la storia di questa città tutta bianca. Molti dei loro parenti erano ostaggi. Era una città carceraria, tantissime persone lavoravano in prigione. Era un posto dove gli unici lavori disponibili erano l’allevatore di mucche da latte e la guardia carceraria. Non erano stati addestrati in alcun modo. Era una situazione molto instabile, con guardie carcerarie tutte bianche e probabilmente l’85% di prigionieri non bianchi che seguivano Malcolm X, George Jackson, i Black Panthers, gli Young Lords.
Durante la rivolta, in che modo i prigionieri non bianchi hanno interagito con i detenuti bianchi?
Prima della ribellione, ognuno stava con quelli della sua razza. È così che vieni inquadrato, è così che le prigioni sono segregate. Le guardie contribuivano a questo sistema. Concedevano ai prigionieri bianchi alcuni privilegi. Ai prigionieri non bianchi non venivano date le stesse cose. Quindi, naturalmente, c’era animosità. Ma quando i prigionieri si ribellarono durante l’ora d’aria, capirono che dovevano unirsi, e che dovevano anche organizzarsi. Una delle cose così straordinarie di cui parlano i prigionieri nel film è come si sono riuniti in cortile per eleggere i loro capi, blocco per blocco, e la forza di sicurezza che dovevano mantenere l’ordine era composta da prigionieri di tutti i gruppi etnici.
Prima di iniziare a girare Attica, avevi grandi domande senza risposta su ciò che era accaduto?
Una delle domande principali che avevo, proprio come una persona normale che sapeva qualcosa di Attica ma non molto, era: «Da cosa è stato causato davvero tutto ciò?». Concretamente, non capivamo cosa avesse spinto i prigionieri a ribellarsi. E cosa ha spinto le forze dell’ordine a entrare così brutalmente, con le pistole spianate, come possa essere successo. Quello che facciamo nel film è spiegare passo dopo passo cosa è successo, cosa ha portato alla ribellione e cosa hanno fatto per porre fine alla ribellione.
Hai scoperto qualcosa nella realizzazione del documentario che prima era stato nascosto o era sconosciuto al pubblico?
Abbiamo trovato molti elementi inediti. Una delle cose che il film ha contribuito a chiarire è il sodalizio stretto tra il governatore Nelson Rockefeller e il presidente Richard Nixon, che è consistito in più di una semplice telefonata che Nixon ha fatto a Rockefeller alla fine, congratulandosi con lui per le uccisioni e la riconquista del prigione. La stragrande maggioranza delle persone non sapeva che stessero parlando al telefono anche prima e che fossero in costante contatto telefonico. Nixon esortava Rockefeller a non andare ad Attica per manifestare la sua presenza e il suo interessamento. I membri del «comitato di osservazione» sentivano che doveva invece far sapere ai prigionieri che si erano ribellati e che stavano occupando la prigione che era interessato a loro. In ogni caso, i prigionieri avevano richieste realizzabili. Non erano pazzi. Erano moderati. Dicevano: «Guardateci, siamo umani. Vogliamo essere considerati uomini». Sarebbe successo se Rockefeller si fosse presentato, non gli stavano chiedendo di entrare. Gli chiedevano di presentarsi, stare fuori dalle mura e mostrare la sua preoccupazione. Doveva dare un segnale ai prigionieri. Ma Rockefeller si rifiutò di farlo, e in parte perché Nixon gli parlava e gli diceva: «No, non farlo».
La guerra del Vietnam nel 1971 era ancora in corso. C’è una relazione tra l’aggressione imperialista in Indocina e l’assalto alla prigione di Attica?
Per le persone che non c’erano è difficile capire in che misura all’epoca tutto venisse influenzato dal Vietnam, tutto, tutto. Ad Attica, i veterani del Vietnam mostrarono come fosse possibile costruire una latrina e produrre liquori nel cortile della prigione. In molti modi, il «legge e ordine» predicato da Nixon era una risposta alle massicce proteste contro la guerra in Vietnam. Nessuno era neutrale sul Vietnam. Eri stato arruolato e i tuoi fratelli o figli o nipoti o cugini o tu stesso erano costretti ad andare in prima linea. Quindi non potevi essere neutrale, non potevi non avere opinioni, come potremmo oggi, dal momento che le guerre che combattiamo sono molto diverse.
La risposta di Nixon e Rockfeller sembra simboleggiare l’intera classe dominante che diceva: «Ecco il modo in cui tratteremo brutalmente gli oppressi quando si ribelleranno».
Sì, in molti modi, Attica potrebbe essere vista come la fine degli anni Sessanta. Nel 1971, gli Stati uniti si battevano per una cosa diversa: legge e ordine. Nixon, negli annunci e nei discorsi della sua campagna, ha parlato più e più volte di legge e ordine, legge e ordine. In un certo senso, era la fine degli anni Sessanta e queste cose sarebbero state gestite da lì in poi in modo molto diverso dagli Stati uniti.
Chi erano gli uomini che irruppero nella prigione per conto dello stato?
Gli uomini che fecero irruzione erano una folla indisciplinata. Erano poliziotti di stato, quelli che ti fermano in autostrada e ti fanno la multa. Non erano addestrati in alcun modo per disinnescare una situazione come quella di Attica. C’erano anche guardie carcerarie, irritate dal fatto che i loro fratelli – a volte i loro fratelli e parenti reali – e gli abitanti della città si trovassero ad Attica. C’era una forza non addestrata. Gli abitanti della città si presentarono con le loro pistole, fucili da caccia e cose del genere. All’interno della prigione ci fu una rivolta delle forze dell’ordine.
Un linciaggio.
Sì, e non c’era nessun piano. Non bisogna pensare che ci fosse ma che è fallito. Il piano, se così possiamo definirlo, era di lanciare lacrimogeni che avrebbero bloccato i detenuti e iniziare a sparare. Dai muri di cinta sparare giù nel cortile. Era come al tiro a segno. Bisogna sottolineare che i carcerati non avevano pistole, non ne avevano. E la forza d’assalto lo sapeva, ma ha comunque sparato su di loro. Avevano gli altoparlanti degli elicotteri, che erano molto bassi e sparavano gas sui prigionieri. E dicevano, continuamente: «Arrendetevi all’agente più vicino, nessuno vi farà del male. Non sarete feriti, arrendetevi all’agente più vicino». Lo ripetevano più e più volte, mentre sulla prigione venivano sparati oltre tremila pallottole. Fu una scena orribile e inquietante. Inoltre, il gas al peperoncino CO2 che hanno sparato generò una cortina fumogena, quindi non potevano nemmeno vedere a cosa stavano sparando. Stavano sparando sul cortile occupato dai prigionieri.
Non venne mobilitata un’unità della Guardia nazionale per l’irruzione?
Erano lì per lo più per assistenza medica. Sono stati attivati per trasportare i morti e i feriti fuori dalla prigione. Sono stati chiamati l’ultimo giorno. Erano molto diversi. E abbiamo due soldati della Guardia nazionale nel film. Non sono stati lì tutti e cinque i giorni, come le altre forze dell’ordine che c’erano e che stavano diventando sempre più arrabbiate. Le forze dell’ordine erano fondamentalmente del posto. La Guardia nazionale proveniva da ogni parte. In realtà sono stati attivati solo come aiuto medico. In molti modi, come puoi vedere nel film, le due guardie che abbiamo intervistato erano semplicemente inorridite da ciò che vedevano. Semplicemente non potevano crederci, ma non potevano fermarlo. Uno ha gli occhi rossi mentre lo ricorda perché sta quasi piangendo. Sono stati testimoni delle violenze – si trattava di torture – che sono continuate dopo le esecuzioni. Ma non potevano fermarle. Quando la sparatoria cessò e i corpi giacevano morenti, feriti e sanguinanti, l’elicottero era ancora in volo e diceva «Arrendetevi e nessuno vi farà del male».
Il tuo film è composto in gran parte da interviste originali e filmati dell’epoca. Che tipo di persone avete intervistato?
Abbiamo intervistato una decina di prigionieri che si trovavano ad Attica in quel momento. Molti di loro vennero feriti e in seguito sottoposti a tortura. Abbiamo intervistato un certo numero di cittadini i cui parenti sono stati tenuti in ostaggio, e alcuni di loro sono stati assassinati dalle forze dell’ordine. Ho intervistato un certo numero di persone che facevano parte di quello che è stato chiamato il «comitato degli osservatori», gente di alto profilo e avvocati, come William Kunstler e il senatore dello stato di New York John Dunne, a cui i prigionieri avevano chiesto di venire a negoziare un accordo pacifico.
Perché non avete intervistato ex guardie carcerarie di Attica?
Abbiamo chiesto a un certo numero di guardie carcerarie di partecipare al film e prima hanno detto di sì. Poi penso che mi abbiano cercato su Internet e abbiano detto: «Oh, be’, se Stanley Nelson è coinvolto nel progetto, sappiamo che tipo di film farà». E si sono tirati fuori.
Hai ottenuto materiali dell’epoca davvero sbalorditivi. Parlaci di dove hai trovato queste immagini fisse e in movimento del 1971.
Ci sono filmati incredibili delle forze dell’ordine dello Stato di New York, che sorvegliavano l’evento. Avevano videocamera del tempo e filmavano tutto. Hanno registrato l’aggressione quando le forze dell’ordine hanno fatto irruzione nella prigione. Li vedi sparare e uccidere le persone. In seguito, hanno continuato a filmare, e hanno filmato persone che strisciavano attraverso le latrine e venivano torturate e costrette a strisciare per il cortile. Qualcuno ha scattato queste incredibili foto mentre i prigionieri venivano spogliati nudi e fatti sedere e stare in piedi con le mani sulla testa. In un certo senso, con tutte le scene di sparatoria scioccanti, probabilmente la cosa più inquietante del film sono i ragazzi che sono stati fatti sedere e stare in piedi con le mani sulla testa, in segno di resa. Come dice il senatore John Dunne nel film, non può fare a meno di ricordarti le immagini di afroamericani che salgono sulle navi degli schiavisti.
Alcuni dei personaggi della New Left furono coinvolti nei negoziati. Raccontaci del ruolo del presidente del Black Panther Party Bobby Seale.
I prigionieri chiesero che Bobby Seale e Huey P. Newton delle Pantere facessero parte del comitato degli osservatori. Bobby Seale, proveniente dalla California, arrivò quando erano già passati un paio di giorni dall’inizio della trattativa. In realtà, ciò che i negoziatori volevano che Bobby facesse era aiutare a sciogliere le ultime questioni per arrivare a un accordo. I prigionieri volevano l’amnistia per quanto era accaduto durante la ribellione. In ogni caso, a nessuno è chiaro il perché e cosa sia successo, Bobby è entrato, ha tenuto un breve discorso e se n’è andato. Non è riuscito a trovare un accordo.
Sospetti che sia stato lì dentro così poco a causa di problemi legati alla sua libertà vigilata riguardo al caso Chicago 8?
Questa è una delle storie che ho sentito. Non ne sono sicuro. Venne minacciato sul fatto che se avesse incitato i prigionieri in qualsiasi modo, la sua libertà vigilata sarebbe stata revocata o gli avrebbero reso le cose più difficili. Non ne sono certo.
L’avvocato William Kunstler nel tuo film è davvero ammirevole. Dopo una notte di lunghe trattative fa un commento tra i più tragici del film: era «esaurito, troppo stanco per essere ottimista o pessimista».
La rivolta di Attica andava avanti da cinque giorni. Una delle cose che mostriamo nel film è che si è passati da una sensazione di entusiasmo e caos a un clima di positività e organizzazione. Quando Bill Quinn – una guardia che era stata picchiata molto duramente il primo giorno – morì, l’umore generale mutò. Adesso c’era un omicidio di mezzo ed era più difficile raggiungere un compromesso, soprattutto l’accordo che prevedeva l’amnistia su cui i prigionieri insistevano. Quando Kunstler dice che era fuori di testa esprime la frustrazione derivante dalla consapevolezza che nessuna delle due parti si sarebbe mossa, miravano a obiettivi inconciliabili.
Ho trovato molto preoccupante anche il fatto che molti detenuti raccontano che non potevano prevedere la brutalità e le atrocità che avrebbero subito.
Nessuno capiva o poteva prevedere ciò che lo stato avrebbe inflitto ai prigionieri. Forse il comitato degli osservatori, che aveva contatti con entrambe le parti. Ma i prigionieri erano intrappolati all’interno della prigione e non percepivano l’atmosfera fuori dalle mura di cinta.
Traci Curry ha affermato che Attica «non è un manufatto fossilizzato della storia». In che modo il tuo film riflette lo scontro razziale in corso e il complesso industriale carcerario di oggi?
Quello che vedi più e più volte nel film, è quello che io chiamo il «razzismo casuale» che esiste in questo paese. Dalle guardie tutte bianche che chiamavano i prigionieri «animali» e li picchiavano impunemente, fino, dopo l’assalto, alle forze dell’ordine che urlavano: «Potere bianco! Potere bianco!», e alle prime parole del presidente Richard Nixon: «Sono neri? Tutte le persone uccise erano nere?». Il film non riflette solo sulle carceri e sulla riforma carceraria, ma sul razzismo in questo paese, anche sul potere dello stato di trattare le persone come non umane. Il film parla di tante cose. Riguarda anche le famiglie degli ostaggi, le guardie carcerarie, che sono state uccise allo stesso modo dei prigionieri quando le forze dell’ordine sono entrate. I primi giorni riferirono che otto o nove ostaggi erano stati sgozzati dai prigionieri. Dopo la visita medica, uno dei medici legali ha detto che nessuno era stato sgozzato: erano stati uccisi tutti quanti dai proiettili. Ciò significava che erano stati tutti [prigionieri e ostaggi, allo stesso modo] uccisi dalle forze dell’ordine.
*Stanley Nelson è il vincitore di tre Emmy Awards. Tra i suoi film documentari ci sono Freedom Riders, Freedom Summer e The Black Panthers: Vanguard of the Revolution. Ed Rampell è uno storico/critico cinematografico che vive Los Angeles, ha scritto Progressive Hollywood: A People’s Film History of the United States ed è coautore di The Hawaii Movie and Television Book. Questo articolo è uscito su JacobinaMag. La traduzione è a cura della redazione.
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