Il circolo vizioso dei confini
Fino a quando non riusciremo a liberare il dibattito sull’immigrazione dalla gabbia retorica che invoca ancora più barriere e repressione invece che libertà di movimento, la situazione non potrà che peggiorare per tutti e tutte
La piccola isola di Lampedusa costituisce una sorta di scialuppa di salvataggio naturale. Pur appartenendo all’Italia, si trova a circa cento miglia davanti alla costa tunisina, il che la rende storicamente un approdo strategico oltre che un rifugio naturale per le persone in cerca di sicurezza.
La scorsa settimana, in poco più di ventiquattr’ore, sono arrivate sull’isola oltre settemila persone. Anche se in precedenza gli approdi hanno raggiunto il picco di poche migliaia, questo numero è insolitamente elevato. Nel completare il loro viaggio attraverso mari spietati queste persone sono state fortunate: nel 2015, quel percorso è stato il più letale del mondo. Ma anche dopo aver raggiunto un presunto luogo sicuro, è apparso chiaro che la loro dura prova non era ancora finita. Migliaia di persone sono state lasciate a dormire fuori al caldo, con poco o niente cibo e acqua, e molte sono state rinchiuse e picchiate dalla polizia.
Per la destra l’emergenza immigrazione è diventata un fenomeno emblematico, prova lampante che l’Europa è assediata e ha bisogno di rafforzare le sue difese. Sono circolate di nuovo speculazioni sul «blocco navale», come proposto dalla leader di estrema destra Giorgia Meloni prima della sua elezione a presidente del consiglio dello scorso autunno. Il problema è che quasi nulla di ciò che a destra si dice su questo tema corrisponde al vero.
Gli amministratori locali di Lampedusa e molte persone comuni non si sono lamentate delle «invasioni», hanno piuttosto accolto coloro che cercavano sicurezza e hanno fatto del loro meglio per fornire aiuti. Hanno sottolineato come le infrastrutture siano state sopraffatte perché, nonostante gli sforzi della comunità, a livello nazionale è stato fatto poco per prepararsi a questi arrivi. D’altro canto un simile aumento degli sbarchi non si sarebbe verificato se ci fossero stati soccorsi coerenti e coordinati in mare. I lampedusani hanno già affrontato questi problemi in passato: i campi hanno ospitato fino a cinque volte il numero di persone per cui sono attrezzati a prendersi cura, e i trasferimenti verso l’Italia continentale sono stati tardivi e limitati.
Inoltre, l’emergenza Lampedusa è sintomo della limitazione, non dell’esistenza, degli aiuti in mare. Il mese scorso, in questo periodo, eravamo impegnati in una missione civile di ricerca e salvataggio nel Mediterraneo centrale, a poca distanza dalla costa libica. Dopo aver salvato 114 persone, tra le quali alcune in pericolo di vita dopo essere rimaste alla deriva senza cibo, acqua o carburante per sei giorni, la nostra nave è stata bloccata dalle autorità italiane. All’epoca scrivevamo di come il nostro lavoro fosse continuamente frustrato da coloro che avrebbero dovuto assisterci. Questa ostilità crea situazioni insostenibili come quella di Lampedusa; uno sforzo europeo di ricerca e salvataggio permetterebbe di distribuire le persone in luoghi diversi, evitando una pressione schiacciante su qualsiasi luogo.
Soprattutto, le persone non salirebbero su imbarcazioni non sicure e non farebbero viaggi disperati verso le isole italiane se avessero accesso alla protezione internazionale, che è stata sistematicamente erosa dai governi europei negli ultimi dieci anni. La lobby europea per il controllo dell’immigrazione stringe il continente in un circolo vizioso, creando crisi e miseria, per poi sfruttarne le conseguenze spettacolari in modo da chiedere di continuare a fare le stesse cose.
La frontiera italiana
La presidente del consiglio italiano Giorgia Meloni non ha perso tempo nel cercare di trarre vantaggio politico dall’emergenza Lampedusa. In pochi giorni, il suo governo ha concordato un aumento del limite di detenzione dei migranti da tre a diciotto mesi, nonché la creazione di una serie di centri di detenzione in aree remote del paese. Ulteriori misure, secondo quanto riferito, sono in arrivo. Tali mosse presagiscono una terribile situazione rispetto ai diritti umani: basta guardare la rete dei campi di detenzione in Grecia per vedere le condizioni miserabili e insostenibili in cui le persone sono costrette a vivere.
Tuttavia, questa mossa è un segno di debolezza, non di forza. L’anno scorso, nel periodo precedente alla sua elezione, Meloni ha accusato i suoi concorrenti a destra di aver fallito sui numeri dell’immigrazione. Ora la tattica si ripete contro di lei, accusata di tradimento dei suoi elettori. Si tratta in parte di opportunismo, in parte di una reazione alla partita che sta giocando sulle migrazioni.
Da un lato, Meloni ha inasprito le misure di controllo delle frontiere e l’Italia continua a vanificare il lavoro delle squadre di soccorso. Dall’altro lato, ha seguito le orme dei leader precedenti nell’ammettere che l’Italia ha bisogno di forza lavoro migrante e addirittura ha previsto l’obiettivo di 833.000 nuovi lavoratori migranti nei prossimi anni. Ciò non sorprende coloro che seguono da vicino le politiche migratorie: il ruolo che i confini rigidi svolgono nelle economie capitaliste avanzate di solito non riguarda tanto la prevenzione effettiva della migrazione ma ha a che fare con la disciplina e il contenimento dei salari e delle condizioni dei lavoratori migranti a breve termine una volta arrivati, anche con la minaccia di espulsione. Ma quello che sembra essere un approccio contraddittorio l’ha portata a camminare sul ghiaccio sottile.
Tuttavia, ha dimostrato un livello di iniziativa che pochi altri politici hanno avuto, affrontando il problema che altri rifuggono. Ciò ha comportato compromessi interessanti: sull’obiettivo di lavoratori migranti ma anche sulla retorica del dover affrontare «le cause profonde» della migrazione con gli aiuti allo sviluppo, riconoscendo il ruolo del cambiamento climatico e della povertà nell’indurre il movimento.
Le effettive conseguenze politiche di questa attenzione non sono quelle che sembrano. Ciò che il governo italiano intende per cooperazione allo «sviluppo» è esemplificato dal nuovo accordo con la Tunisia: sostegno all’economia e alle forze militari di uno Stato che ha brutalmente represso rifugiati e migranti, in cambio dell’attuazione del controllo delle frontiere per conto dell’Europa. Mentre l’accordo con la Tunisia viene salutato come il futuro dei «partenariati» migratori, la sua guardia costiera lascia le persone a morire nel deserto e le sue autorità negano a politici e giornalisti l’accesso per monitorare gli effetti di queste mosse.
Il Team Europa va in Tunisia
Meloni si è distinta dai leader europei prendendo in mano la situazione e muovendosi rapidamente e abilmente oltre i confini. Ha guidato l’estrema destra europea nel chiedere maggiori finanziamenti all’Ue per muri e armi. Ha coinvolto nella sua strategia i governi nordafricani e perfino alcuni settori delle Ong. Ora ha abbracciato Ursula von der Leyen a Lampedusa, in una visita che rappresenta una convergenza politica attesa da tempo.
Von der Leyen è arrivata a Lampedusa pochi giorni dopo il suo discorso sullo stato dell’Unione europea, di fatto una campagna elettorale per il suo secondo mandato, che si articola nell’auspicio di una composizione del Parlamento europeo più a destra rispetto a quella attuale. Per quanto riguarda l’immigrazione, il suo fulcro è stata la ripetizione dei benefici dell’accordo con la Tunisia concordato dall’Italia di Meloni, dalla stessa Von der Leyen e da Mark Rutte dei Paesi Bassi all’inizio di quest’anno e sopra la testa delle istituzioni europee.
In seguito alle esplosioni razziste del presidente tunisino Kais Saied e alla violenta repressione nei confronti dei migranti, l’Ue ha promesso oltre 100 milioni di euro in attrezzature finanziarie e per la sicurezza e il controllo delle frontiere. Oltre a sostenere un governo sul filo del rasoio, questo accordo e altri simili rappresentano una miniera d’oro per la nuova industria europea degli armamenti e della sicurezza, che i leader dell’Ue sperano di promuovere come parte di una più ampia strategia di crescita.
L’annuncio di Von der Leyen secondo cui l’Ue «accelererà la fornitura di attrezzature e aumenterà la formazione delle guardie costiere tunisine e delle altre autorità di contrasto» dovrebbe essere letto nel contesto di come gli Stati europei hanno trasformato la «guardia costiera» libica in una forza paramilitare irresponsabile cui viene concessa carta bianca per trascinare indietro, molestare e sparare alle barche che attraversano il Mediterraneo.
L’accordo con la Tunisia ha dato forma anche al «piano in dieci punti per Lampedusa» di Von der Leyen. Il piano contiene alcuni elementi positivi, come l’assistenza al trasferimento delle persone fuori Lampedusa. Tuttavia, è caratterizzato ancora da politiche di controllo e repressione, che hanno fallito i loro stessi obiettivi e hanno causato una miseria infinita. Il nuovo piano rafforza ancora una volta il ruolo di Frontex, l’agenzia di frontiera dell’Ue, i cui fulminei aumenti di budget e potere non sono stati frenati dalle indagini sulle presunte violazioni dei diritti umani nell’ultimo anno. Il piano intende anche accelerare le deportazioni, costringendo le persone a ritornare verso paesi di origine non sicuri, soprattutto nella regione del Sahel, afflitta da conflitti e crisi.
Le deportazioni non impediranno il movimento delle persone: coloro che cercano di sfuggire a situazioni da incubo semplicemente ci riproveranno. L’obiettivo finale di Von der Leyen sono le bande di trafficanti. Eppure la politica europea sulle frontiere ha dato potere ai trafficanti, a volte direttamente attraverso alleanze e altre attraverso la negazione di rotte sicure che hanno come primo esito la creazione di un mercato per il contrabbando. Come afferma Chris Jones, direttore di Statewatch: «La situazione a Lampedusa è stata causata da un modello disfunzionale di gestione delle migrazioni progettato per trasformare un fenomeno in gran parte benefico – le migrazioni appunto – in una minaccia assoluta che richiede risposte costose ed eccezionali. Questo modello produce autoritarismo e militarizzazione».
Oltre all’Italia e alle istituzioni a livello europeo, anche altri Stati membri si stanno mobilitando attorno a Lampedusa. La Francia ha inviato truppe e droni al confine con l’Italia, mentre la Germania ha sospeso le procedure di asilo. Il primo ministro polacco, Mateusz Morawiecki, nel frattempo, si è opposto al piano in dieci punti di von der Leyen sulla base del fatto che qualsiasi potenziale ridistribuzione attraverso l’Ue delle persone in cerca di sicurezza darebbe spazio ai trafficanti.
Il problema qui non è il numero degli arrivi a Lampedusa, che è significativo per questa piccola isola, ma non in termini generali. Von der Leyen spera di far approvare il nuovo patto di asilo e migrazione dell’Ue, che include un «meccanismo di solidarietà» limitato basato sul sostegno agli Stati di confine o sulla ridistribuzione delle richieste di asilo. Il patto stesso, inoltre, restringe ulteriormente il diritto di asilo. E la possibilità per gli Stati del meccanismo di solidarietà di fornire finanziamenti agli Stati di confine invece di accettare richieste è essenzialmente una carta per sovvenzionare l’architettura di detenzione proprio dei paesi di confine.
Tuttavia, anche questa mossa moderata è eccessiva per aree dell’Europa settentrionale e orientale. E il rifiuto da parte del Nord Europa dei meccanismi di solidarietà tra Stati membri alimenterà la tesi italiana e greca secondo cui sono stati lasciati fare da soli da Stati potenti. In breve, tutti i principali attori in Europa stanno facendo politica utilizzando le vite delle persone.
Un’emergenza continentale
La causa immediata dell’emergenza Lampedusa sembra essere stata l’impatto di una fase meteorologica estremo che ha generato un’ondata di persone che cercavano di fuggire dalla Tunisia non appena si fosse aperta una finestra di possibilità. Nella vicina Libia, almeno undicimila persone sono state uccise nel giro di una settimana e molte altre sono state costrette a sfollare a causa delle gravi inondazioni. Una ricerca condotta da World Weather Attribution dimostra che il riscaldamento causato dall’uomo ha reso le forti piogge fino a dieci volte più probabili in Grecia, Bulgaria e Turchia e fino a cinquanta volte più probabili in Libia, con la costruzione nelle pianure alluvionali, la scarsa manutenzione delle dighe e altri fattori locali che trasformano i cambiamenti climatici in disastri umanitari.
A luglio, mentre Italia e Grecia davano priorità al controllo dell’immigrazione mentre erano assediate dagli incendi, sembrava che l’Europa si trovasse di fronte al bivio tra concentrarsi sulla crisi generata a tavolino del controllo dell’immigrazione o impiegare quelle risorse per affrontare le crisi reali che travolgono la regione, dall’aumento della povertà e della disuguaglianza all’aggravarsi degli impatti del cambiamento climatico. Questo bivio è stata confermato dalle recenti inondazioni che hanno colpito la regione euro-mediterranea.
Ancora una volta si è rivelata carente qualsiasi leadership seria. Il dibattito sulle migrazioni è rimasto stagnante, continuando a riproporre la stessa tesi a favore di altri muri anche se la loro brutalità – e inefficacia anche nella loro stessa prospettiva – è stata dimostrata più e più volte. Le prove sono state sostituite dall’opportunità politica: l’estrema destra definisce il campo e il resto dello spettro politico mainstream risponde allo stesso modo, ripetendo le stesse fandonie o perché non è disposto ad articolare un’alternativa chiara o perché anch’esso beneficia di queste scelte.
Fasi come quella dell’emergenza Lampedusa vengono manipolate per sostenere le ragioni sempre dello stesso approccio. Solo che se venissero lette nel modo corretto, non dovrebbero legittimare la scelta di fare muri più alti ma di impegnarsi in un lavoro di salvataggio coordinato, con infrastrutture per garantire che tutti possano condividere i vantaggi della migrazione e veri aiuti umanitari con il ripristino del diritto di asilo.
L’incapacità di farlo si ripercuote su tutti noi. In tutto il continente, coloro che detengono il potere utilizzano l’argomento del controllo dell’immigrazione per dividere e rendere le persone disumane, per distrarre dai fallimenti dello Stato, per creare una forza lavoro sfruttata con diritti limitati o nulli in una corsa al ribasso e per riversare risorse verso confini militarizzati invece di affrontare le molteplici emergenze reali che abbiamo di fronte. Fino a quando non riusciremo a salvare il dibattito sull’immigrazione dall’attuale stallo, le condizioni – sia per coloro che languiscono a Lampedusa che, in ultima analisi, per molti altri di noi – non potranno che peggiorare.
*Nathan Akehurst lavora nel campo della comunicazione politica e della tutela legale. Joe Rabe è un volontario civile impegnato nellaricerca il salvataggio dei migranti, medico e fotografo. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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