Il diritto di bambine e bambini a uno stato sociale
L'educazione dei figli è stretta tra le instabilità familiari della working class e le ansie perfezioniste dei professionisti della classe media. Ciò che occorre, invece, è responsabilità sociale e collettiva
Fu necessaria la devastazione della Guerra Civile americana per far sì che il governo varasse delle misure a favore dei veterani e delle loro famiglie. L’attenzione verso l’infanzia e la sua inviolabilità si intensificò dopo la prima guerra mondiale, quando nella società divenne più forte un profondo senso di responsabilità nei confronti dei veterani, delle vedove e dei loro figli. Anche le migrazioni di massa, l’industrializzazione e le crisi finanziarie furono fenomeni che obbligarono a un ragionamento sulle responsabilità collettive nei confronti dei più vulnerabili e delle loro sofferenze. Sorsero allora movimenti, guidati da attivisti come Jane Adams e Eugene V. Debs, che esigevano la creazione di servizi sociali e un welfare pubblico per lavoratori e lavoratrici.
All’alba del nuovo secolo, i lavoratori dovettero scontrarsi con una classe nuova, diversa dai capitalisti: la classe dei dirigenti, degli ingegneri, degli esperti, dei pubblicitari. In un saggio del 1976, intitolato The Professional Managerial Class, Barbara e John Ehrenreich definirono le qualità più rilevanti di questa nuova classe media, situata a metà fra i proletari e i capitalisti, che reclamava la redistribuzione della ricchezza condannando al tempo stesso le abitudini di consumo della classe lavoratrice. Il ruolo che ricoprivano nella lotta di classe non era evidente, ma nel tempo i professionisti della classe media si rivelarono sempre più funzionali al capitalismo, aprendo la strada a nuove forme di disciplinamento culturale che servivano a ribadire l’ordine costituito. Con una fede cieca nel proprio ruolo di arbitro della moralità e dei costumi dettarono le regole e impose la cultura che ha plasmato l’educazione dei figli di generazioni di statunitensi.
Benjamin Spock fu una delle figure più influenti di questa nuova classe. Diffondendo le teorie psicoanalitiche su piacere e identificazione, giocò un ruolo importante nella creazione dell’identità della nuova classe media professionale. Nel suo best-seller Baby and Child Care, inizialmente pubblicato nel 1945 – quando i primi baby boomer iniziavano a gattonare – Spock consigliò ai genitori di fidarsi del proprio istinto. Anche se le lodi fatte da Spock alla semplicità e all’intuizione potevano sembrare un antidoto all’autoritarismo diffuso, i suoi lettori erano composti principalmente da una classe media figlia del boom economico che attraverso i beni di consumo cercava sicurezza e legittimazione, e le trovò entrambe nelle nuove idee sull’educazione dei bambini.
Rompendo con una tradizione familiare fatta di severità e disciplina, la nuova generazione di ricchi genitori/consumatori statunitensi si distinse dalle precedenti e dai genitori della working class per l’entusiasmo con cui abbracciò i consigli degli esperti. Sebbene Spock avesse messo in guardia i genitori sia dai metodi vecchio stile sia dalle mode educative, riuscì a confezionare le proprie idee in modo talmente accattivante che il suo libro fu definito “il best-seller americano del Ventesimo secolo più venduto dopo la Bibbia”. Persino durante la sua fase di attivismo di sinistra negli anni Sessanta, quando finì sotto attacco per le sue simpatie radicali, i suoi critici continuarono a definirlo con il suo titolo professionale, e cioè “dottore”. Il Dr. Spock alimentò così l’amore della classe dirigente per la professionalità in quanto tale, sebbene ricordasse instancabilmente ai suoi lettori che nessuno di loro aveva le conoscenze necessarie: “Puoi leggere tutti i libri e gli articoli che vuoi, ma un’osservazione attenta resterà sempre la tua fonte principale di conoscenze. Il che significa soprattutto guardare e ascoltare il tuo bambino, passarci del tempo insieme, e non semplicemente nutrirlo e lavarlo… e fidarti di te stesso. Perché ne sai molto più di quello che credi”.
I legami familiari instabili della working class
Nel 1970, la nascente classe media professionale dei baby boomer scivolava nell’auto-indulgenza delle nuove religioni orientaleggianti, privilegiando l’espressione del proprio sé ai vecchi legami familiari, e giudicando come tradizionalisti retrogradi i propri fratelli e sorelle in tuta blu. Oggi, però, la situazione sembra essersi invertita. Gli storici e i sociologi come Jefferson Cowie e Jennifer Silva hanno dimostrato che la working class statunitense ha una vita familiare più instabile, divorzia più frequentemente e ha una percentuale maggiore di genitori single della classe media professionale. Dopo quattro decadi di attacchi capitalisti, le famiglie della working class e i loro legami di parentela sono a un punto di rottura. Dovendo affrontare licenziamenti ed esuberi, infatti, risulta quasi impossibile per i lavoratori e le lavoratrici stabilire relazioni durature e legami familiari forti.
Per gli statunitensi con un’istruzione universitaria è invece molto più frequente sposare qualcuno con lo stesso background sociale e rimanere sposati. Negli ultimi cinquant’anni, le famiglie dei professionisti della classe media sono diventate un autentico fortino in cui riprodurre il privilegio di classe. Sin dal momento del concepimento, che per loro è sempre una “scelta”, il bambino, la sua salvaguardia e l’ottimizzazione del suo “potenziale” sono diventate delle preoccupazioni assillanti. Al contrario, il 40% dei bambini statunitensi concepiti al di fuori del matrimonio è considerato indegno dell’attenzione e delle preoccupazioni pubbliche. Non è un’esagerazione dire che la riproduzione del privilegio di classe o, come la mette Ehrenreichs, “il mantenimento dell’ordine costituito”, inizia a manifestarsi nella configurazione che assume l’infanzia dei singoli individui.
L’ansia genitoriale dei professionisti della classe media
Paula Fass identifica nella paura uno dei tratti distintivi della genitorialità della classe media, dal momento che i “[genitori della classe media] immaginano cosa potrebbe essere costretto ad affrontare nel futuro [della sua vita adulta] un bambino che dimostrasse scarse capacità”. Nel suo best-seller Perfect Madness: Motherhood in an Age of Anxiety, Judith Warner denuncia l’angosciante, competitivo perfezionismo con cui è vissuta la maternità nella classe media professionale. Dal 2006, anno in cui è uscito il libro di Warner, l’ansia con cui è vissuta la genitorialità è addirittura aumentata. La redattrice di Jacobin Megan Erickson sostiene che queste ansie e paure non sono del tutto infondate, “dato che la crisi finanziaria del 2008-2009 non ha fatto altro che esacerbare la differenza interna tra le classi, presente persino nell’1% più ricco del paese, alimentando di fatto la guerra di classe dall’alto verso il basso”. La mania per l’educazione dei bambini è diventata un lusso per pochi, in una società dove la polarizzazione economica e il collasso delle istituzioni pubbliche e dei servizi hanno diminuito considerevolmente il benessere di bambini e bambine e di chi si occupa di loro.
Genitori perfezionisti stanno dando vita a vere e proprie crociate interne al ceto medio, e non esitano ad assillare tate, babysitter, insegnanti, nonne, e altri genitori sugli effetti orripilanti dei vaccini, degli schermi dei telefonini, del solletico, delle facce delle bambole, delle caramelle a forma di sigarette, delle caramelle in generale. Per i loro bambini e bambine pretendono un trattamento di favore che ne rivendichi la superiorità sociale, ostentando indifferenza per le esperienze degli altri.
Questo tipo di ansia parentale comincia presto per i genitori più facoltosi, ma la loro fede nelle mode e nelle tecnologie educative del momento è colpevolmente alimentata dalle start-up e dal mondo dell’imprenditoria. Prendiamo ad esempio lo Smart Sock della Owlet, ideato e sviluppato dal National Institute of Health (Nih): è un calzino per bambini che ha lo scopo di monitorare il ritmo cardiaco e i livelli di ossigeno del tuo bambino o bambina durante il sonno; lo Smart Sock accumula un mucchio di dati su quel piccolo fagottino d’amore, mandando un messaggio d’allerta sullo smartphone dei genitori se qualcosa non quadra. Nel 2012, la Owlet ha ricevuto 3 milioni di dollari dall’Nih e 25 milioni di investimenti privati, e sia gli investitori che il governo hanno rivendicato il loro interesse per salute dei bambini e delle bambine statunitensi, non senza risultare ridicoli. I programmi federali dell’epoca Obama erano talmente innamorati dello spirito imprenditoriale da far sì che l’Nih appoggiasse l’idea orwelliana di “asili nido interconnessi” – tutto, ovviamente, a spese dei contribuenti.
I bambini e le bambine “Owlet”
Smart Socks o no, dovremmo davvero essere così preoccupati della salute dei nostri bambini e delle nostre bambine? I dati della Banca Mondiale sulla mortalità al di sotto dei cinque anni ci mostrano che in realtà sono stati fatti degli incredibili passi avanti in questo settore negli ultimi cinquant’anni. Grazie ai vaccini per la polio, il vaiolo e altre malattie, le morti infantili ogni 1.000 nascite sono passate dall’essere 93,4 nel 1960 a 40,8 nel 2016. Negli Stati uniti la diminuzione della mortalità infantile è ancora più evidente, con le 30 morti ogni 1.000 nascite del 1960 diventate oggi solo 6,5 – senza l’aiuto della Owlet e del suo Smart Sock.
E allora, cos’è esattamente che rende il gadget della Owlet attraente per gli investimenti pubblici e privati? Semplicemente, la sua capacità di annullare la comunicazione tra genitori e bambini: la più carnale e intima delle relazioni umane è ridotta a un cocktail amaro di ansia e impulsi digitali. I bambini e le bambine “Owlet” sono stranamente incapaci di richiedere le attenzioni di cui hanno bisogno: per avvertire i genitori dei bisogni dei bambini c’è bisogno di un sensore, di una app, o di uno smartphone. Da quando il divario tra ricchi e poveri è aumentato e la mobilità sociale è diminuita, le case della classe dirigente sono diventate degli asili nido pieni di attrezzature sempre più costose e sfarzose, sedi di sofisticate tecniche educative.
Questa guerra di classe dall’alto ha avuto conseguenze disastrose per i bambini e le bambine statunitensi e per chi se ne prende cura, e il conto che ha presentato alle famiglie povere è incredibilmente salato. Recentemente, l’Urban Institute ha rilevato che i bambini rappresentano il segmento più povero della società statunitense, con il 22% che vive in povertà assoluta e il 38,8% che ha fatto esperienza di qualche forma di povertà. I numeri sui bambini e le bambine afro-americane sono ancora più sconcertanti: il 38,8% di bambini neri vive in povertà assoluta, mentre ben il 75,4% ha vissuto in povertà per un periodo.
I genitori “abbastanza bravi” e la responsabilità collettiva
Mentre le fisime educative dei professionisti della classe media promuovevano tecniche sempre più elaborate, D.W. Winnicott lodava la premura delle madri e dei padri per così dire normali, che riescono a legare con i propri figli e figlie con naturalezza, e garantire loro la salute mentale necessaria per giocare, sviluppare la propria creatività e affrontare la complessità del quotidiano. Anche se Winnicott promuoveva un’idea di cura della prole non attribuibile in via esclusiva a un genere specifico, nel discutere le sue teorie userò, per brevità, l’espressione di “madre abbastanza brava”. La “madre abbastanza brava” risponde ai bisogni del bambino o della bambina in maniera sempre più o meno imperfetta: dopo una fase iniziale di dipendenza totale – tipica dei bambini appena nati – una “madre abbastanza brava” si adatta alla crescita fisica ed emotiva del proprio figlio o figlia negando una risposta immediata ai suoi bisogni, e sviluppandone così la capacità di sopportare la frustrazione. Questo ignorare parzialmente le necessità del bambino corrisponde spesso a un impegno del genitore in altre attività, e rappresenta un’opportunità per la prole di sviluppare una tolleranza ai sentimenti di frustrazione e di riconoscere il proprio sé e quello dell’altro come due elementi distinti. Il caso più famoso studiato da Winnicott, descritto nel libro Holding and Interpretation, tratta di un uomo incapace di provare eccitazione o di avere una reazione spontanea, la cui madre, anziché provare a empatizzare con lui quando era piccolo, aveva invece tentato di essere una “madre perfetta”.
Nella sua introduzione al libro The Child, The Family, and the Outside World, pubblicato nel 1964, Winnicott scrive:
“Voglio sottolineare l’immenso contributo dato allo sviluppo dell’individuo e della società nel suo complesso dalle madri e dai padri assolutamente normali, e che consiste essenzialmente nell’essere attente ai loro figli. Non è forse il loro contributo talmente grande da essere impossibile riconoscerlo completamente? Se questo contributo fosse riconosciuto appieno vorrebbe dire che chiunque sia sano, chiunque senta di aver trovato il proprio posto nel mondo, chiunque veda il mondo come dotato di senso, in sostanza chiunque sia felice deve in qualche modo la propria felicità a una figura materna […] Il risultato di questo riconoscimento del ruolo materno […] non deve però essere di gratitudine o di lode. Il risultato deve portarci a sconfiggere le nostre paure. Fin quando la nostra società si rifiuterà di riconoscere il ruolo fondamentale ricoperto dalle figure materne nel rapporto di dipendenza totale che si instaura nelle prime fasi dello sviluppo di ciascun individuo, allora mancherà sempre qualcosa per raggiungere uno stato di salute completo; ci sarà sempre una sorta di blocco, un blocco che deriva da una paura.”
Nella Gran Bretagna post Seconda Guerra Mondiale, Winnicott esaltava quel meccanismo di redistribuzione della ricchezza che avrebbe permesso a un maggior numero di inglesi di godere del benessere che lui stesso aveva sperimentato durante la propria, privilegiata infanzia. Quell’infanzia che gli aveva permesso di alimentare il proprio spirito di osservazione, la propria capacità di provare empatia e di giocare – tutte opportunità che ciascun bambino o bambina senza dubbio merita.
Anche se è difficile immaginare un giorno in cui la ricchezza delle esperienze tipiche dell’infanzia sia considerata un bene comune, era solo cinquant’anni fa che Winnicott usava le sue teorie psicoanalitiche per fondare l’idea di una responsabilità collettiva e reciproca nella cura dei bambini e delle bambine. L’infrastruttura necessaria e davvero poco glamour per dei “genitori abbastanza bravi” è però uno stato “abbastanza buono”, cioè basato su un sistema redistributivo della ricchezza di ispirazione social-democratica.
Se il genitore “abbastanza bravo” può essere ormai acclamato quale bene comune, ed elemento culturalmente integrato nella società, abbiamo bisogno di costruire una società in cui i rapporti di dipendenza, come quelli fra genitori e figli, non siano temuti o demonizzati. Possiamo iniziare a costruire un mondo in cui nessun bambino o bambina debba mai più essere “addestrato” o “sintonizzata” sulle qualità che gli permettono di “avere successo” o di “eccellere”. Saremo in grado di immaginare un mondo in cui il piacere del gioco e dell’ambiente in cui esso si svolge saranno una priorità per chi decide come redistribuire la ricchezza sociale. Saremo in grado di immaginare un mondo in cui i bambini e le bambine comunicano serenamente con i propri genitori o con chi se ne prende cura perché hanno tutto lo spazio e il tempo di cui hanno bisogno per legare con loro, nella ricchezza di un’esperienza di vita che si espande continuamente.
*Catherine Liu è una docente di studi audiovisivi alla UC Irvine. Tra i suoi interessi di ricerca ci sono le attitudini politiche e culturali della classe media professionale statunitense. Qui l’articolo originale pubblicato sull’ultimo numero cartaceo di Jacobin Usa. La traduzione è di Gaia Benzi.
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