
Il Cile cancella la Costituzione di Pinochet
Ciò che non è stato fatto in trent'anni dai partiti che hanno amministrato la transizione democratica, l’ha fatto la classe lavoratrice in pochi mesi di movimento. Ora si apre la battaglia per un nuovo Cile
Domenica 25 ottobre in Cile si è realizzato uno storico referendum. La popolazione si è recata alle urne dove ha trionfato il Si alla domanda «Vuole una Nuova Costituzione?». Sì è così realizzata una richiesta democratica sostenuta da almeno quarant’anni e che era ormai diventata ineludibile da quando, un anno fa, era cominciata la rivolta sociale: porre fine alla Costituzione di Pinochet.
Quello che non hanno fatto in trent’anni i partiti che hanno amministrato la transizione democratica, l’ha fatto la classe lavoratrice in pochi mesi. Ricordiamo che questo referendum, fissato originariamente per lo scorso aprile e spostato a ottobre a causa del Covid-19, è stato il risultato dell’Accordo per la Pace Sociale e la Nuova Costituzione firmato dalla maggior parte dei partiti dell’arco parlamentare la mattina del 15 novembre 2019, a meno di 48 ore dallo Sciopero Generale che ha dato scacco al governo e obbligato l’establishment politico a fornire una valvola istituzionale a una rivolta con un carattere espressamente destituente.
Sarà ovviamente necessario fare un’analisi dettagliata dei risultati, ma nel momento in cui scrivo sappiamo che il Si ha ottenuto il 78,27% delle preferenze e il No il 21,73%. Il No ha avuto la maggioranza solo in cinque municipi del paese, tre dei quali sono di fatto quelli in cui si concentrano le persone più ricche del Cile. Sui social network circola già questa leggendario slogan: «Non erano trenta pesos, sono tre comuni», che reinventa lo slogan dei primi giorni di rivolta sociale che, con una sintesi efficace, riassumeva nella causa scatenante dell’esplosione popolare – un aumento di trenta pesos del prezzo dei trasporti – il complessivo bilancio di tre decenni di democrazia neoliberista.
Si è trattato di un voto eminentemente di classe, non solo perché nei settori popolari urbani la partecipazione elettorale è aumentata in maniera evidente, ma anche perché in quelle aree il Si ha ottenuto circa il 90% delle preferenze. Sono particolarmente degni di nota i risultati delle «zone del sacrificio ambientale», ossia quei luoghi devastati dalle attività dell’estrattivismo minerario ed energetico, attraversati da gravi crisi idriche e socio-ambientali, dove la popolazione da anni affronta le grandi imprese che incarnano la devastazione. È il caso di Freirina, di Petorca e di almeno sei altri comuni in cui il Si ha superato il 90%.
I sondaggi anteriori al referendum segnalavano che il 70% della popolazione identificava il No con i militari, con i grandi imprenditori e il governo. Ovviamente questo voto è stato anche contro di loro, ma non solo. Il trionfo schiacciante del Si era atteso, la sorpresa è arrivata dai risultati della seconda scheda in cui gli elettori dovevano esprimersi su questa domanda: «Quale organo dovrebbe redigere la Nuova Costituzione?». Si è imposta con il 78.99% dei voti la Convenzione Costituzionale – che sarà paritaria di genere e i cui membri saranno scelti al cento per cento dal voto popolare – sul 21,01% ottenuto dalla Convenzione Mista (che non sarebbe stata paritaria, con i membri scelti per metà dal voto popolare e per l’altra metà composta da parlamentari attualmente in carica).
Bisogna infine menzionare l’aumento della partecipazione in queste consultazioni elettorali. In termini assoluti, ci sono stati 500mila voti in più del primo turno presidenziale del 2017, un incremento giustificato dalla maggiore partecipazione nei municipi di estrazione popolare. Si tratta di un’inversione di tendenza, dopo tre decenni di sistematica riduzione della partecipazione elettorale. In termini relativi, è fondamentale considerare che questo referendum ha avuto luogo in un contesto pandemico, con comuni che si trovano ancora in quarantena. Pertanto sarà opportuno studiare i dati per interpretare in maniera corretta questo aumento (chi sono quelli che sono andati a votare ma che non votavano in precedenza? Chi non ha votato e perché?).
Qual è il significato politico di questi risultati?
In primo luogo, si tratta di uno dei punti più alti del movimento destituente che è nato con la rivolta dell’ottobre 2019. Questo impulso popolare ha individuato nella Costituzione Politica della Repubblica del 1980 il principale banco di prova del suo desiderio destituente. In secondo luogo, abbiamo un’immensa maggioranza di voti a favore di un organo di redazione costituzionale col cento per cento dei membri eletti dal voto popolare. Possiamo leggerlo come un voto contro chi ha governato negli ultimi tre decenni, siano di destra o di centrosinistra. Infine, si tratta di un colpo politico schiacciante diretto contro i settori più reazionari dello spettro politico (dentro e fuori lo Stato) che si erano organizzati nella campagna per il No. Si profilava la minaccia della formazione di un polo politico su base nazionalista, evangelica e pinochettista ed è stato contro quel fronte che è stato inflitto il colpo più duro inflitto da questo uqasi 80% di voti per il Si.
Quali sono le sfide future?
Il referendum ha rappresentato forse il culmine di questa fase destituente, nel senso di una critica che mette sotto accusa il regime politico ed economico che ha governato il Cile dagli anni Settanta. Quel che si apre adesso è la fase costituente, nel senso di un confronto tra i progetti di società che si apriranno la strada nel dibattito costituzionale prima, durante e senza subbio dopo la Convenzione Costituzionale.
Una prova in tal senso sta nel fatto che le organizzazioni padronali sottolineano da mesi l’importanza di lavorare su un progetto di Costituzione che rappresenti i loro interessi come proprietari terrieri, industriali e possessori di capitale finanziario, garantendo la libertà d’impresa, la proprietà privata e la massima stabilità politica del regime, ossia chiudendo la porta in faccia al protagonismo popolare.
La sfida principale è questa: che nonostante l’intenzione di chi sta in alto di dirigere e plasmare il processo della Nuova Costituzione, sia in realtà la classe lavoratrice a porsi alla testa del dibattito costituzionale. Data la situazione attuale dei settori mobilitati e il rapporto tra le forze in campo, come sarà possibile affrontare questa sfida?
In primo luogo, è particolarmente importante costruire una forza a partire dalla maggiore unità possibile dei settori che si propongono il superamento del capitalismo e vedono in questo processo costituente un’opportunità di progresso. Quest’ampia unità politica e sociale deve avere come base la lealtà verso le aspirazioni, espresse nella rivolta sociale, delle grandi masse precarie che hanno riempito piazze e strade dall’ottobre dello scorso anno. Una forte soggettività popolare con un marcato protagonismo femminista che incarna ampie fasce di lavoratrici.
In secondo luogo il dibattito costituente richiede che il popolo sviluppi, discuta e socializzi le prospettive programmatiche con una forte mobilitazione nel corso dei lavori della Convenzione Costituzionale, di modo che sia all’interno della Convenzione che fuori ci sia la piena coscienza della posta in gioco in questo processo. Questo permetterà anche di sostenere le mobilitazioni di piazza per fare pressione su chi farà parte della Convenzione, di fronte a tentativi di far retrocedere la volontà trasformativa del processo costituzionale. Sarà assolutamente rilevante recuperare i progressi programmatici realizzati dalla Coordinadora de Trabajadores/as No+Afp su un nuovo sistema di welfare sociale e gli Encuentros Plurinacionales de las y les que Luchan organizzati nel 2018 e nel 2020 dalla Coordinadora Feminista 8M, che al momento rappresentano uno dei punti programmatici più avanzati dal punto di vista della trasversalità delle trasformazioni formulate dai movimenti sociali.
Infine è importante che il protagonismo delle masse nel dibattito costituente abbia come controparte la capacità di costruire alternative proprie, che rappresentino i propri interessi nella Convenzione Costituzionale, senza subalternità verso i partiti della transizione neoliberista. Chi ha amministrato per decenni quel mondo che adesso il popolo ha messo davanti al banco d’accusa, si prepara a raccogliere con mani traditrici i frutti della lotta che altri hanno sostenuto. Identificandosi falsamente con un trionfo elettorale che era rivolto anche contro di loro, cercano di riannodare un patto sociale rotto che li connetta con una base sociale. Superare queste sfide e difendere l’indipendenza di classe sarà un compito politico di primo piano.
*Pablo Abufom è traduttore e redattore di Posiciones, Revista de Debate Estratégico. Fa parte del collettivo editoriale di Jacobin America Latina. Karina Nohales è avvocata e portavoce della Coordinadora Feminista 8M (Cile), fa parte del collettivo editoriale di Jacobin America Latina.
Questo articolo è uscito su Jacobin America Latina. La traduzione è di Alberto Prunetti.
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