La lobby pro-Israele sconfigge Cori Bush
Nonostante l'entusiasmo per la scelta di Tim Walz come vice di Kamala Harris, la Squad, il gruppo di deputate di sinistra, perde alle primarie Cori Bush, nuova vittima della guerra dell'Aipac ai deputati con posizioni pro-palestina
Il 6 agosto 2024, giorno in cui l’entusiasmo generale ha accompagnato la nomina a vicepresidente di un personaggio fuori dal coro come Tim Walz, si sono svolte due importanti primarie in Michigan e in Missouri che vedevano coinvolte Rashida Tlaib e Cori Bush, tra più le agguerrite deputate della Squad, il gruppo progressista guidato, ma solo per popolarità, da Alexandria Ocasio Cortez.
Rashida Tlaib, l’unico membro americano-palestinese del Congresso, non ha corso alcun rischio dato che in Michigan – stato con la più alta percentuale di abitanti americano-palestinesi e musulmani che in febbraio ha dato il via al movimento Vote Uncommitted – l’Aipac (American Israel Public Affair Committee) non ha trovato nessuno disposto a sfidarla. Non che non ci abbia provato. Due candidati in corsa per il senato, l’attore afroamericano Hill Harper prima e Nasser Beydoun poi si sono visti offrire 20 milioni di dollari per rinunciare alla competizione senatoriale e sfidare Tlaib alla Camera, ma hanno prontamente rifiutato la proposta e denunciato l’accaduto.
L’esatto contrario è invece avvenuto sia nello Stato di New York dove per sconfiggere Jamaal Bowman, unico uomo della Squad, il suo concorrente George Latimer ha accettato i milioni dell’Aipac nelle primarie più costose della storia (25,4 milioni di dollari), sia in Missouri per Cori Bush, la cui sconfitta è l’esatta replica di quella di giugno di Bowman nonché seconda in graduatoria per costi (18,2 milioni di dollari). Ciò che rende ancor più squallida la vittoria del concorrente di Bush, il «falso progressista» procuratore della Contea di Saint Louis Weasley Bell, è il fatto che abbia abbandonato la corsa per il Senato contro il noto trumpiano Josh Hawley in seguito alla milionaria proposta dell’Aipac, nonostante le solenni promesse fatte a Cori Bush. Un recente articolo di Ryan Grim riporta l’audio di una telefonata che Bell fece a Bush nel giugno del 2023:
Lo scorso giugno [2023], il procuratore locale Wesley Bell ha chiamato la deputata Cori Bush per garantirle che non avrebbe corso contro di lei per nessuna ragione, come risulta dall’audio di una telefonata tra Bell e Bush ottenuta da Drop Site News. Qualche mese dopo ha lanciato la sua sfida nelle primarie contro Bush per quel seggio del Missouri alla Camera dei Deputati dopo essere stato reclutato dall’Aipac.
La telefonata era avvenuta dopo la pubblicazione di un articolo del Saint Louis Post Dispatch, il cui autore aveva riportato le parole di Ed Rhode, un noto consulente di politici locali: «Scommetto che il signor Bell sta cercando di alzare il suo profilo [sfidando Josh Hawley] in vista di una corsa contro la deputata Cori Bush l’anno prossimo». Facendo riferimento a quelle insinuazioni Bell aveva detto a Bush: «Non pensare nemmeno per un secondo che sia vero. E te lo dico adesso sulla mia parola: non correrò contro di te. Non succederà». In realtà il tempismo era l’unica cosa sbagliata delle insinuazioni di Rhode. Il voltafaccia di Bell è arrivato solo quattro mesi dopo le promesse di quella telefonata.
Cori Bush – che nel 2020 ha sconfitto William Lacy Clay, appartenente a una dinastia politica cinquantennale, e che nel 2022 ha mantenuto il suo seggio grazie alle sue indefesse lotte antirazziste, economiche, sanitarie, ambientali, riproduttive e di genere, e che ha al suo attivo alcune tra le azioni di protesta più vistose ed efficaci degli ultimi quattro anni al Congresso – è stata anche tra le prime deputate, insieme ad altri componenti della Squad come Rashida Tlaib, Ilhan Omar e Jamaal Bowman, a dichiarare il genocidio palestinese e la complicità dell’amministrazione Biden. In effetti la posizione pro-Palestina, così come quella di altri candidati e politici eletti, risale a ben prima del 7 ottobre – il che non significa che non abbiano duramente condannato l’attacco di Hamas – ed è uno dei motivi per i quali gli investimenti dell’Aipac nelle primarie democratiche sono diventati spropositatamente enormi soprattutto negli ultimi tre cicli elettorali congressuali. Grandemente finanziato dai trumpiani e dai repubblicani in generale, l’Aipac ha peraltro escogitato due abili mosse creando, nel 2019, una specie di succursale chiamata Democratic Majority for Israel (Dmfi) e, nel 2021, il superpac United Democracy Project, i cui termini democratic e democracy inseriti nelle definizioni sono stati un accorto espediente nominale per buttare fumo negli occhi degli elettori democratici.
Come la sconfitta di Jamaal Bowman, anche quella di Cori Bush ricalca lo stesso copione già visto precedentemente, in cui l’infusione di denaro dell’Aipac, che si affianca a quello delle corporation e ora anche delle criptovalute, è determinante. Alla fine di giugno, prima delle ultime tranche milionarie riversate sull’avversario di Cori Bush, Wesley Bell, Common Dreams riportava alcuni nomi di miliardari repubblicani da cui Bell aveva ricevuto soldi e citava una recente analisi di Politico secondo cui «il 46% dei donatori che hanno finanziato candidati Democratici attraverso l’Aipac in questo ciclo elettorale sono altresì finanziatori repubblicani dal ciclo del 2020».
La strategia è la stessa già vista in azione a Cleveland in Ohio contro Nina Turner, la popolare leader afroamericana la cui possibile elezione al Congresso terrorizzava l’establishment, e testimoniata dalle parole di Andy Levin, popolare ex deputato democratico ebreo ed ex presidente di una sinagoga attaccato e sconfitto perché pro-palestinese: trovare un concorrente disposto ad accettare una campagna elettorale sporca non solo per la provenienza dei soldi dell’Aipac, ma anche perché con quei soldi si inondano tutti i mezzi di comunicazione di falsi spot denigratori sul bersaglio da colpire, spot che soprattutto nelle due settimane prima delle elezioni, quando arriva il potente rush finale di ulteriori milioni di dollari per pagarli, vanno praticamente in loop ovunque. Nel caso di Cori Bush fin dal lancio della sua campagna, l’Aipac ha perfino fatto circolare pubblicità con fotografie in cui i tratti somatici di Cori sono stati distorti, in modo che corrispondessero agli archetipi razzisti sulla razza nera.
Cori ha reagito con veemenza alla sconfitta, sfidando l’Aipac in un discorso molto fiero:
Il congresso mi toglie solo alcuni vincoli. Perché ora io ho altri vincoli personali. E considerato l’amore che provo per il mio lavoro, tutto quello che hanno fatto è servito solo a radicalizzarmi ancor di più e dovranno avere paura. Stanno per vedere quest’altra Cori, quest’altra parte di me. Non c’è nulla nella mia vita che accada invano. Quindi se questo è successo è perché doveva succedere. E lasciate che vi dica che il motivo è il lavoro che devo fare. E lasciatemi dire anche questo: Aipac, sto arrivando per abbattere il tuo regno!
Alle due enormi perdite della Squad potrebbe aggiungersi, nelle primarie del Minnesota di martedì 13 agosto, quella di Ilhan Omar, l’unica altra deputata mulsumana del Congresso oltre a Rashida Tlaib, il cui sfidante Don Samuels, consigliere comunale di Minneapolis, cerca una rivincita dopo la sconfitta del 2022. Nell’ultima delle email che l’organizzazione Our Revolution manda ai suoi iscritti, inviata poco dopo la sconfitta di Cori Bush si legge:
Come ha detto Bernie [Sanders], «una volta che un candidato si espone per chiedere la dignità della gente palestinese, finisce sulla lista nera dell’Aipac». Nel cercare di screditarla il suo sfidante ha detto che «le richieste di Ilhan di porre fine al bombardamento di Gaza da parte di Israele corrisponde a ‘dare ad Hamas linfa vitale’. Poi il suo sfidante l’ha definita una ‘pedina di Hamas’. […] È attraverso questo tipo di attacchi disgustosi, infondati e razzisti che l’Aipac cerca di spodestare progressisti avversari delle atrocità di Netanyahu contro la gente palestinese».
Intanto l’entusiasmo generale per la coppia Harris-Walz sembra aver fatto dimenticare la questione palestinese. La realtà però si è fatta viva con il rally a Detroit del 7 agosto in cui Kamala da una parte ha zittito alcuni pacifici protestanti pro-Palestina in modo supponente, «I’m speaking», tra le incomprensibili acclamazioni della vasta platea, e dall’altra ha informalmente incontrato Layla Elabed e Abbas Alawieh, i dirigenti del movimento Vote Uncommitted intervistati per Jacobin il febbraio scorso, aprendo qualche spiraglio e promettendo loro un prossimo incontro ufficiale. Vedremo.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue dal 2016 la Political Revolution di Bernie Sanders.
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