
La potenza del transfemminismo sudamericano
I movimenti latinoamericani contro la violenza di genere hanno mostrato in questi anni una forza dirompente, imponendosi come soggetti importanti nei loro paesi e influenzando l’immaginario internazionale
Negli ultimi anni i movimenti transfemministi latinoamericani hanno dimostrato una forza dirompente, imponendosi come soggetti politici importanti nei loro paesi e arrivando a esercitare una sempre maggiore influenza nell’immaginario politico internazionale. Al grido di Ni Una Menos, le pietre miliari di questi movimenti sono la battaglia per il diritto all’aborto e contro i femminicidi, ma anche lo sciopero produttivo e riproduttivo dell’8 marzo. Temi che denunciano una situazione materiale di oppressione, esasperata dalla pandemia e dal fatto che in America Latina (e non solo) la violenza e le discriminazioni di genere sono in aumento costante. Sebbene con intensità diversa, queste problematiche fanno parte dell’esperienza comune delle donne e delle persone con identità non binarie in tutto il mondo. È per questo che il femminismo latinoamericano risuona con forza nel mondo, moltiplicando idee e pratiche che riescono a dare linfa vitale alle lotte sociali anche qui da noi.
La violenza è una cifra caratteristica della realtà sociale messicana, e non solo dal punto di vista del genere. In questo paese dal 2017 al 2020 i femminicidi sono passati da 7 a più di 10 al giorno e il 97% di essi rimane impunito, riporta El Pais. Queste sono state le principali rivendicazioni della giornata dell’8 marzo, cui si aggiunge la richiesta di depenalizzazione dell’aborto in tutti gli Stati della Federazione e il ritiro della candidatura di Félix Salgado Macedonio, uomo vicino al Presidente che vede a suo carico diverse accuse di violenza sessuale. Le femministe si sono mobilitate in tutto il paese. Nello stato del sud-est di Quintana Roo, celebre per le spiagge caraibiche e la violenza della polizia, è da novembre che «Il palazzo del Congresso Nazionale è occupato permanentemente dalla Rete Femminista della regione», racconta Alessandro Bricco sul Manifesto, con lo scopo di creare un’agenda legislativa femminista. Il 27 marzo nella capitale di questo stesso stato, Tulum, una donna migrante di nome Victoria Salazar è stata assassinata dalla polizia che l’ha bloccata a terra con tale violenza da ucciderla, proprio come successo a George Floyd negli Usa. A Città del Messico le proteste dell’8 marzo si sono concentrate sotto il palazzo presidenziale. Il progressista López Obrador, in scontro aperto con le femministe, accusa addirittura il movimento di farsi strumentalizzare dalle destre e ha deciso di proteggersi dietro a una vera e propria muraglia difensiva alta più di due metri. Già nei giorni precedenti la manifestazione, le attiviste si sono riappropriate di questo muro, scrivendo i nomi di tutte le donne morte di violenza machista, ribaltando così la narrativa securitaria del presidente. Durante la manifestazione, alcuni gruppi hanno cercato di abbattere questa barriera, scatenando una violenta e spropositata reazione da parte della polizia. Ciò mostra come «Il Messico tenga di più a proteggere il palazzo presidenziale che le donne vittime di violenza», scrivono le attiviste in una lettera aperta.
In Brasile la devastazione causata dalla pandemia e dagli incendi in Amazzonia sembra andare a braccetto con lo stile di governo autoritario e misogino di Jair Bolsonaro. «L’ascesa al potere dell’attuale Presidente si colloca all’interno di una serie di eventi che vanno dall’accusa di impeachment contro Dilma Roussef nel 2016, che in molti consideriamo un vero e proprio golpe, all’incarcerazione di Lula poco prima delle elezioni del 2018, entrambi risultati innocenti alla prova dei fatti. Nel mezzo si trova l’omicidio di Marielle Franco il 14 marzo 2018, fatto altrettanto centrale per comprendere la svolta autoritaria e conservatrice della politica brasiliana», mi racconta Stella Santos, sociologa dell’Università la Sapienza di Roma. La morte di Marielle rappresenta contemporaneamente un crimine d’odio e un omicidio politico, il cui obiettivo principale è stato quello di mettere a tacere le voci scomode delle donne, delle minoranze e di tutti i soggetti marginalizzati che avevano osato uscire dalle favelas e portare le proprie voci e i propri corpi fin dentro i palazzi del potere. Marielle era una donna nera e lesbica, eletta consigliera comunale nella città di Rio de Janeiro, che si batteva da sempre per restituire umanità agli esclusi. «Il suo era un femminismo di classe e tanti riponevano in lei le speranze per il rinnovamento socio-politico del paese. La forza della sua leadership si fondava sulla capacità di mettere al centro l’ascolto e la cura per le persone, facendo così da raccordo tra lotte diverse dentro e fuori le istituzioni». Questo il ricordo di Fernanda Chaves, sua collaboratrice storica, in occasione di un incontro presso il Circolo Mario Mieli. Marielle è diventata un simbolo transnazionale di unità delle lotte, esempio concreto di un’azione politica intersezionale, capace cioè di mettere in discussione la violenza e l’ingiustizia da una posizione situata e radicata, riconoscendo l’intreccio di privilegi e oppressione che ciascuno vive sulla propria pelle. Non è un caso che si siano moltiplicati i gruppi che portano avanti il suo pensiero, dentro e fuori il Brasile.
In Argentina il movimento transfemminista è balzato agli onori della cronaca grazie alla storica vittoria del 30 dicembre 2020 quando, dopo anni di pressioni popolari e grandi manifestazioni, il Senato ha finalmente approvato una legge che garantisce un aborto libero, sicuro e gratuito per tutte. Un avvenimento che ha entusiasmato il mondo e alimentato speranze concrete in tutta la regione. L’Argentina è il primo «grande» paese a varare una legge simile, secondo solo a Uruguay, Cuba e le due Guyana. Nonostante questo paese sia tradizionalmente più progressista di altri, una vittoria di tale portata è stata resa possibile solo grazie al lavoro politico capillare e alla grande creatività culturale della cosiddetta marea verde argentina.
Pensatrici e attiviste come Rita Segado, Silvia Federici e Veronica Gago si sono impegnate in una complessa critica della violenza e della precarietà esistenziale prodotte dalla modernità neoliberista, coloniale e patriarcale, cogliendo appieno gli elementi di continuità tra potere economico, culturale e politico e riuscendo così a svelare alcuni degli ingranaggi attraverso cui lo sfruttamento capitalistico esercita il suo potere più pervasivo. Se la legge sull’aborto è il dito, la luna è rappresentata dalla speranza di rifondare la vita sociale nella sua interezza. E la potenza del transfemminismo latinoamericano è riuscire a immaginare stili di vita che vanno in questa direzione. Il riconoscimento del valore riproduttivo delle donne e della natura, in contrapposizione al primato della produzione, si unisce all’imperativo della cura collettiva dei corpi e dei territori, lasciando intravedere un futuro dove l’esistenza umana potrà essere liberata dalle logiche del profitto.
Allo stesso modo in Cile, paese scosso da violente proteste contro le élite che governano il paese dai tempi della dittatura e avviatosi definitivamente verso la riscrittura delle proprie leggi costituzionali, il femminismo è considerato una rivolta nella rivolta. Insieme agli studenti, le donne rappresentano il gruppo organizzato più dirompente e attivo delle proteste, capace di scardinare almeno in parte le tradizionali divisioni di classe e di dialogare con i settori spontanei delle piazze, proprio in nome del comune desiderio di cambiarlo todo. L’incontro con il femminismo ha innescato la politicizzazione di ampie fasce della società cilena, un sentimento che ha trovato piena espressione nella rivolta destituente iniziata ufficialmente il 18 ottobre del 2019. La centralità di questo movimento è stata sancita anche dal fatto che la futura Assemblea Costituente, la cui elezione è stata rinviata al 15 maggio, sarà la prima al mondo a garantire alle donne il 50% dei seggi in tutti i distretti elettorali. Nel composito panorama di questo paese, la Coordinadora 8 Marzo rappresenta un’organizzazione politica capace di combinare presenza sui territori e convergenza di massa nello spazio pubblico, ma il simbolo per eccellenza del femminismo cileno è il flash mob Un violador en tu camino del collettivo artistico Las Tesis. Cantata e ballata per le strade del Cile, questa performance è diventata velocemente un simbolo globale di resistenza contro la violenza patriarcale.
Come una marea, il transfemminismo cresce, si contamina ed espande la sua influenza fin negli angoli più remoti del nostro mondo globalizzato, arrivando ad abbracciare questioni centrali della vita sociale contemporanea. Grazie alla capacità di evidenziare connessioni e di tradurre questa complessità in parole e gesti semplici, le femministe latinoamericane hanno saputo non solo unificare esperienze separate di sofferenza e di lotta, ma anche incanalare questa rabbia in nuove e radicali forme di immaginazione politica. In conclusione, le idee e l’energia dei femminismi latinoamericani si propagano, dando vita a un linguaggio comune e cosmopolita di speranza e di lotta, che è diventato un esempio per tutto il mondo.
*Francesca Messineo, antropologa di formazione specializzata in studi sulla globalizzazione, Frequenta un PhD in Scienze Sociali Applicate presso l’Università La Sapienza di Roma. Si interessa in particolare di America Latina e migrazioni internazionali. Collabora regolarmente con il magazine Q Code Mag.
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