La realtà grezza dei Telemarketers
Una nuova docu-serie Hbo racconta con crudo realismo la truffa del call center di beneficenza negli Stati uniti e getta una luce inquietante su alcune istituzioni
Telemarketers, nuova docu-serie Hbo in tre parti, è fantastica: dovreste guardarla immediatamente.
La serie è composta da filmati meravigliosamente grezzi e spinti girati da un adolescente di nome Sam Lipman-Stern che ha abbandonato le scuole superiori per amore del cinema e che nel 2001 è andato a lavorare in un call center di telemarketing nel New Jersey chiamato Civic Development Group (Cdg). Lì ha preso posto tra ex detenuti e casi disperati che non riuscivano a trovare lavoro da nessun’altra parte, ed è giunto a volere bene a loro, a quel posto e a tutto ciò che era squallido, strano e selvaggio in esso, a causa della relativa libertà della vita dei dipendenti. Bastava che raggiungessero le quote assegnate convincendo le persone a sostenere vari enti di beneficenza – di solito per conto di veterani, vigili del fuoco e polizia – venivano pagati il salario minimo e lasciati soli.
«Era come una famiglia disfunzionale – ricorda con affetto Lipman-Stern in un’intervista – Avevi un assassino alla tua destra e un rapinatore di banche alla tua sinistra. Non avrei potuto inventare questi personaggi». L’intera impresa della Cdg era una truffa, quasi niente dei soldi finiva da altra parte se non agli imprenditori che guidavano l’organizzazione no-profit e se la passavano bene con il 90% del bottino: David Keezer, Marc Keezer, Brian Pasch, Glenn Pasch e Steve Pasch.
Quelli che lavoravano al Cdg pensavano che anche la polizia, i vigili del fuoco e i veterani fossero vittime della truffa, ricevendo solo il misero 10% del bottino. Poi vediamo il direttore dell’ufficio del Cdg apprendere, davanti alla telecamera, che la polizia in particolare ha partecipato attivamente alla truffa dei poveri imbroglioni. Come svelano gradualmente i primi due episodi, la polizia, attraverso le sezioni del Fraternal Order of Police (Fop) in tutto il paese, non solo ha preso tutto il denaro che poteva ottenere dalla truffa del Cdg; ha anche contribuito a organizzare la truffa e spesso ha suggerito ulteriori elementi di pressione da aggiungere alla «sceneggiatura». Ben presto, i dipendenti furono spinti a identificarsi come vere e proprie forze dell’ordine, il che rendeva più facile ottenere donazioni.
Gli operatori di telemarketing si sono presto resi conto che alcuni segmenti della popolazione – conservatori, anziani, proprietari di piccole imprese – tendevano a mantenere un atteggiamento incondizionato e pro-polizia che rendeva loro facile il lavoro. A u povero vecchio hanno spillato 84.000 dollari all’anno con operatori di telemarketing che lo chiamavano settimanalmente per ottenere più soldi, al punto che persino un cinico capo di uno di questi centri truffa – mostrato con la faccia offuscata e la voce distorta nell’intervista – sembrava sentirsi un po’ in colpa.
Inutile dire che il 10% del denaro raccolto non andava alle famiglie dei poliziotti uccisi mentre erano in servizio, come affermava il copione: stava finanziando vantaggi, feste e limousine della Fop per trasportare gli agenti alle parate cittadine e altre sciocchezze assortite. Presumibilmente è ancora così. Perché pochi mesi dopo che il Cdg fu chiuso dalla Federal Trade Commission nel 2010 per aver pubblicizzato falsamente l’uso delle donazioni e condannato a pagare quasi 19 milioni di dollari e ad abbandonare l’attività di raccolta fondi, nuove società sono nate utilizzando il modello Cdg. Molti ex dipendenti della Cdg sono finiti a lavorare per loro.
Il modello è stato perfezionato. Il blocco dovuto al Covid ha ispirato una nuova prospettiva di lavoro da casa che ha consentito di risparmiare sulle spese del call center. Sono stati ricercati come dipendenti tossicodipendenti ed ex detenuti, «persone che vivono al limite». In parte perché avrebbero meno probabilità di denunciare attività sospette – be’, non alla polizia, perché anche i poliziotti erano per lo più coinvolti, ma a qualche altra autorità meno corrotta. E anche perché, nella filosofia dei ricchi boss tipo quelli di Cdg, i disperati sono i migliori imbroglioni.
Lipman-Stern ha pensato, con il suo amico e collega Pete Pespas, che gli unici che potevano attaccare questo sorprendente livello di corruzione erano persone come loro che conoscevano il sistema dall’interno. Così hanno preso il filmato empatico di Lipman-Stern sul caotico lavoro al call center Cdg – che mostrava scene in cui tutti erano liberi come Pespas, un grande interlocutore che giurava che lavorare mentre era sballato era il segreto del suo successo, mentre si appisolava alla sua scrivania, poi si è svegliato per iniziare immediatamente il suo discorso nelle chiamate di beneficenza – e ha iniziato a documentare anche la loro indagine amatoriale in corso.
Sia Lipman-Stern che Pespas hanno condotto ricerche su come queste nuove società di call center hanno collaborato con le sezioni della Fop. Pespas, affettuosamente fiducioso e loquace, si vantava di come fosse riuscito a liberarsi dalla droga, di come ha avuto il lavoro di intervistatore, incaricato di raccogliere ulteriori informazioni da coloro che erano informati. La sua interpretazione colorata, irregolare e facilmente distratta di quel ruolo porta Lipman-Stern, in qualità di narratore, a notare: «Non credo che ci siamo resi conto di quanto Pete potesse fare schifo».
L’aspetto più toccante di questa docuserie? Come, nonostante tutto ciò a cui Lipman-Stern ha assistito, continua a credere nel sistema in generale. Dalle sue parole emerge chiaramente che continua a pensare che un call center ripulito che desse, diciamo, il 90% dei fondi raccolti alla polizia, e li spendesse effettivamente per ciò che afferma, sarebbe fantastico. «Lo spazio no-profit è incredibile. Semplicemente non era quello che stavamo facendo».
È un vero ingenuo che un giorno potrebbe plausibilmente cadere lui stesso nella truffa in stile Cdg, trasformandosi in un altro vecchio che invia parte dei suoi soldi della previdenza sociale alla Fop apparentemente riformata. È scoraggiante vedere come la messa in discussione dell’autorità istituzionale a volte possa arrivare solo a pochi centimetri di profondità.
Tuttavia, potete starne certi: si tratta di una docuserie imperdibile di rara grezza qualità.
*Eileen Jones insegna alla University of California, Berkeley. Si occupa di critica cinematografica per JacobinMag, dal quale è tratto questo articolo. La traduzione è a cura della redazione.
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