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La rivoluzione degli storici

Alfie Steer 16 Novembre 2022

Si deve ad autori marxisti poco scolastici come Hobsbawm e Thompson l'idea che la storia debba occuparsi della gente comune, della sua vita quotidiana, del suo lavoro e delle sue emozioni. Un cambiamento radicale e irreversibile

Mentre ai culture warriors della destra populista piace credere che il marxismo spadroneggi nelle università e nelle istituzioni culturali, in realtà la sua presenza è piuttosto marginale. Pochi accademici oggi si definirebbero acriticamente «marxisti». Ancora di meno si sentirebbero vincolati da qualsiasi linea di partito. Nella disciplina della storia in particolare, l’approccio marxista è ora spesso criticato come economicamente deterministico e dunque non in grado di dar conto dell’agire umano perché riduce i complessi sviluppi storici ai processi immutabili dei sistemi economici. Nelle interpretazioni più rozze degli scritti di Marx tutta l’ideologia, il diritto, la politica, la cultura e la società civile sono riducibili alla struttura della base economica; lo studio dello sviluppo storico diventa una scienza immutabile, accessibile solo con una comprensione marxiana dello sfruttamento economico.

Sebbene questo approccio possa essere quello sostenuto dai teorici marxisti più dogmatici e meno perspicaci, è stato appassionatamente contestato da alcuni degli storici più influenti del ventesimo secolo. Inizialmente raggruppati attorno al Gruppo degli storici del Partito comunista, gli storici marxisti britannici (tra i loro protagonisti Maurice Dobb, Rodney Hilton, Christopher Hill, Eric Hobsbawm e E. P. Thompson) nutrivano grandi ambizioni sia nel mondo della cultura storica che nell’attivismo politico. Miravano a trascendere il volgare modello struttura-sovrastruttura che aveva frenato la teoria marxista, ad ampliare il concetto di classe nella comprensione del passato e a recuperare le lotte e le idee dimenticate delle classi lavoratrici. Come dimostra la nuova edizione di Harvey Kaye del suo classico The British Marxist Historians, uscito per la prima volta nel 1984, gli storici marxisti britannici sono stati protagonisti di una tradizione teorica importante molto più articolata di quanto ammettano i detrattori: può insegnarci molto sia sullo studio della storia che sul suo valore per la politica radicale di oggi.

Come dimostra Kaye, gli storici marxisti britannici hanno dato contributi sia accademici che politici. Al livello più elementare, hanno ampliato gli orizzonti della ricerca storica, della scrittura e della comprensione. Per troppo tempo la storia si è limitata allo studio delle élite politiche al potere, delle campagne militari o degli intrighi diplomatici. Le vite della gente comune raramente veniva presa in considerazione. Nell’ampliare l’ambito tradizionale della ricerca storica, gli storici marxisti britannici cercarono di scoprire la più complessa e rappresentativa «totalità sociale» del passato. Maurice Dobb, ad esempio, ha esteso lo studio della storia economica a una definizione più comprensiva del capitalismo come relazione sociale storicamente specifica, dando il via a un approccio interdisciplinare che ora domina il mondo accademico. Questa spinta ad ampliare la portata della storia, a sua volta, ha portato al concetto politicamente più potente della tradizione: la storia dal basso.

Concentrandosi sul lavoro, la vita e le idee della gente comune, gli storici marxisti britannici hanno riscoperto l’agire politico e la creatività intellettuale delle classi lavoratrici e contadine del passato. Lungi dall’essere le vittime passive dei cambiamenti epocali (il declino del feudalesimo, l’ascesa del capitalismo e dell’imperialismo, solo per citarne alcuni) le classi lavoratrici, dal medioevo all’era industriale, furono ridefinite come attori storici influenti, per quanto vincolati dagli sfruttamenti dei rapporti di classe e del dominio del potere statale.

Rodney Hilton ha trasformato le definizioni di «feudalesimo» dall’essere semplicemente un sistema sperimentato da una manciata di membri d’élite della classe dirigente, a qualcosa che ha influenzato la vita dei contadini di tutti i giorni e ha motivato le loro ribellioni condannate, ma non meno influenti. La guerra civile inglese, per Christopher Hill, fu una rivoluzione inglese, che contemporaneamente gettò le basi per il futuro sviluppo del capitalismo, mobilitando anche una rivoluzione democratica fallita i cui attori principali (i Levellers, Diggers e Ranters) produssero idee rivoluzionarie che andavano dalla democrazia di massa a una forma primitiva di comunismo fino all’amore libero. Nei suoi studi sull’Europa meridionale precapitalista, Eric Hobsbawm ha riscoperto i «ribelli primitivi» del banditismo in stile Robin Hood, affermando anche la razionalità dietro i demolitori luddisti nella Gran Bretagna industriale. Infine, nel suo magistrale studio sulla «formazione» della classe operaia inglese, E.P. Thompson ha recuperato sia le idee radicali dei circoli giacobini e dei dissidenti religiosi che l’«economia morale» imposta dalle folle tumultuose per le strade di Londra.

Questa spinta ad ampliare la portata della storia e recuperare un mondo dimenticato di azione e radicalismo della classe operaia, è stata accompagnata dal desiderio di superare l’inadeguato modello di sovrastruttura di base che aveva definito il marxismo classico. Lungi dall’essere deterministi economici, gli storici marxisti britannici hanno rifiutato un’analisi statica e astorica della stratificazione di classe, vedendo invece la «classe» come una forma di relazione sociale tra esseri umani, sviluppata nel tempo, spesso contestata attraverso aspre lotte. La classe non era una mera categoria economica, ma un fenomeno storico giocato nelle nostre vite sociali e formazioni culturali, in pratiche, rituali, idee e valori. Attraverso il concetto di «esperienza» di classe, gli storici marxisti britannici hanno spiegato il modo in cui la lotta di classe e lo sfruttamento hanno modellato la coscienza sociale, riconoscendo l’importanza essenziale della dimensione materiale senza abbandonare l’agire umano.

Questa riconcettualizzazione fa parte di ciò che Kaye definisce la «Teoria della determinazione di classe» degli storici marxisti, con la lotta di classe che si svolge simultaneamente nella dimensione sociale, economica, politica e culturale, concepita come il motore della storia.

La «determinazione di classe» degli storici marxisti britannici poteva rischiare di escludere altre forme di oppressione, ma il successivo sviluppo di altre «storie dal basso» ha subito l’influenza diretta di questa tradizione originaria. Dalla storia delle donne, fiorente nel lavoro di storiche socialiste-femministe come Sheila Rowbotham e Sally Alexander, al ricco lavoro sulla storia britannica nera, alla microstoria o storia orale, l’attenzione della disciplina è stata strappata dalle mani di re, cavalieri e clero. Pur non possedendo sempre lo stesso esplicito impegno ideologico dei fondatori marxisti, il passaggio dall’élite alla gente comune, la vita quotidiana, il lavoro, persino le emozioni, è un cambiamento di orientamento indelebile e potenzialmente irreversibile.

Come Kaye sottolinea dappertutto, gli storici marxisti britannici non erano semplici intellettuali da salotto, erano politicamente attivi, in alcuni casi a scapito della loro produzione accademica. Tutti hanno svolto un ruolo nell’opposizione democratica all’interno del Partito comunista della Gran Bretagna (Cpgb), e molti avrebbero guidato la fondazione della New Left britannica dopo il 1956. EP Thompson ha scritto e condotto una campagna appassionata contro le armi nucleari e la minaccia alle libertà civili durante la Guerra fredda. Christopher Hill fu sempre un sostenitore di numerose cause e pubblicazioni di sinistra, fino ai suoi ottant’anni. Ironia della sorte, il più popolare degli storici marxisti britannici, e in effetti uno degli storici più venduti di tutti i tempi, Eric Hobsbawm, era sia il più deterministico economicamente della tradizione, ma anche il più ideologicamente moderato (nonostante la sua appartenenza per tutta la vita al Cpgb). Negli anni Ottanta, i suoi avvertimenti secondo cui la «marcia verso il progresso del lavoro» si era arrestata a causa dei grandi cambiamenti nella composizione di classe della Gran Bretagna ebbero una grande influenza sul doloroso processo di moderazione ideologica del Labour, culminato nel New Labour.

Mentre le differenze politiche sono emerse naturalmente con il passare dei decenni, tutti gli storici di cui Kaye disegna il profilo hanno articolato una forma di socialismo libertario radicato tanto negli eroi popolari del passato radicale dell’Inghilterra, che vanno da Wat Tyler a William Morris, agli scritti di Marx ed Engels. In quanto tale, la riscoperta di vecchie lotte e idee radicali ha fornito nuove fonti di ispirazione ideologica e persino una nuova identità nazionale radicale per la sinistra britannica.

Poiché il mondo accademico rimane un punto critico nelle guerre culturali, una rivalutazione del ruolo dell’«accademico-attivista» è opportuna e gli storici che Kaye delinea in questo libro (Thompson in particolare) appaiono come esempi archetipici. Erano anche, in una certa misura, beneficiari di un’età più benevola. I lavori accademici erano ben pagati e abbondanti nel dopoguerra, quando le università si espansero e il numero degli studenti aumentò. Un vivace movimento per la formazione degli adulti e dei lavoratori diede ulteriori opportunità al di fuori delle convenzionali università «d’élite». Oggi, la cronica precarizzazione del lavoro accademico lascia gli storici così oberati di lavoro e affamati di tempo che trovare il tempo per scrivere o ricercare, per non parlare dell’organizzazione politica, sembra un compito quasi impossibile. In tempi così poco promettenti, una riscoperta delle moltitudini che sono venute prima e hanno combattuto contro lo sfruttamento e in difesa delle loro antiche libertà potrebbe fornire una fonte di ispirazione molto più diretta di quanto persino gli storici marxisti avrebbero potuto inizialmente immaginare.

*Alfie Steer sta svolgendo il dottorato all’Università di Oxford, si occupa della storia della sinistra laburista dalla fine degli anni Ottanta al 2015. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

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3h

Se pensate che in nome della fantomatica «cancel culture» qualcuno stia manipolando i libri dovreste leggere quanto scrive l'Associazione dei bibliotecari americani sulla campagna oscurantista in atto. Spoiler: non c'entra la sinistra
https://jacobinitalia.it/la-censura-viene-da-destra/

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30 Mar

Nel solo 2021 negli Stati uniti le macchine hanno causato circa quarantatremila morti per incidenti. Ma ormai le accettiamo in quanto sfortunato ma inevitabile costo della vita moderna
https://jacobinitalia.it/le-auto-distruggono-la-citta/

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29 Mar

Grazie anche a @JacobinItalia per la ripresa dell'intervista con @PabloIglesias per la rivista @ctxt_es su "Questa guerra non finisce in Ukraina", che per l'appunto è in corso di traduzione all'italiano. https://twitter.com/JacobinItalia/status/1641011347340025858

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29 Mar

La guerra definisce l'ambiente ideale per produrre nuovi fascismi e per cancellare ogni istanza di liberazione. Basterebbe questo per lottare per la «pace costituente» di cui parla Raúl Sánchez Cedillo con Pablo Iglesias
https://jacobinitalia.it/senza-rivolta-il-pacifismo-e-sconfitto/

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