La scommessa di Pablo Iglesias
Dimettendosi da vicepresidente del consiglio il leader di Unidas Podemos rischia molto ma punta su diversi obiettivi: la conquista di Madrid, il rilancio del suo partito, il ricambio al vertice, la riunificazione a sinistra
Pablo Iglesias ha annunciato la decisione di voler lasciare la vicepresidenza del governo spagnolo e di presentarsi come candidato alle elezioni per il rinnovo dell’Assemblea della Comunità di Madrid che si dovrebbero tenere il prossimo 4 maggio. È una decisione clamorosa, inaspettata, altamente rischiosa ma anche densa di coraggio e di visione. Il leader di Unidas Podemos (Up) ha deciso di giocare pesante in delle elezioni che si presentano tutte in salita per la sinistra e in special modo per la sua formazione. Facendo un passo in avanti abbandona sì un posto di potere – cosa di solito vivamente sconsigliata – ma cerca al contempo di centrare diversi obiettivi: la conquista di Madrid, il rilancio di Unidas Podemos, il ricambio al vertice, la riunificazione a sinistra. Può fallirli tutti, ma anche centrarne diversi.
Il fallito ribaltone centrista
Le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea della Comunità di Madrid sono state convocate dalla Presidentessa Isabel Díaz Ayuso, del Partido Popular (Pp), con due anni di anticipo. Ciò che ha generato la sua improvvisa scelta è stato il tentativo di ribaltone avvenuto per mano del Partito socialista (Psoe) e dei liberali di Ciudadanos in tutt’altro contesto, nella Regione di Murcia, piccola Comunità dove il Pp governa da 25 anni e, da un paio di anni, proprio in coabitazione con questi ultimi. Il progetto del partito di Inés Arrimadas era quello di allontanarsi dalla destra in un territorio periferico senza avere le intenzioni, in una prima fase, di ripetere la stessa operazione in altri territori dove pure governa con il Pp: l’Andalusia, Castiglia-Leone e, soprattutto, la Comunità e il Comune di Madrid. Allo stesso tempo il progetto dei socialisti e del presidente Pedro Sánchez era speculare: aprirsi spazio al centro, indebolire il Pp e soprattutto Unidas Podemos, con il progetto di costruire una maggioranza alternativa a quella che ha sostenuto l’investitura e la legge di bilancio, ovvero Up e nazionalisti di sinistra baschi e catalani. Mercoledì 10 marzo il Pp precipitava nel panico: non solo un territorio governato da un quarto di secolo era sul punto di cadere in mano ai socialisti ma anche altri tre più innumerevoli altri Comuni si trovavano potenzialmente nella stessa situazione. La perdita della Regione nonché di altri territori sarebbe stato il colpo decisivo per il Presidente del Pp, Pablo Casado, dopo il fallimentare risultato delle elezioni catalane.
Tuttavia, come ha scritto Íñigo Sáenz, non è saggio armarsi di un coltello in uno scontro di pistole. Murcia è un territorio con numerosi casi di corruzione nella classe politica (uno di questi ha generato la suddetta crisi) e in poco più di 24 ore il Pp aveva già individuato tre dei sei deputati di Ciudadanos pronti a farsi indietro dai propositi iniziali, facendo così fallire la mozione di sfiducia. Di lì a poco Isabel Díaz Ayuso annunciava lo scioglimento dell’Assemblea di Madrid, anticipando di poco le mozioni di sfiducia presentate dal Psoe e da Más Madrid. Sconfitto il Psoe nel suo tentativo di ribaltare lo scacchiere politico spagnolo, ora la destra cerca una rivincita nella capitale, dove governa dal 1995, con la convinzione ben fondata di poter assorbire buona parte dei voti ottenuti da Ciudadanos nel 2019.
Un feudo della destra
Díaz Ayuso rappresenta l’anima più radicale e ideologica del Partido Popular, diretta erede della tradizione di José María Aznar e della ex-Presidentessa della Comunità Esperanza Aguirre. Madrid è un centro dove le tradizioni militare e religiosa più conservatrici si fondono con un liberalismo thatcheriano che trova spazio attraverso centri universitari privati e mezzi di informazione sovvenzionati. È in questo clima che si sono sviluppate politiche economiche fondate sul taglio delle tasse (al limite del dumping fiscale), sulle privatizzazioni di servizi pubblici e deregolamentazioni per l’edilizia. E nonostante il fatto che a Madrid resti vivo un tessuto di opposizione sociale – quello che permise nel 2015 alla sinistra di vincere le elezioni comunali – è dal 1995 che il Partido Popular governa nella Comunità Autonoma della capitale, con conseguenze evidenti: è questa la Comunità con la minore percentuale di educazione pubblica in Spagna, la maggiore percentuale di cittadini con educazione privata e il minor tasso di investimento in quella pubblica per abitante.
Nel 2020 la punta di lancia contro il Governo centrale è stata proprio rappresentata da Díaz Ayuso, in una polemica incessante verso il Governo centrale, rispedendo al mittente ogni tentativo di dialogo e leale collaborazione nella gestione del Covid-19 e sfidando costantemente l’esecutivo sulle misure restrittive adottate. La richiesta di riapertura degli esercizi commerciali ben prima del dovuto, la costruzione di ospedali privati con personale pubblico, la mancata assunzione di personale sanitario, il rifiuto di indirizzare i malati degli ospizi presso gli ospedali sono state le misure adottate dalla Comunità di Madrid nella gestione della pandemia, che hanno causato il peggior tasso di mortalità nella prima ondata. Eppure, la popolarità della Presidentessa è aumentata, visto il suo presenzialismo televisivo e la radicalità del suo discorso che ha generato entusiasmo nei settori della destra madrilena, da sempre propensi alla mobilizzazione politica.
Eppure l’inquilina della Real Casa de Correos è anche una politica propensa alla frivolezza e alle gaffe, che venne candidata nel 2019 dopo la caduta delle sue due predecessori, Cristina Ciufuentes – a cui venne regalato un master mai svolto – e Esperanza Aguirre, implicata in casi di corruzione. La sua elezione sembrava impossibile, vista la poca esperienza e visto anche il fatto che il municipio di Madrid era governato da quattro anni da una lista civica inizialmente affine a Podemos, Ahora Madrid. Ma le cose andarono diversamente.
A inizio 2019 sembrava possibile che il Psoe e Up potessero confermare la vittoria al Comune con Manuela Carmena (giudice e indipendente) e conquistare, con Ángel Gabilondo del Psoe, la Comunità Autonoma. Unidas Podemos si sentiva parte della lista da costruire attorno a Carmena e presentava alla Comunità Íñigo Errejón, ex-braccio destro di Pablo Iglesias diventato col tempo suo avversario interno. La rottura avvenne a metà gennaio, quando Errejón annunciava che sia lui che Carmena si sarebbero presentati attorno a una lista chiamata Más Madrid, collocandosi di fatto fuori da Podemos. Con una strategia da ridefinire completamente, Up presentò infine Isa Serra, che riuscì a eleggere deputati per poche centinaia di voti. Ma il fallimento fu completo: Carmena perse il Comune, Gabilondo la Comunità Autonoma, Errejón fallì nel suo obiettivo di diventare vicepresidente regionale, primo passo per sbancare a livello nazionale. Il giovane politologo costruì poi una sua lista a livello nazionale, Más País, ma i risultati furono magri. A oggi il suo partito è radicato solo a Madrid e pressoché assente nel resto della Spagna mentre Unidas Podemos rischiava seriamente fino a ieri di non ottenere nessun deputato nelle elezioni che si terranno il prossimo 4 maggio. Almeno fino al colpo di scena di Pablo Iglesias con cui annuncia la sua candidatura alla Presidenza.
Quattro obiettivi
Pablo Iglesias si è visto costretto alla candidatura e quindi alle dimissioni dal Governo per via delle oggettive difficoltà del suo partito nel trovare un candidato adeguato in una contesa che sa di resa dei conti. Isa Serra, portavoce regionale, è stata condannata in primo grado per aggressione verso un poliziotto durante una manifestazione e a breve vi sarà sentenza definitiva. Il rischio di vederla inabilitata in piena campagna elettorale era concreto. I principali avversari, intanto, erano già partiti: oltre Ayuso e Gabilondo, vi è la candidata di Más Madrid, Mónica García, medico, che ha un profilo adeguato per contrapporsi alla Thatcher madrilena. In questa difficile situazione, le cronache dei giornali parlavano di tentativi di spingere sulla scena ii Ministri Alberto Garzón e Irene Montero, che avrebbero rifiutato. La scelta di presentarsi personalmente, dunque, è in primo luogo il tentativo di dare a Up la migliore candidatura, di maggior rilievo e che possa generare il massimo di mobilitazione del proprio elettorato. Iglesias, d’altronde, ha dimostrato sì molti limiti di gestione come segretario di Podemos, ma come candidato ha ottenuto sempre risultati buoni, sempre in crescita rispetto alle iniziali previsioni. La sua prima scommessa, dunque, è di ottenere un risultato elettorale positivo per il suo partito.
In secondo luogo l’obiettivo, forse il più importante ma anche il più complesso, è togliere la presidenza alla destra. È davvero difficile perché dal 2000 a oggi solo in tre occasioni la somma di voti ottenuti dal blocco di sinistra è stata maggiore di quella della destra, perché Ayuso è lanciata come la donna forte del Pp che ha l’obiettivo di fermare il «comunista» Iglesias, perché proprio la candidatura del leader di Up può causare una contro-mobilitazione della destra. Ma è vero che una candidatura così forte, così simbolicamente imponente, può portare al voto migliaia di persone dei municipi di matrice operaia e soprattutto può rigenerare quell’unità nella sinistra «trasformatrice» (come la definisce lo stesso Iglesias) smarrita nel 2019.
Il terzo obiettivo è proprio questo, riunire la sinistra o, come più prosaicamente affermano altri, realizzare un’Opa verso Más Madrid e Más País. Errejón è stato tra i fondatori di Podemos, il suo principale teorico e organizzatore nelle prime trionfali elezioni del 2015, prima di un progressivo allontanamento fino alla scissione del 2019. Ideologo del populismo di sinistra, studioso della plurinazionalità boliviana e delle idee di Ernesto Laclau sulla trasversalità, era contrario al riavvicinamento alla sinistra storica (Izquierda Unida). Convinto di poter generare maggiore consenso trasversale ha subito dure sconfitte prima dentro Podemos, poi nelle diverse elezioni del 2019. Más País ha solo due deputati e non si è presentata nelle elezioni regionali in Galizia, Paesi Baschi e Catalogna. In pratica, gli resta solo Madrid e una netta prevalenza su Podemos potrebbe essere l’ancora di salvataggio, sperando nel naufragio del suo rivale. Iglesias, spaventato da questa prospettiva molto probabile, ha proposto un accordo a Mónica García: primarie e alleanza. È un accordo che fino a ieri mai Más Madrid avrebbe accettato, ma oggi sembra piuttosto probabile. Se va in porto (o forse in ogni caso) il progetto di Errejón potrebbe essere giunto al termine.
Il quarto obiettivo, infine, è quello di preparare la successione alla guida di Unidas Podemos. Il Ministero degli Diritti Sociali sarà occupato dall’attuale sottosegretaria Iole Belarra mentre alla vicepresidenza ascenderà la Ministra del Lavoro, Yolanda Díaz e verso di essa Iglesias ha previsto il futuro ruolo di candidata alla Presidenza del Governo, in pratica di leader di Unidas Podemos. Del quartetto di ministri di Up, Díaz è certamente quella che ha avuto maggiori responsabilità e che ha ottenuto i migliori risultati. In un momento di distruzione di un gran numero di posti di lavoro, è colei che ha negoziato ripetuti rinnovi della cassa integrazione, ha ottenuto l’aumento del salario minimo e la regolarizzazione dei rider come lavoratori dipendenti (con accesso agli algoritmi da parte dei sindacati). Ha dimostrato concretezza, empatia, carattere e propensione al dialogo, che le hanno permesso di godere della sincera stima di Sánchez e di altri ministri socialisti, nonché dei rappresentanti delle imprese. Eppure Yolanda Díaz è una comunista, per davvero, membra del Partito Comunista Spagnolo (ma non di Izquierda Unida, di cui il Pce è parte). È rappresentante, insomma, di una sinistra che non è cresciuta nelle aule dell’università di Madrid come Pablo Iglesias ma nella lotta delle battaglie sindacali della Galizia, più propensa a una retorica orientata ai fatti dell’economia che a quella piena di pathos, sarcasmo e di riferimenti culturali di Iglesias. E la sua capacità di guida è tutta da scoprire. Eppure, nonostante le varie differenze la sintonia con Iglesias è totale. È su di lei che punta per la successione, prima donna a guidare la forza politica di sinistra rivale del Psoe dai tempi di Dolores Ibárruri.
Questi quattro obiettivi possono fallire tutti, ci sono diverse possibilità. Iglesias può generare una mobilitazione al voto inferiore a quella che si aspetta a sinistra e causare una reazione anticomunista a destra. Il tentativo di riunificazione con Más País può anch’esso andare male, essendo così profondi i rancori e le ferite da non permettere un riavvicinamento. La destra, inoltre, può nettamente vincere le elezioni e vedere la nascita di un esecutivo di Pp e Vox. Il Governo potrebbe risentirne nettamente, magari con un indebolimento della sinistra interna e Yolanda Díaz potrebbe non riuscire a invertire la tendenza discendente degli ultimi anni. Tutte cose possibili. Eppure la scelta di Pablo Iglesias, per quanto rischiosa, potrebbe essere capace di rigenerare entusiasmo e audacia, qualità che di solito si perdono quando si occupano posizioni di Governo. Rinunciare a un posto da vicepresidente di un Governo che può durare ancora a lungo per svolgere un’incerta battaglia elettorale tutta in salita può essere da stimolo per ricostruire quel clima di ribellione che nel maggio del 2011, ormai dieci anni fa, esplose in tutta la Spagna col movimento degli Indignados. Le elezioni del 4 maggio emetteranno il verdetto sulla sfida di Iglesias, una sfida in cui la sinistra spagnola si gioca tutto.
*Nicola Tanno è laureato in Scienze Politiche e in Analisi Economica delle Istituzioni Internazionali presso l’Università Sapienza di Roma. Vive e lavora da anni a Barcellona
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.