La fine del momento populista?
Cos'è il popolo? Dove è finito il «momento populista»? Perché analizzando la retorica di Salvini si finisce a parlare di merda? È possibile una «rivoluzione senza ghigliottina»? Il numero 5 di Jacobin Italia
Benvenuti nel secondo anno di Jacobin Italia. Il primo numero di questo nuovo anno di vita della rivista tratta per la prima volta lo stesso tema della pubblicazione sorella statunitense, mescolando insieme articoli prodotti dalla redazione italiana con quelli tradotti dal numero che in questi stessi giorni esce negli Usa. La domanda dalla quale ci muoviamo è: Cosa ne è, a sinistra, del «momento populista»? È davvero finito, come dicono abbastanza esplicitamente alcuni dei protagonisti di quella fase? La risposta non può essere netta per un motivo abbastanza semplice: il concetto stesso di populismo varia di epoca in epoca, di autore in autore e di contesto in contesto. Però lavorando a questo numero ci siamo resi conto del fatto che ponendoci la domanda sul destino del «momento populista» eravamo costretti a interrogarci su due questioni politiche fondamentali. La prima è: Cos’è il popolo? Esiste davvero o è frutto di processi politici e dispositivi di mobilitazione? La seconda: Che rapporto bisogna costruire tra la dimensione orizzontale delle lotte e quella verticale dell’organizzazione?
Comunque la si pensi, la teorizzazione del populismo di sinistra di Ernesto Laclau e Chantal Mouffe muove da questi due temi ineludibili. Bhaskar Sunkara introducendo l’edizione statunitense di questo numero scrive che l’emersione dei populismi non rappresenta semplicemente «la crisi della politica» o della «democrazia» ma è indice della crisi della sinistra e del pensiero socialista. Ne parlano, introducendoci al tema, Salvatore Cannavò e Lorenzo Zamponi. Anton Jäger passa in rassegna a volo d’uccello alcune esperienze che sono state segnate dallo stile populista, chiedendosi se in questa fase non sia tornata la politica a rompere il bipolarismo tra populismo e tecnocrazia. Poi torniamo in Italia: Michele Filippini ci ricorda che ben prima del Movimento 5 Stelle e di Matteo Salvini il nostro paese era stato laboratorio di nuove forme di populismo, ricostruendo la genealogia recente ma dimenticata di questa storia che muove da Tangentopoli e la fine della cosiddetta Prima Repubblica. Seguono due dialoghi con pensatori che a diverso titolo si sono occupati del tema. Giulio Calella ne parla con Enzo Traverso, che parte dalle radici del populismo russo e statunitense per sostenere come la veste contemporanea del nostro fenomeno sia lì a ricordarci il vuoto di iniziative e orizzonti della sinistra dopo la fine del comunismo novecentesco. Lorenzo Zamponi ne discute con Yannis Stavrakakis, uno degli allievi di Laclau, che non si sottrae a critiche e sollecitazioni sull’esperienza dei «populismi di sinistra». La messa in pratica particolarissima eppure (o forse proprio per questo) cristallina dei tratti del populismo di Laclau nel Movimento 5 Stelle è oggetto di analisi di Giuliano Santoro. Loris Caruso fa il punto della vicenda di Podemos e della possibile crisi del meccanismo populista che l’ha alimentata. Girolamo De Michele invece ci ricorda delle rivolte che compaiono in tutto il mondo, punta di un iceberg di movimenti leaderless che continua a scavare e inventare forme di resistenza. Roberto Lampa traccia un bilancio dei populismi latinoamericani: quel ciclo si è davvero chiuso?
Lorenzo Bernini ci introduce nel lato oscuro della faccenda e compone una fenomenologia di Matteo Salvini a partire dal suo discorso di Pontida. Caterina Froio e Pietro Castelli Gattinara spiegano la differenza tra populismi ed estreme destre vecchie e nuove. Sarah R. Farris affronta il caso del femonazionalismo e cerca di capire in che modo i diritti delle donne possano essere strumentalizzati in chiave xenofoba. Charles Postel ricostruisce la storia sospesa tra egualitarismo e protezionismo del populismo statunitense dell’Ottocento. A proposito di sinistra e destra: Adam Baltner ci parla anche di un esperimento fallito, quello del movimento Aufstehen in Germania. Stephan Alliés affronta il caso francese della France Insoumise di Jean-Luc Mélenchon. Francesca Coin parte dal successo del film Joker, di Todd Phillips con Joaquin Phoenix, per ragionare della sottile linea che separa le patologie dalla ribellione.
Si diceva della dimensione comunicativa come centrale nel populismo contemporaneo. Meagan Day descrive il fenomeno dell’opinionista di Fox News, Tucker Carlson, uno di quelli che è passato da posizioni liberiste a forme di critica al capitalismo che puzzano di razzismo. Ce ne sono diversi anche Italia. Poi risaliamo agli archetipi dell’immaginario populista. Lo fa Eileen Jones mettendo a confronto due grandi registi reazionari della Hollywood degli anni d’oro, Frank Capra e Preston Sturges, e il modo in cui dipingono il cittadino onesto e il cinismo della società che lo circonda. Un maestro tutt’altro che reazionario del racconto del popolo e della working class è Ken Loach. Lo ha incontrato per Jacobin Dawn Foster. In coda a questo numero, invece, Connor Kilpatrick dialoga con Adam McKay, che del rapporto tra masse e potere ne sa qualcosa, visto che dalle commedie demenziali di Will Farrell e dal Saturday Night Live è passato a dirigere e produrre serie e film di denuncia come Vice. L’Uomo nell’ombra, sul vicepresidente degli Usa di George Bush Dick Cheney.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.