La sfida della radicalità
La generosità della sinistra, dei giovani e dei cittadini dei centri urbani ha sconfitto l'estrema destra di Le Pen. Ora l'establishment spinge per una «maggioranza Ursula», ma ai socialisti serve tenere unito il Nfp
La generosità repubblicana, sociale e in larga misura di sinistra ha sconfitto la destra razzista e xenofoba di Marine Le Pen. Anche oltre le attese di osservatori e protagonisti la Francia progressista e democratica ha avuto un sussulto, dimostrato dalla partecipazione al voto del secondo turno, oltre il 66%, la più alta dal 1981 (vittoria delle sinistre) per bloccare una destra che non ha mai rotto davvero con il fascismo.
Questa generosità è stata massima per il Nuovo fronte popolare (Nfp) che non ha avuto esitazioni a praticare la desistenza nei singoli collegi fin dalla sera del 30 giugno, particolarmente nella sua ala di sinistra, la France insoumise (Fi) che, infatti, ha dato più sangue degli altri. Nonostante i deputati del Nfp siano 182, formando la prima rappresentanza politica, con i socialisti che hanno aumentato del 58% i propri numeri, la Fi di Jean-Luc Mélenchon resta al palo e mantiene i suoi 74 seggi (erano 75) in attesa di capire il numero di defezioni di dissidenti che subirà (dovrebbero essere 4-5).
Questo dato è importante perché dal giorno dopo i principali quotidiani e i membri dell’establishment – a volte piu in Italia che in Francia – stanno sparando ad alzo zero contro il partito «dell’antisemitismo e di Hamas», un’ipocrita messinscena per tagliare fuori gli Insoumis dal gioco politico. Vedremo più avanti che però nell’immediato non sarà così semplice.
Il fronte repubblicano è stato così esteso e vincente che ha permesso di «salvare la pelle» a gran parte della truppa macroniana che conserva ben 168 seggi (erano 250). Il merito sembra però essere non tanto del presidente della Repubblica – con buona pace dei «liberali alle vongole» italiani – ma del primo ministro dimissionario Gabriel Attal che fin dal 9 giugno ha reso visibile il suo distacco da Macron e ha scommesso sull’unità repubblicana contro Le Pen. Il partito macroniano Renaissance ha 102 deputati ed è uno dei più grandi affiancato dagli altri due gruppi della galassia presidenziale, MoDem con 33 eletti del dinosauro François Bayrou e Horizon dell’ex premier Edouarde Philippe, 25 seggi, forte sostenitore di una proposta di governo che vada dai socialisti alla destra repubblicana, ex gollista, che non ha seguito le sirene lepeniste. Incredibilmente il gioco delle desistenze ha favorito anche il partito che è stato di Sarkozy, con 45 eletti che potrebbero salire ancora se imbarcherá la quindicina di deputati di destra senza etichetta. Al contrario, l’ex presidente dei repubblicani, Eric Ciotti, pur rieletto, avrà un piccolo gruppo strettamente legato ai destini del Rassemblement national.
La tentazione dell’establishment di creare un governo di unità nazionale che tagli le ali estreme è molto forte. Nei dibattiti televisivi si sono fatte abbondanti citazioni dei governi italiani di Monti e Draghi, e l’isteria contro il presunto antisemitismo di Mélenchon serve fondamentalmente a dispiegare questo progetto. Soprattutto in Italia, come notavamo, perché gli orfani di Mario Draghi non vedono l’ora di riesumare la loro amata formula politica, «il governo tecnico», anche per impedire che il Pd coltivi l’idea di stringere un’alleanza più forte alla sua sinistra con M5S e Avs.
Ma la Francia ha votato in modo netto e la folla di Place de la Republique del 7 luglio sta lì a ricordare il segno di questo voto. Un voto che ha mobilitato i giovani, innanzitutto, ha guadagnato il consenso delle seconde, terze e quarte generazioni di immigrati, lasciando fuori soprattutto la Francia rurale. La Francia di Mbappé ha battuto quella di Le Pen, si potrebbe dire con una battuta, intendendo la capacità anche delle banlieues di avvertire il pericolo imminente e di fare «barrage» alla destra estrema.
Il voto popolare è il grande vincitore. I vertici dei partiti hanno imbastito in fretta e furia delle desistenze in tutto il paese, ma in molti, nell’arco dell’ultima settimana, si chiedevano se queste scelte innaturali avrebbero avuto consenso. Lo hanno avuto, in misura maggiore alle aspettative. Segno della repulsione per un partito, quello lepenista, che manca l’appuntamento con la storia almeno per la terza volta. Probabilmente da quelle parti si farà qualche riflessione. Però è notevole che, ad esempio, il 70% di elettori Nfp è stato disposto a votare anche per candidati di Les Republicains e che nel voto reciproco tra sinistra e macroniani non ci sono state esitazioni tanto che è stata eletta la prima ministra della riforma pensionistica, Elisabeth Borne, o il ministro anti-immigrati Gerard Darmanin. Queste contraddizioni del fronte unitario contro le destre potrebbero essere pagate presto, come spera Marine Le Pen. Dipenderà dalle scelte imminenti.
Come detto, la maggioranza del quadro politico spinge per l’unità nazionale, qualcuno scomoda anche la «formula von der Leyen» che vede l’unione tra Popolari-Socialisti-Liberali al Parlamento europeo. Le prime dichiarazioni del Nfp non fanno pensare alla rottura di quest’alleanza anche se ci saranno probabilmente gruppi parlamentari diversi: al momento 74 sono i seggi alla France Insoumise, 59 ai socialisti, 28 ai Verdi e 9 per il Pcf, più una dozzina di non collocati. Ci saranno scomposizioni nel partito di Mélenchon (la dissidente Clementine Autain ha già detto che forse ci sarà un nuovo gruppo), ma fino a lunedì 8 luglio tutti i partiti del Nfp sono d’accordo sul fatto che Macron debba nominare primo ministro una personalità di quest’alleanza.
I socialisti, in particolare, che di fatto rinascono, hanno un ruolo centrale. Sono coloro che possono aprire un’interlocuzione verso il centro dell’Assemblea e relativizzare il peso dell’estrema sinistra. Ma fino a un certo punto, perché la dinamica politica francese è polarizzata e non sarebbe conveniente, alla lunga, scoprirsi a sinistra. Nel corso di un dibattito serale su France24, è stato un sollievo ascoltare il direttore del Grand Continent ricordare agli astanti, per lo più fautori del governo tecnico, che in Italia dopo il governo Monti c’è stato l’exploit di Lega e 5 Stelle e dopo il governo Draghi quello di Giorgia Meloni. Potenza del realismo che in genere non difetta ai socialisti francesi, come dimostra l’abilità di François Hollande nel rimettersi al centro dei giochi. Il Ps ha oggi interesse a una formula che tenga unito il Nfp, imbrigliare la FI e dialoghi con settori macronisti in cerca di emancipazione dal proprio padre fondatore. Del resto è l’unico modo per i socialisti di preparare la sfida presidenziale dove è decisivo arrivare al secondo turno e quindi secondi dopo Le Pen (se la sua stella continuerà a brillare). Per farlo occorre rimanere saldamente ancorati all’ondata del 7 luglio e porsi come partito chiave dei futuri equilibri.
Questa è la partita che comincia ora in cui un eventuale governo delle sinistre proverà a installarsi, confidando nel sistema politico francese che non prevede la fiducia ma solo la sfiducia, cioè l’unione di tutte le opposizioni. Ma governare con poco meno di 200 seggi un’assemblea di 577 deputati non sarà facile. Un primo passaggio sarà quello dell’elezione del presidente dell’Assemblea nazionale, in cui si capirà la dimensione dell’alleanza e il nome su cui si sceglierà di convergere.
Quello che la sinistra più radicale non può permettersi è di scollegarsi dal mondo che l’ha votata, dalle domande di cambiamento, che anche il voto a Le Pen ha in parte rappresentato, e di finire fagocitata in un gioco al massacro fatto di compatibilità, notabilato e austerità. La sfida al futuro della Francia, e in parte al nostro, si può giocare anche con un governo di minoranza basato sulla radicalità e l’audacia. Unica arma per sostenere un’eventuale, e possibile, implosione del quadro politico, ad esempio con le dimissioni anticipate dello stesso Macron (mentre l’Assemblea nazionale per Costituzione non può essere sciolta prima di un anno dopo le elezioni).
La sfida insomma è quella della radicalità, per raccogliere la generosità che la sinistra popolare francese ha mostrato il 7 luglio, una settimana prima della più importante ricorrenza politica del mondo moderno.
*Salvatore Cannavò, già vicedirettore de Il Fatto quotidiano e direttore editoriale di Edizioni Alegre, è autore tra l’altro di Mutualismo, ritorno al futuro per la sinistra (Alegre, 2018) e Si fa presto a dire sinistra (Piemme, 2023)
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