Le famiglie del presente
La riforma del diritto di famiglia di Cuba ci ricorda che i diritti civili riguardano la sfera economica, sociale e politica: il nesso tra governo, produzione e riproduzione
A Cuba la persecuzione delle persone Lgbtqia+ è terminata, ufficialmente, nel 1979 con la depenalizzazione dell’omosessualità. Come in tutti gli altri paesi del mondo, questo non significa né che l’omolesbobitransfobia sia da allora sparita, né che che una ratifica dei diritti delle persone Lgbtqia+ sia stata pienamente raggiunta. Fa notizia quindi – come hanno dichiarato Repubblica, Corriere della sera e Open – che a Cuba sia stato «approvato il matrimonio gay» insieme a «le adozioni» e «alla gestazione per altri». L’unico giornale italiano che riporta più approfonditamente cosa contiene la riforma cubana del diritto di famiglia (qui se ne può leggere il testo integrale) è Il Fatto Quotidiano, non senza imprecisioni (come la questione poca chiara sulla responsabilità genitoriale dei nonni). Il punto è che non si tratta di una «riforma Lgbtqia+» ma di una completa riscrittura del diritto di famiglia. Ben lungi, quindi, dall’essere semplicemente un «allineamento» o «adeguamento» a delle supposte «democrazie mature», si tratta di un processo politico e giuridico che opera su diverse aree di intervento.
Avanzare, arretrare?
Se a Cuba passa una riforma che, almeno nella versione semplificata della notizia (cioè l’approvazione del matrimonio egualitario), è più avanzata rispetto a diversi paesi euro-asiatici (compresi Italia, Israele e Ucraina, oltre ai ben noti e tristi casi di Ungheria e Polonia), è evidente che non tiene più il ritratto dei «paesi liberali con i diritti sebbene economicamente più diseguali» contro i «paesi autoritari senza diritti anche se economicamente più egualitari». Il primo motivo è che sappiamo benissimo quanto il supposto egualitarismo dei paesi autoritari sia, al più, il residuo di un mito campista che alimenta soltanto la confusione nell’analisi dei conflitti internazionali. Il secondo è, dal lato opposto, l’arretramento globale delle stesse democrazie liberali, ormai al limite o ben oltre il confine che separa autoritarismo e partecipazione democratica.
Le organizzazioni Lgbtqia+ mainstream, internazionali e non, sono in grado di fornire dati e informazioni a livello globale utili ma difettano nella loro interpretazione. Elenchi puntati di obiettivi da raggiungere astraggono dai concreti processi in atto. Bisognerebbe mostrare, per esempio, come in Ungheria si sta verificando un arretramento in piena regola, in un territorio in cui le unioni civili erano state approvate nel 2007 – ben prima del nostro 2016 – per essere poi modificate nel 2009, e che dal 2012 vedono la strada bloccata verso il matrimonio egualitario grazie all’azione di Orbàn (e nonostante questo, con l’adozione per le persone single, restano in una condizione più «avanzata» rispetto all’Italia). Da questo punto di vista, si vede chiaramente il problema: parlare di avanzamenti e arretramenti in blocco non ha alcun senso storico e non basta separare in singoli «punti» lo stato dei diritti in un paese per verificarne l’adeguatezza compilativa. Ciò è particolarmente vero se la riforma, come quella cubana, riguarda l’intero diritto di famiglia. Bisogna quindi analizzare complessivamente, almeno per sommi capi, il percorso storico e materiale del territorio in questione e leggere in base a quello cosa è cambiato e cosa se ne può ricavare.
Quale storia?
All’epoca delle persecuzioni, intensificatesi a Cuba tra gli anni Sessanta e Settanta (il caso più noto è quello di Reinaldo Arenas), vi erano seri problemi nel rapporto tra movimenti socialisti e comunisti, da un lato, e movimenti Lgbtqia+ dall’altro, anche in Italia (già dal primo numero del FUORI! nel 1972). È nel corso degli anni Ottanta – dopo la depenalizzazione dell’omosessualità nel 1979 – che il clima culturale inizia a mutare anche sul piano istituzionale (viene abolita anche la legge sulla pubblica ostentazione) nonostante le opinioni non esattamente gay friendly del lìder maximo, espresse anche nel 1965 in un’intervista a Giangiacomo Feltrinelli.
Già a fine anni Ottanta è lo stesso Fidel Castro a rivedere la rigidità con cui era stata perseguita l’omosessualità, fino ad arrivare nel 2010 a chiedere scusa. Se si trattasse solo di questo, sarebbe solo un processo di progressivo ammorbidimento. Va aggiunto invece l’attivismo intenso condotto almeno negli ultimi vent’anni, in particolare dal Cenesex e da Mariela Castro, la figlia di Raùl. Il primo pride organizzato dal Cenesex a L’Havana si è svolto nel 2008, e poi si è ripetuto ogni anno salvo essere annullato nel 2019 a causa di conflitti con i gruppi cattolici, venendo poi autorganizzato dalla comunità Lgbtqia+ locale con ovvi conflitti con l’organizzazione statale. Nel frattempo, figlia della «Strategia Nazionale di attenzione integrale alle persone transessuali» del 2005, nel 2008 era stata approvata una legge, la Resolucion 126, che non solo normava la transizione medicalizzata per le persone trans*, ma istituiva un «Centro de atención a la salud integral delas personas transexuales». La rettifica anagrafica, pur attivata automaticamente per chi ha scelto una transizione medicalizzata a Cuba o altrove, resta invece nelle mani del Cenesex e dei tribunali, non prevede autocertificazione e non affronta ancora oggi il tema delle identità non binarie.
Le famiglie, non la famiglia
Anche nel caso della Resolucion 126, la logica è quella del diritto alla salute per «le diversità sessuali». I limiti sono evidenti: queste strategie non sempre raggiungono gli obiettivi che propagandano, e non aiuta la concezione fortemente centralista dello stato cubano, anche in termini geografici, compreso quel che riguarda l’accesso ai servizi. Ma se non si coglie questo punto non si capisce per quale motivo il matrimonio egualitario è stato conseguito attraverso una riforma complessiva del diritto di famiglia. Mariela Castro sottolineava, già in un’intervista del 2009 per BBC sulla Resolucion 126, come della riforma del diritto di famiglia che il Cenesex faticava a presentare avrebbero beneficiato «los homosexuales y transexuales», ma anche «los derechos de la niña y el niño». La riforma era comunque progettata insieme alla Federación de Mujeres Cubanas e alla Unión de Juristas de Cuba, il che suggerisce che quella di far passare i diritti Lgbtqia+ in un processo di legislazione più ampio aveva un doppio obiettivo. Da un lato, oltrepassare le reticenze culturali (cioè l’omolesbobitransfobia) del legislatore e del territorio cubano proponendo delle riforme che riguardino l’intero paese; dall’altro – tutto sommato il rovescio di questa medaglia – avere un’ambizione maggiore dell’approvazione del singolo provvedimento, e credere nelle questioni Lgbtqia+ come leva del progresso sociale più complessivo.
La parificazione del matrimonio per tutte le coppie, indipendentemente da genere e orientamento sessuale, era stato oggetto di rivendicazione da parte della comunità Lgbtqia+ cubana già dal 2017 e aveva portato a stabilire nella nuova Costituzione del 2019 gli articoli 81 e 82, nei quali si mette in chiaro: «ogni persona ha diritto a fondare una famiglia. Lo stato riconosce e protegge le famiglie, qualunque sia la loro forma di organizzazione, in quanto cellula fondamentale della società, e crea le condizioni per garantire che si promuova integralmente il perseguimento dei suoi fini» (art. 81) e che «il matrimonio è un istituto sociale e giuridico. È una delle forme di organizzazione delle famiglie. Si fonda sul libero consenso, nell’eguaglianza di diritti, doveri e nella capacità giuridica dei coniugi. La legge determina la forma in cui si costituisce e i suoi effetti» (art. 82). L’aver rimosso la zeppa costituzionale della dicitura «uomo e donna», ancora presente nell’ordinamento italiano, ha permesso di preparare il terreno a ciò che in quel momento non poteva essere inserito in Costituzione ma che avrebbe preso la forma dell’attuale riforma del diritto di famiglia.
È conseguente, quindi, la definizione di «familias» al titolo 1, disposizioni preliminari, art. 2 commi 1 e 2: «Lo Stato riconosce nelle famiglie [en las familias] la cellula fondamentale della società; le protegge e contribuisce alla loro integrazione, benessere, sviluppo sociale, culturale, educativo ed economico, allo svolgimento delle loro responsabilità; crea le condizioni che garantiscono l’adempimento delle loro funzioni di istituzione e gruppo sociale»; «Le distinte forme di organizzazione delle famiglie, basate sulle relazioni di affetto, si creano tra parenti, quale che sia la natura della parentela, e tra coniugi o coppie affettive di fatto». «Le famiglie» in quanto cellula fondamentale «della società», e non dell’economia, vengono riconosciute – e non istituite – dallo Stato, qualunque sia la loro configurazione. Su quest’ultimo punto l’espressione «quale che sia la natura della parentela» consente di fare chiarezza. Come peraltro esplicitato dall’art. 9 sui «criteri interpretativi», al comma 2 viene usata una formula sufficientemente vaga da aprire ad altre possibili configurazioni affettive, ma in base al contesto in cui viene scritta la riforma il legislatore osserva in prima istanza l’esistenza di coppie matrimoniali o di fatto, famiglie monogenitoriali e infine possibili famiglie allargate per lo più legate dalla situazione filiale e dall’interesse prioritario dei figli (agli artt. 16-24 vengono definite le forme della parentela sia sui livelli di consanguineità sia su quelli socioaffettivi). La famiglia allargata è oggetto di normazione specifica nello stesso codice, per ciò che riguarda alcuni casi specifici di multiparentalità (artt. 56-59) previsti. È importante notare come tra questi, oltre all’adozione dei e delle figlie del partner (artt. 103-108), ci sono quelli relativi alla fecondazione assistita e alla gestazione per altri, nel testo chiamata «gestacion solidaria» (artt. 130-135) per via della forma specifica che assume – nella quale è esplicitamente proibita ogni forma di pagamento e viene incoraggiata, invece, la costruzione di legami parentali.
L’apertura a configurazioni altre mantenendo una focalizzazione specifica consente, d’altro canto, di intervenire in modo molto diretto sugli equilibri di genere nelle famiglie – per esempio la specifica normazione del valore del lavoro domestico e di cura all’interno del regime matrimoniale (art. 216), che nel divorzio può condurre a forme di compensazione separate dalla corrispondenza degli alimenti (art. 276). Ma anche in questo caso, lo sguardo è più ampio del singolo tema, e consente di prendere una serie di provvedimenti che – questi sì – erano senza dubbio più arretrati rispetto alle legislazioni europee, come l’abbandono della patria potestà in favore della «responsabilità genitoriale» (artt. 136-146), che il codice di famiglia italiano ha superato nel 1975, o la fissazione dell’età di matrimonio a diciotto anni (art. 204).
Questi elementi sono utili anche a ragionare del caso italiano. Una linea interpretativa – attualmente dominante – dell’assetto italiano tra Costituzione e Diritto di famiglia riconosce la famiglia come «società naturale» fondata «sul matrimonio», definito come matrimonio eterosessuale e riproduttivo, escludendo non solo le coppie omosessuali ma l’intera possibilità di una vita familiare e affettiva omosessuale. Una norma giuridica straight che nel caso cubano – e qui si gioca l’interesse della strategia adottata da Mariela Castro in questa riforma del diritto di famiglia – viene risolta con un colpo di mano. Primo: «las familias» esistono nella società prima che nello Stato, e il compito dello Stato è riconoscerle qualunque sia la loro configurazione, purché i principi di affetto, cura reciproca e reciproco rispetto vengano rispettati; secondo, il matrimonio è una delle forme con cui lo Stato le riconosce, e lo Stato si impegna in ogni caso a interferire meno possibile. Terzo: il principio di realtà prevale su una realtà inventata, e formulata per principio.
Leggere la realtà, pianificare, trasformare
Da un punto di vista Lgbtqia+ il risultato è l’ottenimento del matrimonio egualitario, delle adozioni per le coppie omogenitoriali, la normazione delle tecniche di fecondazione assistita e della gestazione per altri , del riconoscimento dei e delle figlie del coniuge, ma con un respiro decisamente più ampio, in cui le lotte Lgbtqia+ costituiscono una leva importante di una trasformazione socio-giuridica più complessiva. L’avanzamento andrebbe quindi considerato come una conseguenza, o una parte, di una più complessiva lettura della presente materialità familiare cubana, fatta di famiglie separate dall’emigrazione, di rimescolamenti e convivenze, talvolta anche di rifugio rassicurante in forme familiari allargate ma di sangue.
La storia non è maestra, naturalmente, di nulla che ci riguardi. Ma se c’è una lezione da imparare da Cuba non è relativa a supposti arretramenti monolitici o avanzamenti di scatto: la lezione è la capacità di leggere la realtà, legislativa e sociale, e la necessità di trattare le questioni Lgbtqia+ non come un parco di diritti a sé stante ma come pienamente e necessariamente inserito in una visione sociale, economica e politica della società che riguarda tutta la popolazione – compresa quella cisgenere ed eterosessuale.
I fatti hanno la testa dura: alla divisione della classe anche attraverso la taylorizzazione di genere del lavoro, si risponde con una visione complessiva che riprende in carico le differenze e ricostruisce il mosaico dalle sue singole tessere. Non si deduce la realtà dall’ideale punto di arrivo della nostra utopia. Per questo la posta in gioco sociale e quella civile, quella economica e quella politica, anche nel diritto di famiglia, sono tutt’uno. I diritti Lgbtqia+ vanno dunque considerati come parte di una sfida sociale globale molto più ampia: il ruolo economico, sociale e politico delle famiglie negli Stati e nelle economie del mondo attuale. E – di conseguenza – la visione dell’organizzazione della società che destre e sinistre vogliono formulare, a partire dal presente, per il futuro. Dal nostro punto di vista quindi la domanda centrale dovrebbe essere: come si riorganizza la sede fondamentale del lavoro riproduttivo in rapporto a una diversa distribuzione del lavoro produttivo al fine di farla finita con l’accumulazione capitalistica e col disastro ecologico?
*Enrico Gullo è dottore in storia dell’arte, lavoratore dell’editoria e attivista con particolare attenzione alla cultura queer. Ha collaborato con Prismo e collabora attualmente con Not e Il Tascabile.
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