L’eredità da scoprire
Nell'epoca del governo neoliberale e dei populismi neri, bisogna far uscire l'utopia emancipativa dalle secche del razionalismo calcolante e del nichilismo disperante. È la via cercata da Gli uomini pesce, il nuovo romanzo di Wu Ming 1
Acqua. Acqua ovunque. Una torre, ma potrebbe essere un campanile o un edificio comunale, emerge nella parte superiore, a testimoniare qualcosa che non c’è più. Il colore dominante è il rosso. È il timbro ex libris che Wu Ming 1 sta usando per siglare le copie del suo nuovo libro nel giro di presentazioni. Probabilmente è una visione dal futuro, «buona» nella misura in cui suggerisce un’idea di pace e risoluzione che sembra non prevedere l’umano. Al suo rovescio, nel presente, c’è terra secca, asciutta e crepata, l’alveo sofferente di un fiume, il rivo strozzato di un sistema fluviale in crisi, sintomo emergenziale di un territorio antropizzato e sfruttato al limite e nella lunga durata, che non si riconosce più. Come il bacino di Po, con i suoi molti affluenti e le sue diramazioni, fragile, torturato e incapace di difendersi quando le precipitazioni, «anomale» ed estreme per gli standard a cui credevamo di essere abituati, creano disastri e sofferenze a luoghi, persone e animali. Sono scene viste negli ultimi anni, in Italia ma non solo, e che molti hanno vissuto con le loro pesanti conseguenze. Questi siamo noi, ora, immersi nella crisi climatica e stretti dall’ansia correlata.
Il nuovo romanzo solista di Wu Ming 1 è ricco di immagini potenti, tragiche e solenni, come questa, che arrivano in profondità e lavorano all’interno di una comunità di lettura estesa e transgenerazionale. Ancora una volta l’operazione di scrittura romanzesca infatti è un potente sismografo di umori, pulsioni, inquietudini in corso nelle vite private, capace di dare voce e corpo a tendenze del politico contemporaneo.
Gli uomini pesce tira molti fili della produzione del collettivo bolognese di scrittori e di quella solista di Wu ming 1, tanto dal punto di vista tematico quanto narrativo. È strettamente legato a La macchina del vento, di cui riprende un personaggio centrale – il socialista confinato a Ventotene Erminio Squarzanti – che qui viene raccontato nella sua attività di partigiano nel Delta di Po dopo l’8 settembre 1943; ma c’è anche molto di Ufo 78 per la capacità di raccontare sul lungo periodo la storia dell’Italia del fascismo e dell’antifascismo mediante il riferimento all’intreccio di fenomeni di cultura popolare, weirdness, mitologie moderne e controculture politiche, con personaggi che avremmo potuto essere noi e che in parte abbiamo conosciuto. Così come torna il riferimento continuo ai fenomeni sottili di correnti psichiche e di impalpabile perturbanza che infestavano L’Armata dei sonnambuli: un’atmosfera che, per entrare in altri affluenti del bacino wuminghiano, si respira anche in oggetti narrativi non identificabili come Un viaggio che non promettiamo breve e La Q di complotto. Testi diversi e prodotti nel tempo di una stessa officina narrativa, accomunati dalla medesima capacità di inchiesta storico-antropologica-geografica su un territorio e dalla vasta esplorazione psichico-mediatica delle soggettività coinvolte.
La memoria della storia d’Italia attraverso la Resistenza
Sono diversi i vortici tematici che si aprono a partire da Gli uomini pesce e che vorrei far emergere, in quanto idee forza di uno stesso disegno psico-politico.
Partire da una storia di vita partigiana significa far brillare simbolicamente nel romanzo la memoria della storia d’Italia attraverso l’antifascismo e la Resistenza: questa è una delle importanti eredità dal dopoguerra all’oggi, contestata e oltraggiata nella biografia della nazione. Uomini pesce a un primo livello, di superficie, sono allora quei partigiani di acqua limacciosa che combattono nel territorio di Po, tra la pianura e i porti dell’Adriatico. Una guerra, non molto descritta (con grandi eccezioni come Paisà e L’Agnese va a morire) o meglio meno sedimentata rispetto all’immagine dominante alpina del partigianato di montagna, con specificità di combattimento e azione che insegnano una cosa molto chiara, tipica della Resistenza e di ogni resistenza: può sperare in un esito felice e sopravvivere chi conosce bene un territorio e sa adattarsi a esso entrando in un rapporto di empatia e co-evoluzione con l’ambiente. Lo spirito di lotta sociale ed emancipazionista che soffia dalla Resistenza è anche dunque quello che innerva le azioni contro lo sfruttamento del territorio oltre che del lavoro in esso, prima, durante e dopo la Resistenza stessa. Il progetto, in parte pubblico e in parte segreto, del personaggio del libro Ilario Nevi, la cui storia viene raccontata da Wu Ming 1 attraverso la nipote che la riprende e innova con altri mezzi e a suo modo, implica che la difesa del territorio significhi ripensarlo con un modello di sviluppo diverso rispetto a quello che è stato finora: nel caso specifico, nel ferrarese e verso l’Adriatico, bonifiche e industrializzazione di un biotopo e di un ecosistema complesso come quello delle «terre liquide», per secoli antropizzate e ingegnerizzate, devono essere ripensate in un’ottica differente, in particolare a fronte della crisi, climatica e ambientale, che si è manifestata con forza catastrofica.
La riscoperta del significato del territorio e della natura da parte di chi ci abita passano attraverso un cambiamento di prospettiva che è soprattutto una questione di genere (gender) e di corpi. La famiglia Nevi del libro è infatti una famiglia matrifocale e matrilineare: una famiglia caratterizzata dall’assenza di maschi balordi e inadatti, allontanati o allontanatisi, con la forza o per scelta; in genere, le figure maschili nel romanzo sono attraversate da una differenza e caratterizzate dal ripensamento e dalla messa in discussione dei modelli patriarcali e di dominanza. L’elemento liquido e vischioso che caratterizza gli uomini pesce – creature mitiche che manifestano il perturbante del luogo – evoca anche questo. Analogamente e in cavo, la vicende personali delle figure protagoniste, su tutte la nipote di Ilario, Antonia, devono confrontarsi con traumi e processi di guarigione e riappropriazione della propria felicità che passano attraverso il corpo e i sensi, ripensando anche i canoni stereotipati dell’erotismo e dell’immaginario nei luoghi comuni della mediterraneità e dell’Adriatico.
Esoterismo di sinistra
Qui si scioglie un altro nodo, attorno a cui la riflessione di Wu Ming 1 si muove da tempo, e consiste nella continua interrogazione critica ma possibilista per le opportunità inesplorate di quello che per semplicità chiamerò un peculiare «esoterismo di sinistra». È stata la cultura di destra a sguazzare nella palude dell’extra-razionalità radicata nella tradizione e nei saperi arcani, un territorio ambiguo inestricabilmente connesso a questioni di classe dominante, alta cultura e potere autoritario (e maschile), con un significato di ripulsa dell’illuminismo e del razionalismo materialista, della modernità e del suo processo emancipativo; dall’altro è apparso chiaro, almeno dopo La dialettica dell’Illuminismo di Max Horkheimer e Theodor Adorno, come una ragione rigidamente materialista e scientista abbia prodotto (anche) logiche di dominio economiciste e utilitaristiche trionfanti nel capitalismo neoliberale e che tale razionalità disincantanta e nichilista sia risultata socialmente insufficiente nel suo progetto di autofondazione; soprattutto nella sua capacità di offrire significatività a soggetti e moltitudini, aprendo così la breccia per pesanti ricadute in metafisica e in nostalgie di irrazionalismo, naturalismo e orientalismo di varia matrice. Sono dinamiche che hanno interessato e animato dibattiti nei movimenti e nei saperi accademici ed extra-istituzionali della cui discussione si avverte una certa necessità.
Credo che, a partire da una pista aperta con Q ed esplicitata dal New Italian Epic e dai tanti ragionamenti di cui il blog dei Wu Ming Giap è testimonianza, nella produzione più recente di Wu Ming 1 si sia delineata progressivamente una prospettiva di costruzione finzionale e simbolica, una mitologia della ragione adatta al nuovo millennio che, senza cadere nell’irrazionalismo regressivo e reazionario, sappia offrire le risorse di un reincantamento capace di far uscire l’utopia emancipativa dalle secche del razionalismo calcolante e del nichilismo disperante.
Una mitocrazia che si interroga su sé stessa e cerca di non prendersi troppo sul serio, la cui sintesi operativa potrebbe essere espressa nella formula «Basta che funzioni». Ne Gli uomini pesce il personaggio di Stegagno, misterioso medico specialista di molte cose occulte e riservate, per necessità marrano e cospiratore, è una chiave risolutoria nella vita di Ilario e così lo è delle tante domande che attanagliano Antonia: egli sa muovere, dentro una lettura sensibile, materialistica e metapsicologica dell’alchimia e del segreto, diverse leve degli ingranaggi di un meccanismo opaco e sfuggente ma capace di efficacia e attualità. Le risposte che Antonia cerca arrivano quando il momento è giusto attraverso di lui, e altre sono ancora di là da venire.
Le fasi decisive de Gli uomini pesce, con flash-back e incursioni temporali, si collocano in un passato prossimo (che è in fondo il nostro presente) in cui è ancora vivido il trauma dell’epidemia di Covid 19, i cui effetti sono laceranti e distruttivi nelle famiglie, nelle comunità e nelle varie sfere che abitiamo. Il libro riesce a raccontare, storicizzandola e ricordandone la dolorosa contundenza, quell’emergenza e la sua disastrosa gestione, il suo uso politico e il suo racconto pubblico, fino a farne paradigma e prova generale per gli autoritarismi dell’oggi e significativo per le tante contraddizioni e conflittualità che si generano al suo interno. E al tempo stesso ci ricorda la nostra vulnerabilità e fragilità, invitandoci a riconoscerla e a prendercene cura.
Spirito comunitario
Ne emerge un soffio vitale, una strenua e soffusa ricerca di felicità, di cui è parte integrante il contrasto attivo e radicale dell’ordine delle cose nell’epoca della governamentalità neoliberale e dello scivolamento sempre più rapido verso il nero dei populismi e delle destre radicali: che è oggi il difficile ma necessario compito sentito come urgente da chiunque abbia a cuore le sorti della casa comune.
Ansia climatica e vibrazione di fondo post-umana, melancolia e disagio diffuso sono tali da invocare un surplus di spirito comunitario, ma non identitario né nazionalista: piuttosto mutualistico, federativo, internazionalista, intersezionalista e interspecista. Nel libro a un certo punto Antonia fa un sogno messianico che prova a descrivere sotto forma di appunti e in cui parla di un «futuro prossimo» dopo la «Crisi», dove non c’è un governo, ma qualcosa come consigli comunali, comunità di neurodiversi e alleanze di creature e mondi. Convergenze, che la letteratura permette di immaginare e provocare, prevedere e profetizzare, in modo conforme allo spirito dell’utopia e della rivoluzione che le appartengono a partire dal suo gesto fondativo, quello di rappresentare cose che non ci sono (mai state, più o ancora).
Una delle possibili traiettorie suggerite dal libro nella ricerca di una buona nuova vita è quella della creatività e delle molte forme di espressione che questa può assumere per chi produce e chi fruisce dell’esperienza estetica: una galassia di stelle che si vedono nel buio, forma sublime e cosmica di comunicazione tra le persone e tra mondi. SonicAlly, ex-ex di Antonia e musicista di paesaggi, è uno degli esempi di questa visionaria geografia, tanto più spirituale quanto più è terrestre, ed è parte integrante dell’amore per la vita ritrovato da Antonia.
Quelle che gli uomini pesce mormorano nel buio delle acque fangose sono domande e richieste, più che risposte. L’eredità dei Nevi è gioiosa, empatica e un tantino psichedelica, e può essere anche nostra. Una fragranza di acqua, terra e verde si diffonde in questo romanzo soffuso di luce e speranza, al tempo stesso metacritica cospirazionale della ragione moderna e visione politica di qualcosa che ci sta davanti, nel futuro.
*Enrico Manera insegna storia e filosofia in un liceo torinese. Svolge attività di formazione per l’Istituto piemontese per la storia della Resistenza e della società contemporanea di Torino. Scrive per Doppiozero e novecento.org.
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