
Movimenti contro Trump
La mobilitazione contro la presidenza repubblicana si rende visibile e scende in piazza. Ma il Partito democratico resta incerto. E pesa il tabù della questione palestinese
Giorni curiosi, dai molti volti, interessanti e contraddittori, quelli appena vissuti a Washington Dc, in un alternarsi di eventi che hanno contribuito alla multiforme impressione che nel vasto fronte dell’opposizione a Trump qualcosa stia cambiando, qualcosa finga di cambiare e qualcosa neppure ci provi. L’evento più emblematico è avvenuto sabato 5 aprile, quando decine di migliaia di persone hanno partecipato a due manifestazioni concomitanti: Hands Off! e Emergency March on Washington. La prima si è svolta nel grande prato che circonda l’obelisco dedicato a George Washington, dove un’oceanica folla e decine di oratori tra politici e rappresentanti di organizzazioni sindacali e sociali hanno intimato a Trump e Musk di tenere giù le mani dalle istituzioni che dovrebbero garantire i diritti e i bisogni dei cittadini americani e salvaguardare la democrazia. La seconda ha visto un interminabile corteo snodarsi per le strade della città fino ad arrivare, subito dopo la fine di Hands Off!, all’altezza dell’obelisco, dove si è trattenuto per un’altra ora e mezza per continuare la protesta pacifica contro la guerra israelo-statunitense contro Gaza, il genocidio palestinese, la detenzione di Mouhmad Khalil, l’uccisione dei giornalisti e la repressione.
Gli indivisibili
Organizzatore principale di Hands Off!, che ha avuto luogo in circa 1300 città statunitensi e in alcune città europee coinvolgendo milioni di cittadini, è stato il movimento Indivisible, co-fondato e guidato dai coniugi Ezra Levin e Leah Greenberg, al quale si sono unite circa 150 associazioni. La Marcia su Washington è stata invece un’iniziativa di gruppi pro-Palestina supportati, come per le altre manifestazioni che hanno ormai luogo da 18 mesi, anche da organizzazioni ebraiche come Jewish for Peace.
Premettendo che nessuno degli eventi in questione riguarda il fenomeno forse più avvincente di questo periodo, ossia il Fighting Oligarchy Tour di Bernie Sanders e Alexandria Ocasio Cortez, alla cui tappa di Los Angeles di sabato 12 aprile saranno presenti anche Joan Baez e Neil Young, diamo conto di alcuni aspetti di Hands Off!, indiscutibilmente l’evento clou di questi giorni, celebrato da un entusiasta Ezra Levin come «la più grande manifestazione pro-democrazia realizzata da anni». Intervenuto con la moglie a concludere le oltre quattro ore di alternanza sul palco dei vari relatori, Ezra Levin, che sembra The Young Sheldon diventato adulto, ha coinvolto la folla in una serie di botta e risposta in stile concerto rock, e ha incitato le persone a scambiarsi i numeri di telefono e a impegnarsi in un passaparola attivo, in modo da ampliare ancor di più quello che ha configurato come il più grande movimento di opposizione a Trump. Indivisible, che senza dubbio gode oggi di un exploit senza precedenti, raccoglie i frutti di un assiduo lavoro compiuto negli anni anni per creare una solida base grassroots liberal/progressista in tutti gli stati, come ci ha raccontato Emily Phelps, dirigente nazionale dell’ufficio stampa dell’organizzazione. «Dopo l’elezione di Trump nel 2016, molta gente si chiedeva in che modo potesse impegnarsi personalmente. Fu allora che alcuni ex-impiegati degli staff congressuali scrissero una guida basata sulla propria testimonianza diretta delle azioni di grande impatto che parecchi repubblicani avevano adottato nei primi due anni della presidenza Obama, quando il Partito democratico aveva il pieno controllo del potere [2008-2010 ndr]». Erano gli anni del Tea Party, il movimento che – «coinvolgendo una gran quantità di persone, mettendo in atto strategie efficaci come l’irruzione nelle riunioni municipali, negli uffici, nei distretti elettorali e incitando i cittadini a subissare di telefonate i propri rappresentanti in Congresso» – contribuì in modo rilevante al successo dei repubblicani nelle elezioni di medio termine del 2010, che riconquistarono la Camera sottraendo ai democratici ben 63 seggi. «Noi raccogliemmo tutte quelle tattiche in un documento da far circolare tra la gente per fornire precise istruzioni, e lo chiamammo The Indivisible Guide, perché volevamo evitare il tipo di divisioni alla Hillary/Bernie. Non ci aspettavamo di arrivare a quello che vediamo oggi, ma l’idea era di unificare la gente per eleggere candidati democratici, facendo in modo che chiunque fosse contro Trump potesse partecipare al movimento. E così sono nate moltissime sezioni in tante città degli Stati Uniti e questo è il risultato.» Da questo punto di vista la manifestazione ha rispecchiato l’idea di base del movimento, ospitando oratori sia moderati sia progressisti – con i limiti e le confusioni che questi termini includono, soprattutto il secondo – e raccogliendo tra la folla tanto i normy-democrats, generalmente meno inclini alla partecipazione diretta, sia manifestanti più impegnati su vari fronti dell’attivismo.
Tra gli interventi più incisivi della manifestazione, anche per le qualità oratorie nel trascinare la folla, quelli del giovanissimo deputato della Florida Maxwell Frost, eletto nel 2022 col supporto di Sanders, del più collaudato Jamie Raskin del Maryland e soprattutto del «tre volte venticinquenne» Al Green, integerrimo deputato afroamericano texano, recentemente espulso e accompagnato fuori dall’aula del Congresso per avere interrotto e contestato Donald Trump durante un discorso a Camere unite. Intervenuto subito prima di Ezra e Leah, Al Green, che cammina con l’aiuto di un bastone di cui si avvale anche nei suoi discorsi, non solo è stato accolto con interminabili applausi, cori di «thank you» e continue acclamazioni al pari di nessun altro, ma si è contraddistinto per essere stato l’unico degli oratori a citare Gaza e i diritti dei palestinesi. Cosa che non ha fatto neppure Ilhan Omar, una delle quattro originarie componenti della Squad elette nel 2018 che è di solito molto esplicita nella difesa palestinese, così come nessuno ha citato Mahmoud Khalil, nonostante diversi siano stati invece i riferimenti alla deportazione degli immigrati nelle prigioni di El Salvador. Veemente, e forse profetico, il finale del discorso di Green:
Voglio che sappiate che dal profondo del mio cuore io so che lui [Trump] è un Golia. È un Golia che ha il controllo dei generali dell’esercito, del dipartimento di Giustizia, del partito Repubblicano. Ma amici miei, per ogni Golia c’è un Davide e voglio che lei, signor presidente, sappia che questo Davide entro i prossimi trenta giorni presenterà un impeachment contro di lei. Sono pronto per quell’impeachment, signor presidente, io le sto addosso! Quest’uomo le starà addosso perché lei non merita la carica che occupa. Lei non è in grado di essere il garante della libertà, del governo “of the people, by the people and for the people”. Sto arrivando, baby.
L’esclusione di Israele e Palestina dai temi dibattuti è comunque stata criticata, sebbene con parecchie sfumature, da diverse persone. «Credo che molta gente abbia paura che il genocidio del popolo palestinese sia troppo divisivo e controverso» ha detto Theresa Bennett, studentessa di un master degree e attivista alla American University, «e che soprattutto distragga dai temi economici, che sono di maggiore interesse per la maggior parte della gente che è riunita qui. Ma è sbagliato, perché la libertà dei palestinesi è strettamente legata alla libertà di tutti. È interconnessa con la crisi dell’immigrazione, con la crisi del lavoro, con il controllo esercitato da questi uomini ricchi e potenti del mondo che decidono chi debba vivere o morire, chi debba mangiare o morire di fame. Quindi sì, avrebbero dovuto parlarne oggi, anche se non mi sorprende che non l’abbiano fatto.”
Il tabù israeliano
Tra gli altri episodi che in questi giorni hanno segnato le contraddizioni del campo democratico, la votazione in Senato sulle armi a Israele – di fatto, la stessa situazione del 19 novembre scorso, quando furono bocciate tre mozioni di Bernie Sanders per impedire la vendita a Israele di 20 miliardi di dollari di armi . Questa volta i miliardi in ballo erano quasi nove e a Sanders, che nel suo discorso ha insistito particolarmente sugli scempi perpetrati sui bambini dalla fine della cosiddetta tregua mostrando cartelli con immagini devastanti, è andata peggio che a novembre. I 19 voti a favore di allora sono infatti diventati 15, e non tanto perché nella nuova legislatura i repubblicani, contrari in blocco, sono tre in più, ma perché quattro persone hanno cambiato idea: particolarmente rilevanti a livello politico, in senso non edificante, i no dei due senatori della Georgia, Raphael Warnock e John Ossoff, il cui cambio di bandiera sembra riflettere la paura di ritorsioni da parte dell’establishment democratico e dell’Aipac in vista della rielezione del 2026. Significativo in senso opposto invece, il voto a favore del neo-eletto senatore del New Jersey Andy Kim, definito democratico moderatoVoto contrario, come in novembre e come sempre su questioni israeliane e spesso su temi “di sinistra”, quello dell’ex candidato presidenziale del 2020 e presunto progressista Cory Booker, diventato una star dopo il filibuster di oltre 25 ore con il quale la settimana scorsa è entrato nel Guinness dei primati garantendosi una prima ipoteca per il 2028. Tra i molti democratici che hanno lodato Booker per un’iniziativa sicuramente impegnativa dal punto di vista fisico ma sproporzionata rispetto all’enfasi ricevuta, figura anche Ezra Levin che, contrapponendo quell’impresa al recente voto di Chuck Schumer e di altri senatori democratici in supporto dei repubblicani per prevenire lo shutdown, ha dichiarato alla Cnn: «Abbiamo bisogno di più Cory Booker e di meno Chuck Schumer». Anche su Booker non sono mancati pungenti commenti raccolti all’evento Hands Off!, dove peraltro tra la miriade di cartelli ce n’era qualcuno che celebrava Booker come un eroe nazionale. Molto drastiche le opinioni degli esponenti di CodePink, un movimento nazionale pacifista di donne, cui sono comunque associati anche uomini, che si batte per i diritti di giustizia sociale e razziale e molto attivo anche sul fronte palestinese: «Cori Booker è un eroe solo per chi non lo conosce per davvero. È un ipocrita e un bugiardo e la sua è stata pura messinscena», ha detto un’anziana organizzatrice, «in 25 ore non una sola parola su Gaza. Del resto due mesi fa ha invitato nel suo ufficio l’ex ministro della difesa israeliano Yoav Gallant per una foto op e chissà che non faccia lo stesso domani quando arriverà l’altro criminale di guerra Netanyahu.»
In conclusione un piccolo ma significativo evento organizzato da Climate Defiance, un movimento fondato due anni fa da Michael Green, un personaggio molto particolare e interessante, «per compiere atti di disturbo pacifico come l’interruzione di eventi o comizi politici, perché abbiamo bisogno di rendere i politici responsabili di quello che fanno e non fanno e di portare alla ribalta i cambiamenti di cui ha bisogno la società». Il gruppo – che per lo scompiglio creato dai suoi interventi, mai violenti né distruttivi, ha fatto parlare di sé testate come il New York Times, il Washington Post, Rolling Stone, il Guardian – si è in questo caso limitato a sostare per un paio d’ore davanti al quartier generale del Comitato Democratico Nazionale per una manifestazione anti-Schumer a base di slogan, striscioni e cartelli che incitavano il senatore a dimettersi, mentre un quintetto jazz li accompagnava con bella musica. Tutti quanti guardati a vista da una nutrita pattuglia di poliziotti.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue dal 2016 la Political Revolution di Bernie Sanders.
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