Non si esce vivi dalle Vacanze di Natale
A quarant'anni dal primo cinepanettone dei fratelli Vanzina, l'effetto nostalgia mostra che neanche l'intrattenimento riesce a sedare l'insoddisfazione generata dal tardo-capitalismo
Compie quarant’anni la commedia italiana più vista e citata a memoria da un paio di generazioni: nata come ritratto grottesco di tutte le aspirazioni, miserie e finzioni della società che si delineava in quel decennio, Vacanze di Natale, suo malgrado, si è trasformata in un film-manuale per l’edonismo euforico e viziato degli anni a venire e che continua ancora oggi.
All’inizio del film c’è una scena iconica che riassume tutta la pellicola in pochi secondi: Cortina, l’Innocenti Mini Turbo rossa che frena sulla neve. Jerry Calà, improbabile playboy del decennio, scende dal veicolo con Timberland, giaccone di montone, Ray Ban a specchio e in sottofondo I like Chopin di Gazebo. Uno stile di vita racchiuso in un videoclip pubblicitario. Sono gli anni Ottanta, il mondo stava cambiando in fretta e c’era bisogno di nuovi miti. Se Steno aveva girato l’ultimo film comico con protagonista la classe operaia (il mitico La Patata Bollente del 1979), i suoi due figli scrivono la sceneggiatura del primo successo con protagonista una classe di ricchi e arricchiti senza ideali, animati solo dalla voglia di «bella vita». L’onda lunga del boom economico e delle lotte sociali aveva redistribuito un po’ di ricchezza e, per questo, anche all’ultimo dei proletari sembrava possibile accedere a un mondo fino al giorno prima (e sicuramente dal giorno dopo ancora) esclusivo.
Sulla base di questo non-detto (e non ripetuto) si ritrovano sulle Dolomiti «i nuovi mostri», i protagonisti dell’Italia dell’epoca. Ci sono industrialotti emiliani, cumenda milanesi, palazzinari e bancari romani, bottegai di borgata arricchiti; e i loro tremendi figli. Le donne, manco a dirlo, quasi esclusivamente mogli, fidanzate o amanti. Tutti i personaggi sono esibiti per come sono, senza fronzoli e, in un certo senso, archetipi di una borghesia oscena in cui l’unica «cellula impazzita» è il personaggio di Christian De Sica. Eppure in questa commedia non c’è la mano della coppia Villaggio-Salce che sullo schermo di Fantozzi disegnava figure penose, da cui prendere le distanze perché troppo simili allo spettatore. In Vacanze di Natale non c’è filtro, critica sociale, dopotutto è un film «natalizio», perciò i comportamenti più detestabili diventano un «come vorremmo (ancora) essere», in una storiella irreale. La Cortina del film è un ridente paese a vocazione turistica, non quello reale dell’esperimento di gentrificazione portato avanti dai nuovi ricchi tra il malumore dei residenti (evocato in modo macchiettistico nel personaggio di Pasìn). Nell’atmosfera non c’è nulla della paura della guerra nucleare tra Usa e Urss, Reagan e Andropov, i missili a Comiso, l’invasione americana di Grenada. I discorsi tra i protagonisti sono dedicati esclusivamente a calcio, sesso, pettegolezzi, automobili; «un paese di musichette mentre fuori c’è la morte», la locùra di Boris ante-litteram.
L’aria che si respira è quella dell’avvento dei socialisti al potere, il primo Governo Craxi. A livello (solo) nominale le masse hanno quindi vinto: raggiunto questo punto di sviluppo non si aspira più al potere popolare o a cambiare la società, la nuova corsa è quella per addentare una fetta di torta di benessere. Sono gli anni in cui anche un operaio poteva comprare casa, cambiare auto, portare la famiglia in vacanza; vallo a spiegare a un trenta-quarantenne di oggi alle prese con precarietà e affitti alle stelle.
Fin da subito Vacanze di Natale è assunto a simbolo tutt’altro che negativo. Il film è divertente, spassoso, scanzonato nelle sue molteplici gag. Piace anche se non eravamo (tutti) così e nonostante il modello propugnato dai suoi personaggi sia deteriore e insostenibile. Quarant’anni dopo siamo ancora prigionieri di quell’abbaglio, continuato negli specchietti per le allodole dell’era berlusconiana, nel Drive-In, in tutto il mondo di plastica dell’intrattenimento. Siamo ancora prigionieri di quelle battute che conosciamo tutti a memoria, di quello stile di vita che ieri era agli albori (oggi si chiama lifestyle): cinico, disimpegnato, edonista. Gramscianamente indifferente, quando non esplicitamente reazionario. Non è un caso che la sottosegretaria alla Cultura, la leghista Lucia Borgonzoni, abbia affermato che «è un film che ha segnato la storia del cinema italiano, da proteggere dal politicamente corretto» confermandone lo status di manifesto culturale.
A partire dal mito di Vacanze di Natale, oggi possiamo vedere una borghesia decrepita e senza mezzi culturali, tamarri in carriera, influencer e nuovi ricchi sfoggiano la loro riccanza deliberatamente in faccia a milioni di persone che tirano a campare. Spopolano in televisione, affollano luoghi esclusivi, riempiranno Cortina anche quest’anno con auto sportive, labbra gonfiate a canotto, trapianti di capelli a spugna, vestiti firmati in grande (se non si vede il marchio non ha senso spendere centinaia di euro), evasione fiscale, champagne a fiumi.
Le disuguaglianze stanno frantumando la società mettendo milioni di persone contro l’arroganza di pochi perché, chiuso un lungo ciclo di espansione, la ricchezza è tornata tutta in poche mani. La neve non c’è, non ci sarà per le olimpiadi Milano-Cortina e deve essere riprodotta artificialmente (consumando milioni di metri cubi d’acqua) come, ironia della sorte, si fece durante le riprese autunnali del film con cotone e schiuma. Sulla lunga distanza dall’uscita del film e guardando all’attualità, tutta l’esaltazione intorno all’anniversario si arricchisce delle bollicine di una nostalgia per qualcosa di passato e, soprattutto, di troppo idealizzato; nel migliore dei casi una risposta elementare all’insoddisfazione del «tardo capitalismo» che, nemmeno il pervasivo mondo dell’intrattenimento, riesce più a sedare. Una società impazzita e sull’orlo del baratro che sognava di soggiornare all’Hotel Cristallo di Cortina (oggi chiuso) e si ritrova invece intrappolata nell’Overlook Hotel di Shining. Alla ricerca di una via d’uscita, una luccicanza, una speranza per il futuro.
Papà, a te t’ha fregato il benessere. Tu facevi il capo mastro! Invece oggi c’hai i soldi e te scandalizzi. M’hai mandato in America, a New York! Tsz, noi semo de Frascati! A papà, e piantala… e poi, mamma gioca a Gin al circolo Canottieri e se veste da Versace? Tu metti l’orologio al polso come Gianni Agnelli? E io vado a letto co Leonardo Zartolin, perché nse po’?
*Emanuele Bellintani è giornalista, attivista e scrittore. Studioso di storia del movimento operaio, è autore del romanzo Terra non guerra (Sometti, 2019).
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