
Oltre la visibilità: lotte politiche e bisessualità
I bisexual studies e anni di attivismo hanno mostrato la doppia discriminazione contro le persone Bi+: alla bisessualità non si oppone solo la norma eterosessuale, anche quella della monosessualità che fa interiorizzare la bifobia
Giugno è un mese di celebrazioni e di orgoglio per la comunità Lgbtqia+, e non solo. Tra eventi informativi, assemblee e manifestazioni marciamo ricordando che «la prima volta fu rivolta». Ovvero che ogni cambiamento significativo della comunità Lgbtqia+, prima ancora che si chiamasse così, esiste non grazie a una storia di rivolta fatta allo Stonewall Inn contro la mafia e le violenze della polizia, con la complicità dello stato. Una storia politica da ricordare e rivendicare, dai resoconti di chi ha fatto parte della STAR e dei Moti di Stonewall come Sylvia Rivera e Marsha P. Johnson, alla storia di Mariasilvia Spolato e il collettivo FUORI italiano, o che lo stesso Pride esiste anche grazie a Brenda Howard attivista bisex, femminista, poly e kinkster celebrata e ricordata come la «Madre del Pride».
Sotto l’ombrello bisessuale
Definire le bisessualità non è sempre stato un compito facile, il termine fu inizialmente usato negli studi botanici e animali per riferirsi alla presenza di caratteristiche sessuali ambigue o multiple. Successivamente, il termine bisessualità è stato usato per riferirsi all’attrazione verso uomini e donne, sebbene ancora fino agli anni Settanta era considerata più come un’ipotesi teorica che un vero comportamento possibile. Mai misurate o raramente discusse, le identità e orientamenti bisessuali ritornano a gran voce dopo gli anni Cinquanta (grazie ai contributi di Alfred Kinsey e colleghi) per poi essere rivendicate negli anni successivi come un orientamento sessuale indipendente e con le sue proprie caratteristiche. Le teorie scientifiche e politiche bisessuali iniziano a formarsi, si rivendica la bisessualità come posizione oltre una «terza scelta» e si mette definitivamente in discussione l’assunto binario secondo cui puoi essere solo eterosessuale o omosessuale.
La bisessualità è l’orientamento sessuale di chi prova attrazione verso più di un genere – non necessariamente nello stesso tempo, nello stesso modo o con la stessa intensità. Tale definizione, proposta dall’attivista Robyn Ochs, chiarisce che la bisessualità non deve soddisfare alcun requisito di attrazione con la stessa intensità verso due generi e sessi (anche perché non ne esistono solo due) e che le attrazioni possono variare di intensità nel tempo ma la loro presenza è stabile, come confermato dalle ricerche. Esistono molteplici attrazioni, affettive e/o sessuali, verso più generi e per trovarne i punti comuni chi fa attivismo e ricerca bisex ha proposto nel 2012 il termine ombrello «Bi+». Sotto questo ombrello troviamo: chi prova attrazione verso tutti i generi o a prescindere dal genere, chi è attratta o attratto solo sentimentalmente da più di un genere, chi decostruisce il genere del tutto e molte persone queer (una traduzione italiana qui).
Muoversi sotto l’ombrello vuol dire anche riconoscere l’essere monosessuali (attratte e attratti da un solo genere) non è l’unica opzione, e che non c’è binarismo nell’essere bisessuali, pansessuali, bi o panromantiche, ecc. Gli orientamenti Bi+ smantellano l’assunto binario che si può essere solo eterosessuali o omosessuali e che questi due «mondi», uno normativo e l’altro considerato ancora deviante, abbiano dei confini prestabiliti e immutabili. Un confine creato e rinforzato da sistemi di potere che, con la complicità delle scienze psicologiche, sociali e della sessuologia medica, hanno dato l’illusione che il mondo si divida in sessualità sane o malate, corpi normali o mostruosi, orientamenti validi o fasi passeggere.
Discriminate da più fronti
Le persone Bi+ affrontano un insieme di pregiudizi, stereotipi e discriminazioni, racchiusi nel termine bifobia, proprio perché attratte da più di un genere in un mondo che ha fatto dei binarismi una sua essenza. Dai pregiudizi più benevoli (come sentirsi dire «sei fortunata che puoi provarci con chiunque») a quelli più ostili («dici di essere bisex perché non hai scopato con la persona giusta») chi è Bi+ spesso vede messo in discussione il proprio orientamento sessuale da partner, amicizie, familiari. Sebbene il proprio orientamento sessuale non dipende dal genere delle persone con cui siamo in relazione, spesso le persone Bi+ subiscono pressioni a dirsi etero o omosessuali per «evitare problemi» in spazi etero o gay e lesbici.
Un’altra forma della bifobia è considerare le persone Bi+ come un feticcio sessuale per le proprie fantasie, soprattutto da uno sguardo maschile, di threesome con una donna bisex. Feticizzazione che colpisce sia le persone non-binarie da cui si pretende una «androginia e pansessualità obbligatoria», mentre per gli uomini bisessuali viene riproposto in salsa bisex il copione maschile egemone del pezzo di carne che può soddisfare ogni genere.
Oltre alla bifobia, le persone Bi+ affrontano anche la negazione del loro orientamento sessuale e quando non cancellate dalla storia, dai media e nelle relazioni le bisessualità spesso vengono rese invisibili e marginali nella sfera pubblica. Per esempio quando personaggi famosi bisessuali o pansessuali vengono codificati o presentati come gay o lesbiche (famoso il caso recente della cancellazione della bisessualità dell’attivista Marielle Franco che era dichiaratamente bisessuale), quando nelle ricerche scientifiche vengono accorpate le risposte di chi è Bi+ a quelle di persone omosessuali o quando parliamo solo di famiglie gay e lesbiche «scordandoci» che molte e molti genitori sono bisessuali o pansessuali. Infine, anche all’interno degli stessi spazi queer ed Lgbt+ la B viene raramente discussa o supportata.
La bifobia si distingue quindi dall’omofobia in quanto le persone Bi+ affrontano una doppia discriminazione. Poichè a contrapporsi alla bisessualità non è solo la norma eterosessuale, ma anche quella della monosessualità che peggiora la loro qualità della vita, fa interiorizzare la bifobia e le rende più vulnerabili agli effetti negativi che le discriminazioni multiple causano alla salute mentale, fisica e alla stabilità relazionale ed economica.
Un grafico recentemente condiviso dall’attivista Robyn Ochs ci mostra in modo chiaro come la bifobia, esterna e interiorizzata, colpisce le persone bisessuali e di come può, in specifiche situazioni, intersecarsi con altre forme di pregiudizi come il razzismo, la transfobia, la misoginia, l’abilismo, il classismo, lo stile relazionale e altre ancora.
In generale, le bisessualità e orientamenti Bi+ hanno dei bisogni e delle necessità specifici che non vengono considerati o che vengono resi invisibili, il non aver parlato della bifobia durante tutto il dibattito sul ddl Zan (e l’aver parlato solo di omotransfobia cancellando la bi) ha giustificato il non parlare delle istanze bisessuali. Tra cui le discriminazioni subite in spazi gay e lesbici, il fatto che l’essere bisessuale viene considerata una caratteristica inadatta all’affido genitoriale o di come le persone migranti Bi+ si vedano più spesso negate le loro domande di protezione internazionale. Queste conseguenze della bifobia e della cancellazione sono reali, sono discusse pubblicamente da molto tempo e sono, ancora oggi, inascoltate dalla classe politica e da molte realtà associative Lgbtqia+.
Bisexual politics
Le riflessioni e prassi politiche bisex iniziano sempre con la decostruzione del binarismo sessuale e con il dover costruire da zero un linguaggio per descrivere un orientamento e identità che, secondo la sessuologia tradizionale, non esisteva realmente o era una sorta di «mito». Per chi segue i binarismi di genere e sessuali, poco contano gli studi storici sulle bisessualità come i contributi di Fritz Klein (1978) o di Blumstein e Schwartz (1977). A oggi, studi di popolazione ci confermano che la maggioranza delle persone non eterosessuali hanno orientamento bisex e provano attrazione verso più di un genere, ma si continua a far finta di non vedere o si sminuisce il dato di fatto. Le bisessualità non sono né una fase o una moda ma sono un orientamento legittimo, costante nel tempo e politicamente presente da decenni.
Nel suo saggio Activating Bisexuality: Towards a Bi/Sexual Politics (1993) Jo Eadie, citato in Storr 1999, ci fa riflettere che l’instabilità del confine tra eterosessualità e omosessualità non va celebrata solo perché riconoscere le bisessualità è un atto desiderabile in sé, ma perché la rottura della diade etero/omo ci permetterà di mettere in discussione come viviamo e organizziamo il sessuale. Da tempo abbiamo l’opportunità di dimostrare che non esistono solo due orientamenti, come non esistono solo due sessi o due generi verso cui provare attrazione. E questo può radicalmente cambiare, come sostiene Shiri Eisner in Bi: Notes for a Bisexual Revolution (2013), il nostro mondo di significati tanto quanto le nostre lotte sociali, prassi incluse.
In Italia ci sono diverse associazioni Bi+ che da anni, alcune da un decennio, lottano per la visibilità e le questioni Bi+. Il primo Bi Visibility Day italiano, istituito internazionalmente nel 1999, si è tenuto a Padova il 23 Settembre 2017 e una seconda mobilitazione di carattere nazionale si è svolta a Roma l’anno successivo.
Le persone bisex ci sono sempre state, come le pressioni da parte di compagne e compagni a dirsi o gay o lesbica per non «annacquare» le richieste politiche e le domande di riconoscimento, o accusate di «tradire» la causa. Tanto come le persone trans e non-binarie vengono cancellate e discriminate perché si muovono tra e/o fuori i generi, così anche le persone Bi+ affrontano discriminazioni in quanto attratte da più di un genere. Tale vicinanza ha portato nel corso degli anni tante campagne di supporto tra persone trans, Bi+ e asessuali per ricordare che ci sono più voci nella comunità.
I bisexual studies e anni di attivismi hanno dimostrato con certezza cosa vivono e affrontano le persone Bi+, quali bisogni e lotte le comunità Bi+ vogliono ottenere dentro e fuori gli spazi Lgbtqia+. La visibilità non basta, perché da sola non risana gli anni di cancellazione e invisibilità o fa tornare le persone che hanno abbandonato le associazioni a causa della bifobia. Ci serve l’orgoglio delle nostre comunità, per tutti e tutte noi e verso ognuna e ognuno di noi.
Bisogna rivendicare la nostra storia bisex, riconoscere le bifobie commesse nei nostri confronti e pretendere che se si vuole parlare o tutelare le comunità Lgbtqia+ allora si devono lasciar parlare le comunità direttamente interessate. Se a livello mediatico e politico viene data voce solo alla G e alla L, per poi lasciare ai margini le altre comunità, allora abbiamo un problema. Perché le bisessualità esistono nel qui e ora, sono la maggioranza delle persone non-eterosessuali ed è ora di smettere di alienare più parti delle comunità arcobaleno perché non rientrano in un binarismo che, in ultima istanza, è dannoso per tutte e tutti.
*Aurelio Castro è assegnista di ricerca e professore a contratto all’Università di Bologna, dove studia l’orientamento sessuale, le bisessualità, le narrazioni e le maschilità. Tiene corsi sulla riduzione di pregiudizi e disuguaglianze, usando anche il gioco di ruolo, e da attivista queer fa divulgazione e formazione sui suoi temi di ricerca.
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