Prendiamo il trumpismo sul serio
Mancano alcune premesse decisive per la nascita di un vero e proprio regime para-fascista negli Usa. Ma il decadimento delle istituzioni può spianare la strada all'estrema destra
Ora che Donald Trump è stato rieletto presidente e ha la maggioranza sia alla Camera che al Senato, ci troviamo di fronte a due domande urgenti: 1) Il secondo mandato di Trump sarà più popolare, più resiliente, più autoritario e più di destra del primo? e 2) L’estrema destra riuscirà a ribaltare i risultati delle elezioni se i trumpisti perderanno nel 2028?
Entrambe le domande richiedono una valutazione della posizione di Trump e dell’estrema destra rispetto a poco prima della sua prima elezione. Quando annunciò la sua candidatura nel 2015, non aveva alcun rapporto con l’estrema destra, e in realtà non aveva alcun profondo rapporto politico con nessuna parte della popolazione. I fragili legami che ha non si sono sviluppati molto negli ultimi nove anni, nonostante un crescente culto della personalità. Ciò limita anche la sua capacità di rimodellare la politica statunitense per davvero.
All’estrema destra manca un solido progetto di classe
Il primo mandato di Trump è stato motivo di imbarazzo per l’estrema destra e di vittoria per il centro. Non è nemmeno riuscito a finire il muro. Non solo «l’establishment liberale», ma anche il Partito repubblicano gli hanno impedito di realizzare il suo vasto piano infrastrutturale. Il muro semplicemente non fa bene agli affari: non solo è costoso, potrebbe creare un clima sfavorevole all’accumulazione di capitale.
Lo stesso scenario si ripeterà nel secondo mandato?
Nel periodo che ha preceduto questa elezione, Trump ha parlato di affiancare un socialist ban al muslim ban, ha sostenuto che sarebbe stato un dittatore (almeno nel rimuovere gli oppositori dall’incarico) fin «dal primo giorno» e ha detto che avrebbe deportato milioni di persone. I tribunali hanno bloccato molti aspetti del suo muslim ban nel corso del suo primo mandato. Anche l’Fbi lo ha frenato dal primo anno attraverso la lotta ai gruppi neonazisti: Trump aveva fatto un cenno alle bande armate di destra dicendo loro di «farsi indietro e stare in attesa». Ma ha subito sostituito molti giudici. E la Corte suprema è ora solidamente in mano ai conservatori. Alcuni giornalisti hanno sostenuto che l’Fbi è stato sottomesso e non può reagire come ha fatto all’inizio del 2017. Sono fattori che potrebbero cambiare le dinamiche. Su questo si è concentrata la maggior parte dell’attenzione mainstream, ed è in parte alla radice del discorso sul «fascismo».
Ma non è cambiato molto. Da qui la mia prima tesi: le posizioni di politica economica di Trump e i suoi rapporti con la working class non sono mutati drasticamente. La natura del suo sostegno alla working class è cruciale: Trump potrebbe essere più popolare tra i lavoratori, ma questa popolarità sarà volubile finché non sarà supportata da politiche durature e da forme di organizzazione e mobilitazione. Quanto ai rapporti del trumpismo con la classe imprenditoriale, se siano cambiati o potrebbero cambiare, il tema è un più complesso.
Ricordiamo due sviluppi importanti alla fine del primo mandato di Trump: il Midwest è tornato ai democratici e i sindacati edili hanno ritirato il sostegno a causa della mancanza di una solida creazione di posti di lavoro nell’edilizia e nei settori correlati. I cambiamenti finora minimi nel trumpismo non sono sufficienti a impedire una resa dei conti simile nel 2028.
Trump fa ancora appello alla working class principalmente attraverso questioni culturali, di sicurezza e di confine. Nonostante dica il contrario, ha trasformato i repubblicani nel partito dei maschi bianchi arrabbiati (e secondariamente, una quota crescente di minoranze) che sono lavoratori, non «il partito dei lavoratori». La leadership di Trump presso gli «ignoranti» contro gli «istruiti» secondo i sondaggi è ben consolidata. Ma anche se c’è una sovrapposizione tra la working class e le persone senza laurea, le due categorie non dovrebbero essere confuse.
Trump ha sicuramente migliorato la sua posizione tra la working class, comprese le famiglie sindacalizzate. Eppure, persino la pro-business Kamala Harris ha superato Trump con un margine del 10% tra le famiglie sindacalizzate (6 punti in meno rispetto al vantaggio di Joe Biden nel 2020). È vero, le famiglie sindacalizzate sono una minoranza della popolazione attiva, ma forniscono un indicatore cruciale poiché ci si può aspettare che votino di più in linea con le questioni di classe, rispetto ai lavoratori non sindacalizzati.
Inoltre, anche tra la working class più ampia, il vantaggio di Trump non è insormontabile. Se c’è un notevole disallineamento, questo significa una spaccatura, non un riallineamento per cui i repubblicani «sono diventati il partito della working class». Molti lavoratori molto probabilmente oscilleranno tra i partiti nelle prossime elezioni.
JD Vance non ha cambiato finora la natura dell’appello di Trump ai lavoratori. Se ha espresso posizioni relativamente più pro-lavoro prima che Trump lo scegliesse come compagno di corsa, come la richiesta di salari più alti e la sua opposizione alle fusioni aziendali, difficilmente sta muovendosi in questa direzione. Le parti anti-aziendali del discorso del leader dei Teamster Sean O’Brien alla Convention nazionale repubblicana non sono state accolte con entusiasmo, con la folla visibilmente eccitata nel vedere la rara esibizione di un importante leader sindacale in questa sede fermamente pro-aziende. Il discorso pro-sindacato e anti-aziendale di O’Brien è stato un autentico tentativo di portare un messaggio populista al partito di destra, nonché una mossa per rafforzare il sostegno di O’Brien tra i suoi stessi iscritti, che sostengono Trump in gran numero. Tuttavia, data l’assenza di qualsiasi inquadramento repubblicano anti-aziendale nei mesi successivi, è stato probabilmente un colpo di fortuna, piuttosto che il presagio di un cambiamento istituzionale.
Lo stesso Trump continua a puntare su dazi più alti e pressioni per riportare posti di lavoro e trasformare davvero il Partito repubblicano nella casa dei colletti blu. Tuttavia, in assenza di una seria politica industriale, dazi e interventi personali non creeranno posti di lavoro in modo sostenibile. Con ulteriori tagli fiscali e dazi non supportati da una politica industriale, il secondo mandato di Trump rischia di essere ancora più disastroso circa la creazione di posti di lavoro durevoli.
Il Progetto 2025 e l’attuale piattaforma politica repubblicana (annunciata a metà luglio) forniscono solo un mucchio di sciocchezze su queste tematiche. Non integrano nessuna delle posizioni relativamente più pro-lavoro di Vance. La maggior parte della stampa mainstream ha dichiarato che i repubblicani hanno abbandonato le loro posizioni tradizionali annunciando questa piattaforma a metà luglio e diventando il Partito di Trump. Tuttavia, questa definizione non è accurata. A parte la questione delle tasse e della deregolamentazione, non c’è un quadro coerente nella piattaforma di luglio. Su queste questioni, la piattaforma è fedele alla tradizione del Gop, ovvero pro-grandi imprese e «libero mercato».
A questo proposito, ricorda che proprio questo tema delle tasse ha portato Steve Bannon a essere estromesso dalla Casa Bianca nell’estate del 2017. Quando Bannon ha tentato di tassare i ricchi per finanziare la spinta infrastrutturale di Trump, e i neoliberisti repubblicani hanno avviato una campagna per ridicolizzarlo e indebolirlo, non c’era alcun movimento organizzato o intellighenzia a sostenerlo. Ha dovuto lasciare la Casa Bianca subito dopo la sua campagna per tassare i ricchi. Dopo la sua uscita, Bannon è stato cristallino su come la spesa per infrastrutture e costruzioni lo differenziasse dal Gop: «L’establishment repubblicano… [non è] populista… [Loro] non avevano… alcun interesse [per] le infrastrutture… [Dov’è il finanziamento per il muro di confine, uno dei principi fondamentali [della candidatura presidenziale di Trump del 2015-16]?». Dopo l’abbandono di Bannon, Trump non ha sviluppato alcuna seria posizione di «economia nazionale». Il trumpismo all’epoca non ha creato alcuna «economia nazionalista». È improbabile che ciò accada ora.
Quindi, la domanda rimane: se il Gop è ancora il partito delle grandi imprese, il trumpismo può effettivamente allineare l’establishment repubblicano e la parte operaia della sua base?
Tale riallineamento incontrerà il primo grande ostacolo quando si tratterà di deportazioni. L’establishment repubblicano potrebbe inizialmente seguire il «populismo» di Trump, ma le aziende potrebbero essere danneggiate se il numero di persone deportate salisse a milioni. Chi svolgerà i lavori sporchi se milioni di persone saranno deportate? Si potrebbe sostenere che una parziale realizzazione di questo piano avrà un forte effetto disciplinante sul lavoro migrante, rendendo una forza lavoro più docile e più arrendevole, più vulnerabile al ricatto. Tuttavia, potrebbero esserci conseguenze negative e indesiderate per la classe capitalista. Anche se i lavoratori nati negli Stati uniti scegliessero di sostituire gli immigrati in alcune posizioni, la conseguente scarsità di manodopera farebbe aumentare i salari. Ciò potrebbe quindi superare i benefici attesi. Dati questi interessi commerciali, oltre un certo punto l’establishment repubblicano e i democratici potrebbero persino coalizzarsi e intervenire per rallentare le deportazioni.
Riviste come American Affairs e think tank come American Compass (e newsletter a esso collegate, ad esempio Understanding America) hanno cercato di spingere Trump verso una linea di «economia nazionale» più coerente. Questi tentativi sono finora falliti. Questi piccoli circoli di intellettuali e quadri di estrema destra stanno cercando di dare una svolta positiva alle cose: «A differenza del 2016, siamo pronti a governare», sembrano dire. Ma Trump non sta davvero accettando la loro linea, ed è dubbio che darà loro posizioni di rilievo per dettare la politica.
Trump è più propenso a mettere gente come Elon Musk e altri miliardari a capo dell’economia, non visionari di estrema destra. Musk e i suoi simili difficilmente creeranno politiche alternative significative che possano garantire il sostegno a lungo termine dei lavoratori, come hanno fatto in parte, ad esempio, i partiti di estrema destra contemporanei in Turchia e Ungheria. Le scelte sulla composizione del governo di Trump sono rivelatrici. Sebbene siano seriamente sconvolgenti per l’establishment, sono fedeli alla persona di Trump, non a una causa ideologica di estrema destra o populista.
L’unica seria eccezione al clientelismo che ha finora plasmato il gabinetto è la scelta del segretario del lavoro, Lori Chavez-DeRemer, uno dei pochi repubblicani della Camera ad aver sostenuto il Pro Act. Con conservatori importanti come Grover Norquist che si stanno già mobilitando contro di lei, non è chiaro se Chavez-DeRemer verrà confermata e, se lo sarà, non si sa come potrebbe fare la differenza.
I principali orientamenti di Trump verso la classe imprenditoriale sono più o meno gli stessi del 2016: clientelismo, mancanza di visione e favoritismo. Trump non è un salvatore della working class, al massimo è un eroe improbabile e sconvolgente per la classe capitalista. Asseconda i loro interessi economico-aziendali e personali a breve termine più che quelli a lungo termine e politico-ideologici come gruppo.
Quindi, le dinamiche sociali ed economiche che potrebbero mantenere il Midwest, la Rust Belt e la più ampia popolazione lavoratrice «arrabbiata» fedele a Trump senza inimicargli le imprese sono deboli.
I fascisti non sono pronti per la violenza di massa
Ora vengo alla mia seconda tesi: a causa del quasi inevitabile fallimento di Trump nel creare un entusiasmo duraturo sul fronte economico, non c’è semplicemente alcuna garanzia di una vittoria dell’estrema destra nel 2028. L’eccezione sarebbe costituita da una sorta di intervento violento: forse sotto forma di una rivolta, tipo quella del 6 gennaio, o – dato che quel tentativo non ha prodotto un successo ottimale – una campagna di violenza più sottile ma anche più organizzata per il giorno delle elezioni o altre interferenze simili.
Potrebbe sembrare che il Progetto 2025, un piano sistematico per infiltrarsi e riformare le istituzioni, potrebbe dare a Trump l’influenza necessaria per rendere inutili tutte le elezioni successive. L’ingegneria elettorale e la manipolazione istituzionale manterranno l’estrema destra al potere anche in assenza di entusiasmo di classe o di una decisa violenza di massa? Gli esperti hanno indicato l’ungherese Viktor Orbán come esempio di questa strategia. Tuttavia, in mancanza di organizzazioni di massa e di un solido progetto di classe, l’infiltrazione e la manipolazione istituzionale potrebbero non funzionare altrettanto bene. In effetti, la strategia di Orbán gli ha garantito quattordici anni al potere presumibilmente perché si è basata su un’organizzazione di massa: una strategia simile in Polonia ha garantito un governo di estrema destra solo per otto anni (2015-23) perché mancava di una base così organizzata. È anche significativo che ciò che rimane della società civile ungherese sia più allineato a Orbán, e le istituzioni sono divenute più deboli, rispetto al caso statunitense.
Quindi, la vera domanda è: l’estrema destra è in grado di esercitare una violenza decisiva? I sondaggi hanno indicato una crescente prontezza di atteggiamento da parte dei repubblicani riguardo a una «seconda guerra civile». Sappiamo anche che hanno abbastanza armi. Eppure le loro organizzazioni rimangono disperse e fragili. Nonostante il crescente dinamismo documentato da diversi giornalisti e accademici, non c’è niente di simile al Ku Klux Klan all’orizzonte. Non esiste una leadership unita e accorta che potrebbe trasformare una rivolta in un colpo di stato riuscito.
Ecco, quindi, la mia terza tesi: non abbiamo sufficienti ragioni per pensare che il prossimo 6 gennaio sarà più coordinato ed efficace (anche se non possiamo escludere del tutto questa possibilità).
Pertanto, mi atterrò al ragionamento che ho sviluppato all’inizio del 2021, quella che qui è la mia quarta tesi: il vero pericolo risiede nell’approccio sprezzante delle istituzioni nei confronti dell’estrema destra, più che nell’organizzazione, nelle risorse o nelle basi sociali della destra.
Se le istituzioni volessero affrontare la possibilità di un’insurrezione rivoluzionaria nel 2028, potrebbero farlo da un giorno all’altro. Ma le agenzie di sicurezza e di intelligence si nascondono dietro la «libertà di parola» e altre scuse per tapparsi le orecchie di fronte agli avvertimenti di giornalisti ed esperti (tra cui quelli «embedded») sul fatto che l’estrema destra si stia preparando per una guerra civile. L’Fbi e i tribunali non si preoccupano della «libertà di parola» quando si tratta della sinistra. Reprimono la gente di sinistra ogni volta che c’è il minimo dubbio di «pericolo», che è definito in modo molto discrezionale. Eppure, lasceranno che i gruppi violenti di estrema destra abbiano un impatto sempre più serio sulla politica e sulla società.
Ma la minaccia fascista esiste
Per mettere insieme le mie quattro tesi: l’estrema destra Usa non ha ciò che serve, né in termini di visione programmatica, né di basi in gruppi e classi sociali, né di livello di organizzazione e risorse, per imporre il suo dominio a lungo termine. Ma il decadimento delle istituzioni può ancora spianare la strada a una presa di potere dell’estrema destra.
Inoltre, niente di tutto ciò dovrebbe giustificare un atteggiamento compiacente rispetto alla minaccia fascista. I gruppi paramilitari possono ancora approfittare del terrore di stato incombente per seminare il caos e organizzarsi ulteriormente. Deportazioni di massa, incursioni e repressione statale di proteste anti-israeliane forniranno sempre più opportunità all’estrema destra.
Gli eventi alla University of California di Los Angeles, in cui le autorità del campus e la polizia hanno facilitato gli attacchi degli attivisti di estrema destra contro gli studenti, potrebbero essere il presagio di ciò che accadrà. Immaginate una cooperazione implicita del genere tra autorità e violenti estremisti di destra durante una vasta campagna federale per deportare milioni di persone. Il bilancio delle vittime del terrore di stato potrebbe aumentare in modo sproporzionato se favorito dalla violenza paramilitare, anche in assenza di un regime fascista. La mia quinta tesi è la seguente: la mobilitazione neofascista e il danno sociale cresceranno, senza che ciò significhi una transizione immediata a un regime fascista.
Nonostante la chiarezza di questo pericolo, la sinistra si trova ad affrontare un’ulteriore difficoltà. Come ha dimostrato la campagna elettorale di Harris, l’antifascismo di per sé non è un tema che trascina. La priorità della sinistra deve essere la costruzione di una solida base attraverso l’organizzazione di massa sul posto di lavoro, delle lotte per l’abitare e di altre forme di organizzazione. Ma ciascuna di queste attività di organizzazione di massa deve avere una dimensione antifascista. Solo una classe lavoratrice organizzata, in una coalizione guidata dai lavoratori insieme a diversi movimenti sociali, può sconfiggere il fascismo.
*Cihan Tuğal è professore di sociologia alla University of California, a Berkeley. Ha scritto Passive Revolution (Stanford University Press, 2009) e The Fall of the Turkish Model (Verso, 2016). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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