
Riecco Donald
Trump ha incardinato le sue priorità e il suo stile personale nella cultura profonda della base repubblicana. Per questo sarà lui a correre per la Casa bianca l'anno prossimo, nonostante abbia contro l'establishment del partito
Questa settimana, un sondaggio condotto da Morning Consult sul campo presidenziale repubblicano del 2024 ha assegnato a Donald Trump quasi il 50% del consenso dei probabili elettori alle primarie del Gop, con un distacco sul presunto rivale Ron DeSantis in doppia cifra. All’ex vicepresidente Mike Pence rimane un misero 7%, mentre Nikki Haley l’ex governatrice della Carolina del Sud nominata da Trump – che dovrebbe lanciare la sua candidatura presidenziale alla fine di questo mese – viene appena quotata.
Dato il rinnovato animus contro Trump manifestato dall’establishment repubblicano, è facile immaginare che varie candidature del Gop si materializzeranno nei prossimi mesi oltre a quelle che attualmente sembrano probabili. Se si candida, ci si può aspettare che DeSantis si presenti alle élite repubblicane e agli elettori delle primarie come una sorta di candidato di compromesso, un surrogato dello stesso Trump fin troppo felice di giocare con le preoccupazioni esoteriche della base del Gop senza il suo bagaglio politico. Liz Cheney (per inciso al 2% nel sondaggio Morning Consult) potrebbe entrare nella mischia e sarebbe probabilmente più popolare tra i democratici rispetto a quelli ai quali chiederebbe effettivamente i voti.
Sebbene in realtà non appaia nei recenti sondaggi, è anche facile immaginare una figura come Josh Hawley che cerca di spacciare una versione di destra di Elizabeth Warren e fonde una posizione populista con appelli più favorevoli ai media. John Bolton, la cui dichiarata intenzione di candidarsi è stata finora accolta con un misto di indifferenza e ridicolizzazione, probabilmente lo farebbe su un’unica questione: la necessità di una guerra totale con l’Iran.
Se queste candidature o altre simili si materializzeranno nei prossimi mesi, è estremamente improbabile che alla fine peseranno. Nei sette anni trascorsi da quando ha annunciato la sua candidatura iniziale alla presidenza, Trump non solo è diventato la figura dominante nella politica repubblicana, ma ha effettivamente fatto delle proprie priorità, riflessi e pose la lingua esplicita della base repubblicana. Nonostante abbia perso la rielezione e venga considerato responsabile per il risultato poco brillante dei repubblicani alle elezioni di metà mandato, attualmente ha quasi il 50% di sostegno tra gli elettori delle primarie repubblicane, con la campagna elettorale che deve ancora iniziare.
Nella storia politica moderna degli Usa, non ci sono precedenti analoghi. Non è del tutto inaudito che una singola figura vinca più nomination presidenziali. Nel 1890, Grover Cleveland fu eletto per un secondo mandato non consecutivo nonostante avesse perso le elezioni del 1888 contro il repubblicano Benjamin Harrison. Ma nessun altro è diventato il candidato presidenziale di un partito di fronte a una resistenza così feroce del suo gruppo dirigente, ha vinto un’elezione generale, successivamente ha perso la rielezione, e poi è stato il presunto favorito nel ciclo successivo.
Per questo motivo, è molto difficile immaginare una combinazione di personalità, retorica o politica che possa allontanare gli elettori delle primarie repubblicane dal loro tribuno. Qualunque cosa pensiate che sia il trumpismo, evidentemente non è un fenomeno convenzionale che poggia su premesse consolidate o supposizioni elettorali tradizionali. Ideologicamente, potrebbe avere più in comune con il progetto conservatore a lungo termine di quanto molti ammettano. Ma l’essenza del suo fascino è sempre stata meno intellettuale che emotiva ed estetica. Nonostante i vari temi e idee che Trump ha ripreso da quando ha lanciato la sua prima campagna nel 2015, il suo ascendente per ampie fasce della base del Gop ha sempre avuto più a che fare con la catarsi e l’attaccamento libidico che con qualsiasi singola scelta politica o impegno ideologico.
Questa è una delle ragioni per cui le contromisure così spesso messe in atto contro di lui sia dai liberali che dagli oppositori conservatori – verifica dei fatti, denuncia dell’ipocrisia, appello all’onore nazionale – si sono dimostrate inefficaci: tutti presumono un mondo in cui la politica è ancora regolata da un super-io astratto costituito da norme, istituzioni e codici di condotta. Se non altro, Trump riconosce che il suo successo e la sua popolarità si devono quasi esclusivamente all’essere sganciato da tutto ciò.
È quella libertà, fondata su un’identità incontrollata, che ha consentito l’improbabile trasformazione di Trump nel patriarca de facto della destra statunitense e che, salvo imprevisti, probabilmente lo porterà alla nomina presidenziale repubblicana nel 2024.
*Luke Savage è redattore di JacobinMag, da cui è tratto questo articolo. La traduzione è a cura della redazione.
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