Sanders sfida Warren. E Aoc lo appoggia
Il ritorno del senatore del Vermont dopo l'infarto scalda i cuori dei sostenitori della political revolution. E con l'appoggio di Alexandria Ocasio-Cortez, inizia il duello a sinistra su chi può fermare il favorito dell'establishment democratico Joe Biden
La political revolution di Bernie Sanders è diventato un fenomeno di proporzioni solo tre anni fa inimmaginabili. Ha dato inizio a un effetto domino già visibile nelle elezioni del 2018 e destinato ad amplificarsi, anche grazie alle nuove deputate Alexandria Ocasio-Cortez (Aoc), Ilhan Omar e Rashida Tlaib e al loro recente endorsement per Sanders.
Dalla paura di Las Vegas al tripudio di Queensbridge Park
Nel mese di ottobre i suoi sostenitori sono stati sottoposti a una pressione emotiva senza precedenti.
Dallo sgomento per l’improvvisa notizia di martedì 2 ottobre del ricovero e dell’intervento chirurgico di Sanders in un ospedale di Las Vegas, alla passata paura arrivata solo nel week-end con le sue dimissioni dall’ospedale.
Dal misto di conforto, speranza e fiducia del video in cui Bernie faceva dell’esperienza ospedaliera un nuovo strumento di battaglia per il suo Medicare for All, ormai noto come «damned bill» dopo la spazientita e comica esternazione del senatore «Ma se l’ho scritta io quella dannata legge!» in un dibattito presidenziale, all’indignazione per la ripresa della propaganda mainstream, sospesa nei primissimi giorni del ricovero, con l’aggiunta di maligne strumentalizzazioni del suo attacco cardiaco.
Dalle trepidazioni per il dibattito del 15 ottobre, prospettato dai detrattori come il banco di prova della fine di Bernie, al tifo e all’entusiasmo di quella serata per i goal messi a segno intervento dopo intervento.
E infine dall’esultanza per il tanto atteso e sofferto endorsement di Aoc (e con il suo anche di quelli di Ilhan Omar e Rashida Tlaib) annunciato da Jake Tapper in diretta nel post-dibattito della Cnn proprio mentre l’ospite era Elizabeth Warren, destreggiatasi al meglio per incassare il colpo, al tripudio della manifestazione di sabato 19 ottobre al Queensbridge Park di New York, vissuta dal vivo dai 26 mila presenti all’evento e in un afflato collettivo dalle migliaia e migliaia di persone che l’hanno seguito in diretta su Facebook.
Un evento che oltre a calamitare il pubblico con le performance di Michael Moore e di Nina Turner – l’auspicabile vicepresidente di Sanders – ha emozionato con il bellissimo discorso che Aoc ha dedicato al senatore e con il loro incontro sul palco, e ha entusiasmato con il vigoroso comizio che ha voluto mettere in scena il ritorno nell’agone politico di un guerriero più forte e risoluto che mai a guidare il suo esercito al grido «I am back!».
A dispetto del record di presenze di tutti gli eventi tenuti finora dalla ventina di candidati in corsa, i media mainstream hanno ignorato totalmente la manifestazione, mettendo in atto quel blackout di cui si serve la propaganda quando fatti e immagini sono impossibili da contraddire.
L’iniziale indecisione di Aoc tra Sanders e Warren
Se il discorso della giovane paladina del Green New Deal è stato in molti momenti commovente, infinitamente di più deve esserlo stata la telefonata personale che Alexandria ha fatto a Bernie mentre era in ospedale. Molto corteggiata da Elizabeth Warren, Aoc aveva infatti inizialmente dichiarato che avrebbe scelto tra i due in un momento più avanzato della campagna, suscitando qualche perplessità tra coloro che ben conoscono la differenza sostanziale tra i due candidati. È vero che per le prime fasi della corsa quella indecisione poteva essere una strategia per supportare il fronte comune che Bernie e Liz dovevano portare avanti, tuttavia la successiva ascesa di Warren aveva cominciato a destare preoccupazioni, e qualche malevola insinuazione, su quell’endorsement che non si decideva ad arrivare.
D’altronde di quanto sia complicato barcamenarsi senza compromettere i propri principi in quella House of Cards che è Washington DC, dove vengono messi in atto «all the tricks in the book», ha chiaramente parlato la stessa Aoc in un momento del suo discorso. Citando le sue esperienze personali e le difficoltà della sua famiglia e della sua comunità fin da quando era bambina parallelamente alle lotte che Bernie stava facendo anche per loro, Aoc ha più volte ribadito l’importanza di ricordare come lui abbia sempre mantenuto la schiena dritta nel suo solitario ergersi contro l’intero sistema:
È stato solo quando ho sentito di un uomo di nome Bernie Sanders che ho cominciato a farmi domande, a capire e a riconoscere il mio valore intrinseco di essere umano che in quanto tale si merita l’assistenza sanitaria, la casa, l’educazione e uno stipendio che ti permetta di vivere. […] Sono nel Congresso ora e ho fatto tanta strada da quando l’anno scorso ero una cameriera che subiva molestie sessuali a Manhattan. […] Ora che sono dall’altra parte, posso dire che la Camera del Congresso non è uno scherzo. Non è uno scherzo resistere al potere corporativo e agli interessi dell’establishment. Non è uno scherzo. Non si tratta solo di alzarsi in piedi in aula per dire le cose che pensi, perché dietro le porte chiuse ti senti torcere le braccia nella morsa della pressione politica a cui sei continuamente sottoposta, e tutti i trucchi possibili e immaginabili [all the tricks in the book] vengono usati per farti abbandonare la working class. Ed è stato negli ultimi nove mesi che ho imparato ad apprezzare ancora di più l’enorme, consistente e ininterrotto impegno del senatore Bernie Sanders.
Presidenziali 2016: il tentativo di Bernie di far correre Warren
Quando Sanders decise di candidarsi alle presidenziali 2016, la sua esperienza a Washington era già di lunga data. Sempre eletto come indipendente e di fatto considerato un outsider del sistema, in diversi casi aveva addirittura rinunciato al suo nome su leggi scritte di suo pugno, affidandone la paternità a politici molto meno anti-establishment di lui, in modo da facilitarne l’iter congressuale e l’approvazione. Bernie aveva inutilmente cercato di convincere Elizabeth Warren a candidarsi. Fu per la rinuncia di Liz, non intenzionata a compiere mosse sconvenienti per la sua carriera come quella di mettersi contro l’establishment in un confronto diretto con la potentissima Hillary Rodham Clinton, che Sanders si imbarcò nell’incognita di un’avventura del tutto sconosciuta tanto per lui quanto per il suo fedele amico e compagno di campagne elettorali Jeff Weaver, che fino a quel momento avevano condotto campagne elettorali solo nel minuscolo Vermont. Un’avventura che Jeff Weaver, oggi senior advisor di Bernie, ha raccontato l’anno scorso nel bellissimo libro How We Won, un’odissea in cui l’epopea del viaggio nella vita concreta degli americani di tutti gli stati e di quello nei luridi meandri degli imbrogli e della propaganda clintoniana si concilia con l’ironia di tanti piccoli fatti e di comici dettagli.
Naomi Klein e Nina Turner dichiarano guerra a Elizabeth Warren
La situazione di oggi è molto diversa, tanto per Bernie quanto per Elizabeth, scesa in competizione poiché questa volta, nel mucchio dei candidati, può vantaggiosamente giocare la carta della sua relativa sfida all’establishment che cerca di far passare come assoluta. Se così fosse però Bernie, con i suoi 78 anni, non sarebbe ancora lì a combattere per la presidenza, e non solo per sconfiggere Trump ma per dare una concreta possibilità di avanzamento a battaglie che Elizabeth non avrebbe né la forza né la volontà di sostenere. Pur avendo inizialmente fatto squadra con Warren, Sanders sa che ormai la piega che ha preso lo sviluppo della political revolution merita un candidato meno ambiguo di Elizabeth Warren, e veramente radicato in quel socialismo democratico che Warren non rappresenta. E, per il momento, quel candidato è soltanto lui.
Non stupiscono dunque i riferimenti a Elisabeth Warren, per ora sottintesi per quanto chiarissimi, di Naomi Klein e di Nina Turner che, insieme all’importantissimo endorsement di tre quarti della Sqad, il gruppo delle quattro donne neoelette al Congresso di cui fa parte Alexandria Ocasio-Cortez, preannunciano l’inizio dell’inevitabile battaglia tra i due.
Ha scritto Naomi Klein qualche giorno fa:
Trovo profondamente commovente che Aoc abbia scelto di appoggiare Bernie nel momento più basso della sua campagna. Lei dimostra esattamente l’opposto di quella logica carrierista che nel 2016 indusse qualche supposto nemico dell’ineguaglianza economica a sostenere Clinton invece di Sanders, a dispetto delle loro storie personali. Tanto per dire.
Se Naomi ha utilizzato il sincero apprezzamento per Alexandria per lanciare una concisa ma pungente dichiarazione di guerra contro Warren, nel suo intervento a Queensbridge Park la co-chair della campagna di Bernie, Nina Turner, tra le personalità afroamericane più apprezzate e conosciute degli Stati uniti, ha rigirato a lungo il coltello nella piaga utilizzando la carismatica carica verbale, la magistrale padronanza della scena e l’inesauribile energia che condivide con la sua quasi omonima Tina:
Quando dico che non c’è nessuno come Bernie Sanders, voglio proprio dire quello. C’è qualcuno nell’ambiente mainstream e neoliberal che non ce la fa proprio a capire la differenza. Ma qui a voi io lo voglio spiegare chiaro e tondo: ci sono molte copie. Ci sono persone che non hanno avuto il fegato e il coraggio del senatore Bernie Sanders di correre nel 2016. Ci sono persone che si sono fatte da parte quando il gioco era duro. C’è una sola persona che ha affrontato l’establishment e il suo nome è Bernard Sanders. Oh sì, abbiamo un sacco di copie. Ma c’è solo un candidato che nel 2016 ha detto ai multimilionari e a i miliardari di questo paese: tenetevi i vostri soldi, i miei soldi io li raccoglierò tra la gente. […] Eh sì, ci sono molte copie ma, baby, c’è un solo originale. Non capisco perché scegliere una copia quando si può avere l’originale. Lui non ha votato per dare al presidente Trump ancora più soldi per le guerre. Lui ha votato contro questi disastrosi piani commerciali che rubano denaro dalle nostre comunità. C’è un solo Bernard Sanders; lasciate che siano i fatti a dire che ce n’è solo uno. Essere simili non è essere uguali, coraggio gente. Ce n’è solo uno.
Elizabeth è avvertita, i pezzi forti femminili della campagna di Bernie non le faranno sconti sul suo comportamento del 2016, quando restò a guardare da che parte tirava il vento senza pronunciarsi nemmeno nel Massachusetts, dove una sua parola avrebbe garantito la vittoria a Bernie, fino al colpo basso finale dell’endorsement a Hillary, sperando in una vicepresidenza che Hillary le negò beffardamente.
Dove va a finire la teoria dei Berniebros?
In un paio di articoli precedenti sulla propaganda anti-Bernie dei media mainstream avevamo citato alcune frasi dell’analista politica afroamericana della Cnn Nia Malika Henderson e della analista legale bianca della Msnbc Mimi Rocah. La prima aveva insistito sul fatto che anche nella campagna 2020 sarebbe stato difficile per Bernie allargare la sua base elettorale, composta prevalentemente dai Berniebros, maschi, bianchi e misogini. L’ex procuratrice Mimi Rocah aveva invece supportato la sua teoria secondo cui Bernie Sanders non piace alle donne con la scientificità di una sua sensazione: «Bernie Sanders mi fa accapponare la pelle».
Ma con il supporto di «Berniebros» del calibro di Nina Turner, Alexandria Ocasio-Cortez, Rashida Tlaib, Ilhan Omar, Naomi Klein, Susan Sarandon, Chloe Sevigny, Cardi B, Norah Jones, Pamela Anderson, Shailene Woodley, tanto per nominare solo alcune delle sostenitrici più famose del senatore, sarebbe forse il caso che Cnn e Msnbc sospendessero commenti di quel genere.
L’influenza che Aoc può avere su tante giovani donne
È indubbio che Aoc abbia già esercitato il suo effetto traino su molte persone e in particolare su giovani donne che, traendo ispirazione da lei, si sono impegnate attivamente nel processo elettorale, diventando attiviste o addirittura candidandosi per qualche posizione amministrativa o giudiziaria ai vari livelli locali e federali. Tuttavia un’esperienza personale mi fa supporre che ancora molto ci sia da fare.
Nel maggio scorso, trovandomi per qualche giorno Washington, mi sono avventurata in alcuni dei chilometrici corridoi dei palazzi che ospitano gli uffici di deputati e senatori. Era venerdì quando ho raggiunto quello di Aoc. Seppure fosse chiuso ho a lungo curiosato tra i messaggi lasciati sia sul quadernone posto su un leggìo, sia nelle decine e decine di post-it appesi per metri sulle pareti accanto alla sua porta, cosa che non ho visto in nessun altro dei corridoi percorsi, nemmeno vicino all’ufficio di Sanders. A parte pochi ma pesantissimi insulti razzisti, i messaggi si dividevano, per così dire, tra quelli da «fan generici» a quelli da «fan politici». Ho anche avuto modo di parlare con diverse ragazze che, a gruppetti, si erano recate in visita all’ufficio della loro paladina, constatando come per quasi tutte il trovarsi lì non facesse molta differenza dal trovarsi davanti al camerino della pop star di turno. Solo poche conoscevano i candidati alle primarie, e per lo più citavano come candidato preferito Joe Biden.
Insomma, l’impressione è che Aoc abbia un bel po’ di lavoro da fare. La consapevolezza e la crescita politica possono passare attraverso tante strade e la sorta di superpotere che la giovane portoricana ha la fortuna di avere tra le mani è uno strumento prezioso. Non solo per per portare voti a Sanders, ma anche per trasformare in nuove attiviste della political revolution le chissà quante ragazze che per ora sembrano ammirare Aoc come una star.
*Elisabetta Raimondi è stata docente di inglese nella scuola pubblica. È attiva in ambito teatrale ed artistico, redattrice della rivista Vorrei.org per la quale segue da tre anni la Political Revolution di Bernie Sanders.
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