Una vittoria disillusa per un Labour inoffensivo
Starmer prende soltanto il 33,7% dei voti. Bene gli indipendenti di sinistra e i Verdi, che hanno contestato le scelte su Gaza. Corbyn batte il suo ex partito. Ma nel paese cresce il razzismo di Nigel Farage
Quando sono arrivati i risultati delle elezioni generali britanniche, il politico laburista scozzese Jim Murphy ha fatto un’osservazione eloquente. Murphy, che nel 2015 aveva portato il Partito laburista a una pesante sconfitta in Scozia, questa volta si è rallegrato nel vedere il Partito nazionale scozzese (Snp) andare male: «Non hanno perso voti solo rispetto ai laburisti, anche rispetto ai non votanti. E in politica è molto più difficile rianimare le persone che se ne sono andate e hanno deciso di non votare».
Murphy non riusciva a nascondere la propria eccitazione al pensiero di un tale disimpegno dalla politica elettorale. Il suo partito è stato portato all’apice del potere da un’ondata di apatia. Con il 60%, l’affluenza alle urne è diminuita di oltre il 7% rispetto alle ultime elezioni del 2019. Si tratta di uno dei dati più bassi da quando la Gran Bretagna ha adottato il suffragio universale.
Il numero assoluto di voti espressi per il Labour è stato inferiore a quello del 2019. Se si tiene conto del calo dell’affluenza, Keir Starmer ha aggiunto meno del 2% ai voti ottenuti cinque anni fa. Il risultato finale del Labour, 33,7%, è stato ben al di sotto della quota media di voti del Labour sotto la leadership di Jeremy Corbyn, per non parlare del 40% ottenuto nel 2017. Eppure Starmer ha conquistato una maggioranza schiacciante di seggi alla Camera dei Comuni, grazie al crollo dei conservatori e al sistema elettorale britannico «winner-takes-all».
Come ha dichiarato l’esperto di sondaggi John Curtice: «Sembra più un’elezione persa dai conservatori che vinta dai laburisti». La quota di voti dei Tories è scesa del 20%. Nel 2019, il partito della Brexit di Nigel Farage aveva eliminato centinaia di candidati spianando la strada per la vittoria a Boris Johnson. Questa volta, il veicolo di Farage – ribattezzato Reform UK – si è prefisso di danneggiare i Tory e ha ottenuto il 14% dei voti, creando un cuneo nella loro base elettorale.
Fin dal primo giorno, questo era il risultato che Starmer e il suo team speravano di ottenere. Non avrebbero mai voluto andare al governo in mezzo a un’ondata di entusiasmo con un ambizioso programma di riforme per affrontare la sfaccettata crisi sociale della Gran Bretagna. Il loro obiettivo era quello di rendere il Labour completamente inoffensivo per tutti coloro che beneficiano di un modello economico disfunzionale.
Una grande maggioranza di seggi dopo una campagna elettorale sottotono e con un tasso di astensione del 40% è, dal loro punto di vista, una situazione abbastanza ideale. Ma non sarà certamente il trampolino di lancio per un governo riformatore. Sebbene i conservatori si meritino ampiamente il loro momento di umiliazione dopo aver preso a colpi di motosega i servizi pubblici britannici negli ultimi quattordici anni, la nuova amministrazione ha tutta l’intenzione di mantenere al potere la loro eredità distruttiva.
Risultati promettenti
Per coloro che vogliono qualcosa di più di un cambio di personale ai vertici, ci sono stati diversi risultati promettenti. Dopo essere stato cacciato da Starmer dal Partito laburista, Jeremy Corbyn ha mantenuto il suo seggio nel nord di Londra come indipendente. Un sondaggio condotto poco prima delle elezioni suggeriva che Corbyn fosse destinato alla sconfitta per mano del candidato laburista, un imprenditore del settore sanitario privato di nome Praful Nargund. Alla fine, però, ha battuto Nargund con una mobilitazione di sostenitori che ha ricordato l’uso della propaganda di massa da parte dei laburisti nel 2017.
Corbyn sarà affiancato alla Camera dei Comuni da altri quattro indipendenti che hanno preso i seggi dai laburisti dopo aver condotto campagne contro il sostegno di Starmer ai crimini di guerra israeliani a Gaza. Molti altri indipendenti filo-palestinesi hanno sfiorato la vittoria, tra cui Leane Mohamad, a cui sono mancati appena cinquecento voti per scalzare il segretario ombra alla Sanità del Labour, Wes Streeting. Sarebbe stato un grande risultato per Mohamad mettere fuori gioco Streeting, una figura autoreferenziale e ambigua che ha manifestato il desiderio di accelerare la privatizzazione del Servizio sanitario nazionale, ma in ogni caso dovrebbe essere orgogliosa della propria performance.
Lo stesso Starmer ha dovuto affrontare una sfida nel suo collegio elettorale di Londra da parte dell’attivista contro la guerra Andrew Feinstein. Feinstein, sbucato dal nulla, ha ottenuto un buon 19% dei voti, mentre Starmer è calato drasticamente, pur senza rischiare il seggio. Il Partito Verde, che si è opposto con forza all’attacco a Gaza, ha ottenuto quasi il 7% dei voti complessivi e ha conquistato quattro seggi, la migliore performance della sua storia.
Il voto per i candidati anti-guerra e verdi suggerisce il potenziale di un movimento di sinistra che combina un programma di riforme interne, sia sociali che ecologiche, con una politica estera basata sulla pace, sui diritti umani e sulla giustizia climatica. Sapevamo già dal periodo in cui Corbyn è stato leader laburista che c’era un ampio sostegno a queste idee nella società britannica. Ora sappiamo che è possibile ottenere un sostegno politico al di fuori del Partito laburista, nonostante il sistema elettorale britannico con le sue barriere all’ingresso per i gruppi più piccoli.
Un’ascesa resistibile
D’altra parte, il Labour ha ripreso la maggior parte dei suoi seggi scozzesi dall’Snp, che era stato lo sfidante più efficace nell’ultimo decennio. L’Snp ha conquistato quei seggi per la prima volta nel 2015 con una piattaforma che evidenziava la sua opposizione all’austerità e alle armi nucleari. Tuttavia, dopo essersi posizionata con tanto successo a sinistra dei laburisti, la leader dell’Snp Nicola Sturgeon ha iniziato a spostarsi verso il centro sia in termini di politica che di stile politico, soprattutto dopo il referendum sulla Brexit del 2016.
Possiamo far risalire le origini dell’attuale crisi dell’Snp al periodo in cui la Sturgeon era leader, anche se alla fine i nodi sono venuti al pettine dopo che Humza Yousaf prima e John Swinney poi hanno assunto la guida del partito. I laburisti la prenderanno senza dubbio come una prova che la causa più ampia dell’indipendenza scozzese si è esaurita e che le cose possono tornare come erano prima del referendum del 2014. In linea di principio, questo atteggiamento compiacente dovrebbe offrire all’Snp l’opportunità di riconquistare il sostegno dei laburisti in vista delle prossime elezioni del Parlamento scozzese nel 2026, anche se la capacità del partito di rinnovarsi dopo un lungo periodo di istituzionalizzazione è molto in dubbio.
La quota di voti per il Reform UK di Nigel Farage non è stata molto più alta del risultato ottenuto dal Partito per l’Indipendenza del Regno Unito nel 2015, ma questa volta il partito ha conquistato quattro seggi, tra cui uno per Farage, e ha ottenuto una serie di secondi posti. La performance di Reform dovrebbe smentire l’idea che si possa insidiare il sostegno ai partiti anti-immigrati abbracciando le loro idee.
I due partiti principali hanno adottato la posizione di Farage del 2015 sull’immigrazione e hanno gestito la campagna elettorale promettendo di aumentare le deportazioni. Il loro unico risultato è stato quello di legittimare la retorica di Farage e dei suoi alleati. Ora che hanno una piattaforma a Westminster, i parlamentari di Reform faranno tutto il possibile per indicare immigrati e rifugiati come capro espiatorio per i problemi sociali che il governo Starmer lascerà incancrenire.
Ciò non significa che ci riusciranno. Starmer diventa primo ministro con una grande maggioranza di seggi, ma si trova di fronte a una sfida a sinistra che non esisteva quando Tony Blair salì al potere nel 1997. Ci vollero diversi anni e tre elezioni perché il malcontento nei confronti del New Labour raggiungesse un livello simile. Non c’è motivo per cui la destra estrema debba avere il monopolio dell’opposizione allo starmerismo, se le forze della sinistra britannica sapranno trarre le giuste lezioni dall’esperienza dell’ultimo decennio.
*Daniel Finn è redattore di Jacobin. È autore di One Man’s Terrorist: A Political History of the Ira (Verso, 2019). Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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