Anguita e le radici politiche di Unidas Podemos
Poco più di un mese fa moriva il leader comunista spagnolo e storico animatore di Izquierda Unida: ripercorrendo la sua storia si capisce molto della sinistra spagnola odierna
Nel mondo post-Covid-19 accelerano alcune trasformazioni e aumenta la difficoltà nel decodificare la fisionomia delle contraddizioni che si fanno sempre più acute, mentre la crisi economica rischia di essere peggiore del 2008. Per la sinistra, oggi come ieri, il problema sembra essere sempre lo stesso: rinnovare parole, modelli organizzativi e proposte per costruire un’utopia concreta che rappresenti sia un’agenda di lotta che di governo.
Spesso e volentieri, però, nell’ansia dettata dalla nostra lenta impazienza di cambiare il mondo pecchiamo di nuovismo, dimentichiamo nessi storici e legami che spiegano la realtà o che potrebbero contribuire a cambiarla rottamando la nostra storia come un monolite di sconfitte da sotterrare. In questa fase storica il governo spagnolo rappresenta una delle poche esperienze di riferimento per la sinistra europea, grazie alla presenza di Unidas Podemos nel consiglio dei ministri. Proprio Podemos negli anni ha alimentato speranze e curiosità per la sua rapida ascesa, grazie a una capacità notevole di conciliare contraddizioni che sembravano irrisolvibili. Opposizione o governo? Leadership personalizzata o collettiva? Patria o internazionalismo? Podemos ha risposto a ciascuna di queste domande in maniera dialettica, processuale, mai dicotomica mentre all’esterno offriva una delle esperienze più riuscite di populismo di sinistra. Un discorso che parlava di gente e casta, del 99% contro l’1%, della legge e dell’ordine a protezione e al servizio dei lavoratori e delle lavoratrici, di una nuova maggioranza sociale con volontà di trasformazione e governo sulla base di un programma, di un’idea di cambiamento come prodotto di un’impresa collettiva dentro e fuori le istituzioni. A molti è sembrato il miglior prodotto della nuova politica, un’opera avveniristica creata da un geniale manipolo di politologi guidati da Pablo Iglesias e dalle sue capacità comunicative. Ma lo schema fantascientifico non funziona per le spiegazioni politiche e le radici di Podemos sono da ricercare nell’esperienza eterodossa di uno delle figure più importanti della storia della sinistra radicale europea.
Il 16 Maggio 2020 è morto, dopo l’ennesimo problema cardiaco Julio Anguita Gonzalez, iscritto al Pce dal 1972, sindaco di Cordoba dal 1979 al 1986, segretario del Pce dal 1988 al 1998 e coordinatore di Izquierda Unida (Iu) dal 1989 al 2000. Le sue dimissioni, imposte dai problemi cardiaci che ne causeranno la morte, inaugureranno una lunga fase di crisi di Iu mentre, nelle vesti di semplice militante, Anguita continuerà a esercitare un’enorme influenza sulla sinistra e sulle nuove generazioni. Le sue parole sulla globalizzazione, sull’Unione europea, sulle ingiustizie, la sua idea eterodossa di comunismo basata sulla partecipazione collettiva e sulla democrazia radicale sedimentano e cristalizzano le chiavi del futuro discorso degli Indignados e di Podemos. Al di sotto dell’aura mitica di coerente sognatore esploriamo l’esperienza storica di un comunista pragmatico e realista, capace di assumere il peso della sconfitta storica del comunismo del Novecento, prima spagnolo e poi mondiale, per rinnovarlo senza rinnegarlo.
Un comunista che governa per un’altra «cosmovisione»
Nel 1977 il Pce viene legalizzato. Il partito più importante della resistenza al regime franchista, vero motore sociale della conquista democratica in Spagna, aveva dato prova di una straordinaria capacità organizzativa e strategica, costruendo una vasta rete di alleanze sociali nella lotta al regime. Santiago Carrillo, che ne era lo storico segretario, si accorda con Adolfo Suarez conquistando la legalizzazione di quella straordinaria macchina organizzativa popolare trasformandola in un attore fondamentale della transizione spagnola pagando, però, un prezzo molto alto. Il Pce rinuncia alla Repubblica e disarma la propria forza sociale in nome di una transizione democratica che lascerà intatta la struttura oligarchica del potere economico e sociale. All’ombra della conquista della democrazia e della legalizzazione si consuma l’abdicazione delle rivendicazioni sociali fino ad allora centrali per una trasformazione economica e sociale del regime, per molti una vera e propria sconfitta. Carrillo, invece, trasformò quella sconfitta nel perno di una cultura politica fedele a una transizione dall’alto che porterà presto all’approvazione di una legge elettorale pessima e agli accordi della Moncloa, che imbrigliavano il potere della classe operaia nelle maglie della concertazione. La delusione degli elettori e dei militanti fu grande. Se i risultati elettorali nel 1977 e nel 1979 furono deludenti (il partito ottenne solo il 10%, scoprendosi il secondo partito dell’opposizione dopo il Psoe), ancora peggio furono le conseguenze interne frutto di una gestione impermeabile alla democrazia e alla discussione che portò a numerose espulsioni, preludio del terribile tracollo elettorale del 1982. Con solo il 4% dei voti, arriva una sconfitta terribile che porta alle dimissioni di Santiago Carrillo e sembra chiudersi l’esperienza del Pce, ma in quello stesso contesto era già iniziata l’ascesa di Julio Anguita.
Julio Anguita, nato a Malaga nel 1941, nel 1977 è un importante militante di provincia del Pce già molto conosciuto nella sua Cordoba, dove insegna, per quella magia retorica che esercita in ogni suo comizio, tanto da meritarsi la candidatura a sindaco alle prime elezioni democratiche comunali. Come molti non è convinto della linea del partito nella transizione ma la sostiene per rispetto del centralismo democratico. Dirà sempre che l’errore principale di Carillo non fu tanto quello di accettare una transizione dettata da rapporti di forza estremamente sfavorevoli ma quello di «trasformare il vizio in virtù», trasformare quella sconfitta in una vittoria. Eppure, per i grandi paradossi della storia, proprio il patto stretto dal Pce con il Psoe a livello nazionale lo porta a essere eletto sindaco nelle elezioni comunali di Cordoba del 1978. Sarebbe impossibile comprendere l’intera parabola di Anguita senza soffermarsi sull’esperienza di sindaco. Sfatando il mito del sognatore poco realista, il neo-sindaco impara subito la necessità del buon governo, del comunismo inteso come capacità di costruire contropotere fuori e dentro le istituzioni, di governare meglio degli altri se pur in nome di un’altra «cosmovisione». Sarà l’impronta indelebile della sua esperienza: il comunismo come «volontà di governo» e di gestione in nome e in favore del popolo. Inizia un’esperienza memorabile, in una cittadina del Sud con enormi diseguaglianze e deficit, che tiene assieme la democrazia radicale e partecipativa e interventi strutturali nei quartieri abbandonati e popolari. Per Anguita, essere comunisti vuol dire essere radicalmente democratici, proprio quello che il capitale e i suoi interessi non si possono permettere. Nella sua esperienza di sindaco potrebbe nominare direttamente i responsabili dei vari municipi cittadini ma decide di sottomettere le nomine a consultazione popolare, di sfruttare gli spazi della legge per ampliare le maglie democratiche. Il bilancio, le politiche edilizie come quelle culturali diventano l’oggetto di assemblee diffuse che innervano una concezione partecipata di democrazia comunale, in un paese che iniziava a ricostruire appena il rapporto con quella rappresentativa e in una regione come l’Andalusia piena di povertà e diseguaglianze. Ma Cordoba è un crocevia di interessi e privilegi, quel sindaco così anomalo dà fastidio e in nome del suo popolo, della sua cosmovisione e delle istituzioni che rappresenta presto è costretto a scontrarsi con il potente vescovo locale, con il presidente del governo e perfino con la delegazione del Re. Il Psoe passerà presto all’opposizione, convinto di poter usurare il consenso accumulato dell’unico sindaco comunista di una grande città in contemporanea con il tracollo nazionale del Pce. Ma a Cordoba è tutta un’altra storia. Racconta Vazquez Montalban, nel suo, L’altra Andalusia, l’accecante contrasto cromatico tra il sottosviluppo e la corruzione del resto dell’Andalusia e l’esperienza di Cordoba, scrivendo «alcuni califfi vengono da lontano per andare ancora più lontano. Anguita viene dalla stessa Spagna in cui i tori uccidevano Manolete e la fame gli spagnoli, ma vuole rappresentare un maestro di scuola che mostra sulla lavagna la possibilità della speranza andalusa». Il giudizio più importante, però, arriva dal popolo. Nel 1983, dopo il tracollo del Pce a livello nazionale, Julio Anguita e il Pce conquistano la maggioranza assoluta delle elezioni comunali di Cordoba con il 58% dei voti e 17 seggi su 27. Un trionfo. Nasce quel giorno la leggenda del «califfo rosso» ma, cosa ancora più importante, Anguita capisce che intorno alle idee e alla capacità di governare assieme al popolo e per il popolo si può agglomerare una maggioranza sociale che non condivide una tessera ma idee, principi e un programma frutto di un’elaborazione collettiva.
Dall’Andalusia a Madrid
Nell’Andalusia del dominio del Psoe, della corruzione e della povertà Julio Anguita rappresenta presto una speranza. Vorrebbe finire la seconda legislatura da sindaco ma nel 1986 il Pca (partito comunista andaluso) gli chiede di essere il candidato alla presidenza regionale. Anguita accetta ma disegna un progetto che rappresenterà il preludio di Izquierda Unida. Si rivolge alla società civile Andalusa per la costruzione di un progetto di trasformazione comune che porti a una lista collettiva che vada ben oltre i confini del Pca. L’appello è un successo. Nasce Convocatoria per Andalusia che raccoglie presto il meglio della società civile andalusa, sulla base di una discussione ampia e partecipata che si riempie di proposte concrete, nonostante qualche resistenza interna allo stesso Pca che si vede ben presto travolto da una partecipazione inaspettata. Più o meno contemporaneamente matura la vasta alleanza sociale che sostiene l’uscita dalla Nato e che si presenterà unita alle elezioni del 1986 prendendo il nome di Izquierda Unida. Le elezioni andaluse sono un successo, con il risultato del 18% e la conquista di 19 seggi. Di Anguita, ormai, si parla anche in chiave nazionale come possibile rinnovatore del Pce, anche se la sua intenzione è di continuare il suo lavoro in Andalusia.
Nel 1988 Gerardo Iglesias, segretario del Pce e coordinatore di Iu, perde la maggioranza e si apre la partita della successione. Da una parte ci sono quelli che vorrebbero liquidare il Pce per costruire una Izquierda Unida subalterna al Psoe, che insegua l’unità con i socialisti piuttosto che con le altre forze della sinistra, dall’altra ci sono quelli che vorrebbero una Izquierda Unida propaggine subalterna del Pce e rintanata nell’identitarismo. Anguita la pensa diversamente. Nel solco dello stesso Iglesias ritiene che si debba rilanciare l’azione del Pce come motore propulsore dello sviluppo di Iu intesa come «movimento politico e sociale», soggetto di una trasformazione complessiva che punti a unificare un blocco sociale composito e variegato senza nessuna subalternità al Psoe. Gerardo Iglesias, travolto da una serie di attacchi personali, sa di non avere più i numeri per essere rieletto e chiede ad Anguita la disponibilità per ricoprire il ruolo di segretario.
«Programma, programma, programma»
La segreteria di Anguita si caratterizzerà per una gestione radicalmente democratica e per l’ostinato perseguimento di alcuni obiettivi. Sia il Pce che Iu vivono una stagione di radicale democrazia interna. Il crollo del muro del 1989 aumenta la pressione per lo scioglimento del Pce che Anguita rifiuta fermamente, pur non sottovalutando la valenza geopolitica dell’Urss e le conseguenze negative della sua caduta per Anguita il modello sovietico non era mai stato un riferimento della sua idea di comunismo, radicalmente democratica. Il nuovo segretario moltiplica le riunioni degli organismi e le assemblee, convinto che il compito del Pce sia trasformare Iu in un soggetto politico autonomo e plurale contrapposto al blocco neoliberista di cui il Psoe rappresenta la sponda sinistra, il Pp quella destra. Quest’equiparazione delle politiche del Pp e del Psoe alimenta una feroce opposizione interna, guidata dai rinnovatori che si sono organizzati nella componente «nuova izquierda» e che agiranno come una propaggine del Psoe in Iu fin quando, più tardi, decideranno di confluire proprio nel partito socialista. Anguita crede che il Psoe abbia ormai conquistato il monopolio simbolico dell’identità progressista, che in Spagna rappresenti la «sinistra», per cui ritiene necessaria la costruzione di un’altra geografia politica che parta dai contenuti, dal programma. I gruppi di elaborazione collettiva di Iu divengono una fucina di analisi e proposte, per alcuni fin troppo visionarie ma che in realtà si dimostreranno pioneristiche e lungimiranti. L’investimento principale, infatti, Anguita lo dedica proprio all’elaborazione di un programma capace di trasformare in misure concrete e realistiche, quella che Erik Olin Wright chiamerebbe utopie concrete, come precipitato materiale e afferrabile di quella «cosmovisione» alternativa e comunista per cui fare politica in nome dei suoi, della sua classe di riferimento. Grazie alla sua capacità oratoria e didattica Anguita non parla mai di comunismo ma di applicazione completa della «dichiarazione dei diritti dell’uomo» e della Costituzione spagnola scegliendo, cioè, di riferirsi a significanti trasversali e conosciuti, consapevole di come il capitalismo sia incompatibile con la democrazia e anticipando involontariamente, come sostiene Carlos Fernandez Liria nel suo libro En defensa del populismo (2016), il registro discorsivo di Podemos e dei populismi di sinistra. A differenza della descrizione che è stata diffusa non rinchiude Iu nel settarismo ma sfida il Psoe più volte, offrendogli accordi programmatici basati su una radicale riforma fiscale e sulla redistribuzione della ricchezza. Il Psoe preferirà sempre la destra indipendentista Basca e Catalana. Ancora una volta arbitro e giudice del lavoro di Julio Anguita è l’elettorato che lo premia con i migliori risultati di tutta la storia di IU, arrivando stabilmente intorno al 10%.
Ma quel segretario dall’aura quasi mitica paga l’enorme stress a cui è sottoposto con la propria salute. Nel 1993, a pochi giorni dalla chiusura della campagna elettorale in cui rappresenta IU come candidato alla presidenza del consiglio, Anguita è vittima di un primo infarto e sette anni dopo di un secondo. Decide di lasciare il passo, di dimettersi, rinunciare al vitalizio e tornare a Cordoba, ma non di smettere di fare Politica.
Aspettando Podemos: dal Frente Civico agli Indignados
Il 7 Luglio 2003, ore 19 e 30, Julio Anguita si trova a Getafe (Madrid) e sta per intervenire in un’iniziativa organizzata da Unidad Civica Repubblicana nel teatro Federico Garcia Lorca quando gli giunge una terribile notizia. In mattinata, il centro di comando delle forze americane di stanza nella città di Hilla in Iraq viene colpito da alcuni missili, muoiono due soldati e due giornalisti. Tra quest’ultimi vi è Julio Anguita Parrado, primogenito di Anguita, fotografo e corrispondente per El Mundo. Nonostante il dolore Julio Anguita sale sul palco e pronuncia poche parole che rimarranno impresse nella memoria collettiva di tutti i pacifisti: «Mio figlio maggiore di 32 anni è appena morto compiendo i suoi doveri di corrispondente di guerra. Circa venti giorni fa eravamo assieme, mi disse che voleva andare in prima linea. Quelli che hanno letto i suoi articoli sanno che era un uomo aperto e un bravo giornalista. Ha compiuto il suo dovere e pertanto io compirò il mio prendendo la parola. È stato un missile iraqueno, ma è uguale… l’unica cosa che posso dire è che tornerò in altre occasioni e continuerò a combattere per la terza repubblica. Maledette siano le guerre e le canaglie che le fanno».
Nonostante la tragedia personale Julio Anguita continua a fare politica, militante del Pce e di IU sempre più critico. Gradualmente si rende conto che Iu sta esaurendo la sua spinta propulsiva, che di fronte alle sfide enormi del nuovo capitalismo finanziario e dell’Europa di Maastricht serve un movimento più ampio, con un orizzonte chiaro e che abbia volontà di governo, ambisca alla maggioranza. Nel 2008 arriva la crisi, Psoe e Pp la gestiscono assieme a suon di tagli e austerità. La crisi, terribile, colpisce il popolo spagnolo ma qualcosa si muove e il 15 Maggio 2011, in tutte le piazze del paese, una nuova generazione scende in piazza manifestando contro la corruzione e l’austerità. Sono gli Indignados, accompagnati più tardi dalle varie Maree a difesa del settore pubblico, che dicono cose di sinistra ma non amano le ideologie, che si scontrano contro l’austerità e contro il bipartitismo ma non amano i sindacati e i partiti. Questi si trovano spiazzati davanti a quella marea che invade le piazze e manifesta con parole e modalità così distanti da quelle consuete. Alcuni iniziano a storcere il naso davanti a quel movimento che non presenterebbe le stimmate rivoluzionarie.
Anguita scende in campo a difesa del 15 M, e lo fa con un famoso articolo intitolato «Sono i nostri» elogiando il coraggio e il buon senso di questa nuova maggioranza sociale che si apre la strada tra rassegnazione e disincanto, perché i manifestanti saranno pure a-partitici ma non a-politici. Nel 2012, davanti all’inerzia dei partiti della sinistra radicale ma non contro questi, fonda l’associazione Frente Civico-somos mayoria che coinvolge numerosi militanti e attivisti provenienti da tutto il paese intorno ad alcune proposte come un piano per il lavoro, un reddito di base, l’opposizione all’Ue e misure più stringenti contro la corruzione, convinto che vi sia ormai un consenso maggioritario intorno ad alcune proposte, ben al di là della divisione ideologica classica tra i vari schieramenti. Di lì a poco Alberto Garzon, anche grazie al suo appoggio, diverrà il nuovo coordinatore di Izquierda Unida iniziando una stagione di rinnovamento mentre alcuni dei militanti del Frente Civico contribuiranno alla costruzione delle liste di unità popolare capaci di conquistare numerosi comuni come Barcellona e Madrid. Nel 2014, invece, nasce Podemos. Quella «volontà di governo» e di cambiamento maggioritaria per cui si era sempre battuto Anguita trova un interprete innovativo che parla della difesa dei diritti umani, della piena realizzazione della Costituzione e di una democratizzazione della democrazia liberata dal bipartismo classico. Con stile diverso e grazie all’armamentario mediatico più moderno, Podemos recupera alcune chiavi del discorso di Anguita per dare forza politica all’eredità sociale del 15 M. Anguita rimane un riferimento per tutti e lavora per arrivare all’unità contribuendo alla nascita di Unidas Podemos. Non pago, Anguita insisteva perché per lui non bastava un’alleanza elettorale ma bisognava creare comitati unitari per tutto il paese perché il governo è condizione necessaria ma non sufficiente, servono il conflitto e la società civile per cambiare i rapporti di forza. Nel salutarlo per l’ultima volta Pablo Iglesias e Alberto Garzon raccontano che si erano da poco sentiti con lui per parlare proprio di questo, di come rilanciare Unidas Podemos nella società per fronteggiare l’ascesa dell’estrema destra.
Julio Anguita ha segnato un’epoca ed ha contribuito a sedimentare una cultura politica basata sulla democrazia radicale, sulla sacralità di alcuni principi e sulla volontà di governo in nome e assieme al popolo. È sempre stato convinto che la partecipazione e l’organizzazione popolare potessero conferire la forza necessaria per trasformare le cose, per un comunismo destinato ad abbandonare qualche simbolo e rituale ma destinato a rappresentare l’asse portante di un movimento variegato, plurale e maggioritario capace di forgiare un nuova umanità padrona del proprio destino e libera dalle maglie dello sfruttamento senza mai aver paura della sfida del governo. Purché in nome di un’altra cosmovisione, di un’autonomia ideologica e programmatica, del suo popolo.
*Francesco Campolongo è dottorando di ricerca in Politica, cultura, sviluppo al Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università della Calabria. Per questo testo ringrazia Manolo Monereo, storico collaboratore di Julio Anguita, per la preziosa chiacchierata che gli ha fornito fondamentali chiavi di lettura per la comprensione dell’esperienza storica di Julio Anguita e di Izquierda Unida.
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