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This is your place in life
Dagli anni Venti del Novecento alle commedie sociali di fine millennio: un itinerario nella rappresentazione della working class nel cinema inglese
Il termine working class fa la sua prima apparizione nell’Oxford English Dictionary già nel 1789, in concomitanza con la prepotente affermazione della Rivoluzione Industriale e la conseguente nascita del mondo operaio. Il cinema britannico contemporaneo che affronta le problematiche legate alla classe lavoratrice deve molto alla tradizione di realismo sociale che si sviluppa prima nel romanzo dell’Ottocento (Charles Dickens in primis), e poi nel movimento documentaristico guidato dal regista e produttore scozzese John Grierson.
Documentari working class
Per capire a fondo come la working class inglese sia stata rappresentata al cinema e in tv negli ultimi decenni, e come tale rappresentazione sia mutata nel corso di un secolo, è necessario partire proprio dalla fine degli anni Venti, quando sul grande schermo essa assunse per la prima volta un ruolo centrale.
A Grierson si deve l’invenzione, nel 1926, del termine «documentario», un film che mostri la realtà con l’intervento creativo del regista. È del 1929, in un cupo clima di crisi economica e sociale, il primo documentario di Grierson, Drifters, che mette in scena la vita e il duro lavoro dei pescatori di anguille nei mari del nord. Ecco che, per la prima volta, e in tutto il decennio dominato dalla scuola documentaristica, la classe lavoratrice irrompe nel cinema da protagonista, ritratta come una collettività di onesti e infaticabili lavoratori (marinai, operai, minatori, ferrovieri), una comunità coesa, eroica nella professione e coraggiosa nell’affrontare la vita. Con approccio pedagogico e sociologico, Grierson mostra alla società la vita reale della working class, ma il suo intento è più riformista che rivoluzionario, un invito alle istituzioni perché facciano qualcosa per i più poveri.
Con lo scoppio della Seconda guerra mondiale si fa appello alla coesione nazionale per far fronte comune contro il nemico tedesco. Le esigenze della working class vengono accantonate, depoliticizzate, in favore di un apparente interclassismo: i ricchi, i poveri, i borghesi, le donne, tutti devono collaborare allo sforzo bellico. Nei film di propaganda si vedono ambienti (la nave da guerra di In Which We Serve, la fabbrica femminile di Millions like Us), in cui le differenti classi sociali convivono in modo funzionale. Si chiede ai più poveri di lavorare anche per la propria nazione, come accade ai minatori gallesi di The Proud Valley che, accantonando le proprie istanze di lavoratori, si sacrificheranno per il bene della nazione.
I Giovani Arrabbiati
La ricostruzione post-bellica si accompagna a un senso di ottimismo. Col nuovo governo laburista vengono approvate importanti riforme sulla salute, l’istruzione, il welfare state, la nazionalizzazione delle industrie: è la cosiddetta mild revolution. Il boom economico inizia nel 1951 e vedrà, nel giro di pochi anni, un incremento del 40% nella produzione e aumenti salariali del 30%. La nuova working class è ora definita affluent, benestante, e può permettersi beni come tv, auto, elettrodomestici. Viene coltivata l’illusione di una Gran Bretagna senza classi sociali ma, nonostante la prosperità generale, le ineguaglianze economiche e di classe continuano a esistere, così come la rabbia a esse connessa.
Il 1956 è un anno di svolta. L’invasione dell’Ungheria da parte dell’Urss favorisce la nascita della New Left, i fermenti politici e sociali si accumulano e si intrecciano, portando alle proteste contro la pena di morte e alle dimostrazioni antinucleari e antirazziste. In questa atmosfera si sviluppano due movimenti fondamentali per la società inglese. Nel 1956 viene messo in scena Look back in Anger di John Osborne, che scuoterà la sonnolenza del teatro tradizionale e inaugurerà la stagione dei Giovani Arrabbiati, un gruppo di scrittori e drammaturghi, perlopiù delle città industriali del nord o delle Midlands, che raccontano storie con protagonisti working class: giovani che hanno facce, accenti e atteggiamenti nuovi rispetto al passato. Nello stesso anno nasce il Free Cinema, con la proiezione pubblica del primo programma di documentari, in gran parte realizzati dai tre principali registi di questo movimento: Lindsay Anderson, Karel Reisz e Tony Richardson. Il Free Cinema si propone di raffigurare la vita contemporanea in Inghilterra così com’è, con una libertà di approccio narrativo ed estetico. Gli schermi si riempiono di giovani lavoratori. O Dreamland e Momma don’t allow raccontano i divertimenti più popolari dell’epoca, un luna-park e un jazz club frequentati da giovani proletari. Poco dopo Anderson girerà Everyday except Christmas, che documenta la notte dei lavoratori nel mercato ortofrutticolo di Covent Garden, una comunità ancora compatta e alacre. We are the Lambeth Boys, di Reisz, si concentra invece su un gruppo di ragazzi di un quartiere popolare, sulle loro opinioni e speranze per il futuro, sul tempo libero trascorso al centro ricreativo. Nei documentari del Free Cinema si respira ancora un senso di collettività, ma il lavoro, pur definendo la working class come tale, comincia a dissolversi sullo schermo, lasciando il posto agli svaghi che ora la classe lavoratrice può permettersi. Questo passaggio dal politico al personale diventa chiaro nel movimento cinematografico che scaturirà dal Free Cinema, il Kitchen Sink Realism, il «realismo dell’acquaio», nomignolo dispregiativo dato dalla stampa per designare tutte quelle opere di realismo sociale dove i protagonisti, generalmente poveri, vivono i loro drammi personali. È un cinema di narrazione che ha, come fonte principale, i romanzi o i drammi dei Giovani Arrabbiati.
In questi film l’attenzione si sposta da Londra alle città industriali del nord o delle Midlands; la classe lavoratrice non è più mostrata come una comunità, e l’individualismo prende spesso il sopravvento; c’è un solo protagonista, quasi sempre maschio, bianco, working class, donnaiolo, a cui piace divertirsi; il lavoro appare ancora sullo schermo, ma talvolta solo come sfondo, o come implicito nella vita dei personaggi, cedendo il passo al tempo libero; non c’è più la comunità solidale di una volta, perfino la famiglia e il quartiere non sono più luoghi sicuri in cui rifugiarsi, ma motivi di conflitto e insofferenza. La rabbia dei protagonisti è depoliticizzata, generica, contro tutto e tutti. Arthur Seaton, protagonista di Sabato sera, domenica mattina (Reisz, 1961), tratto dall’omonimo romanzo di Alan Sillitoe, si scaglia contro le istituzioni, le regole sociali, i genitori e gli operai più anziani, affossati dalla guerra e incapaci di vivere davvero; il suo scopo principale è usare la fabbrica per guadagnare e spendere i soldi in bevute. Il rifiuto delle convenzioni borghesi si accompagna a un’attrattiva per i nuovi beni di consumo ora accessibili. Sullo schermo la nuova working class è giovane, ribelle, mascolina, a tratti misogina, non ha più il lavoro e il sacrificio come scopi principali nella vita, e vuole in qualche modo evadere dalla monotonia e dal disagio che la attanaglia nelle grigie e cupe città industriali. In Gioventù amore e rabbia (Richardson, 1962), anch’esso tratto da un racconto di Sillitoe, il protagonista è un ragazzo che ha visto il padre morire per una malattia dovuta al duro lavoro in fabbrica, e una delle poche cose che gli sono chiare è che non vuol seguire quella parabola, tanto che finirà in riformatorio. E ancora, il protagonista del film forse più bello del periodo, Io sono un campione (Anderson, 1963, dal romanzo di un altro giovane arrabbiato, David Storey), è un minatore che riesce a firmare un contratto di mille sterline per giocare a rugby, ma questo insperato salto economico non lo aiuterà a risolvere i suoi problemi personali, e si rifugerà in una solitudine e cupezza sempre più profonde.
Il Kitchen Sink
C’è poi un film che nel 1959, insieme a I giovani arrabbiati, ha dato il via al filone del Kitchen Sink. Si tratta di La strada dei quartieri alti di Jack Clayton, dove un giovane impiegato di origine working class proverà a fare il salto sociale mettendo incinta la figlia del padrone. I giovani lavoratori non sono più i lavoratori indefessi che attendono l’aiuto dello stato come nel documentarismo, né dediti al sacrificio per la patria come nei film di propaganda, né vittime della povertà come nei drammi sociali degli anni Quaranta, e neanche i piccoli criminali dei social problem films che portano sullo schermo, attraverso personaggi della working class, problematiche sociali quali la prostituzione e la delinquenza giovanile. Il lavoratore è ora mostrato senza filtri, coi suoi pregi (l’orgoglio di classe, il coraggio, la passione), e i suoi difetti (l’arrivismo, la misoginia, l’insofferenza).
Sapore di miele (Richardson, 1961) rappresenta un’eccezione per vari motivi. La fonte letteraria è un’opera teatrale scritta da una donna, Shelagh Delaney, e la protagonista è un’adolescente, figlia di ragazza madre, che rimane incinta di un marinaio nero e che si fa aiutare da un amico omosessuale. Questo film è l’unico ad avere un’eroina femminile, che cresce sola con la madre e scappa con lei da una casa all’altra per non pagare l’affitto. La sua indipendenza viene punita, come succede a molte donne del Kitchen Sink, con una gravidanza indesiderata. Per la prima volta si assiste all’intrecciarsi della questione working class con la questione di genere e con altri temi che ritroveremo sul grande schermo negli anni Ottanta
Morgan matto da legare (Reisz, 1966) costituisce forse il canto del cigno del movimento. Il protagonista è un giovane di origine proletaria con idee rivoluzionarie, che si è separato dalla moglie aristocratica e che, incapace di accettare la situazione, sconfitto, si rifugia nei sogni e nella follia. Intorno a lui impazza la Swinging London, rutilante città di modelle, fotografi e stilisti, dove non c’è più posto per la classe operaia o per le città industriali del nord. Ma anche questa stagione durerà poco.
Nel 1973 la Gran Bretagna deve far fronte a una nuova crisi economica. La working class, per la prima volta dal dopoguerra, vive una fase di grande smarrimento. Nel paese ci sono nuove tensioni politiche e sociali (le proteste in Ulster, i tumulti razziali di Notting Hill, scioperi di minatori e dimostrazioni operaie). Il cinema, con la fuga dei capitali americani e dei registi autoctoni, subisce una profonda crisi. Bill Douglas e Terence Davies realizzano, a bassissimo budget, due trilogie autobiografiche che narrano la loro infanzia. Sono film che riflettono sul presente narrando un passato popolare, anche di miseria, da cui non è facile scappare. Nel film di Douglas c’è una scena in cui un bambino indigente, orfano di madre, va ad abitare col padre in un villaggio minerario, e dichiara che vuol fare l’artista. La matrigna lo tratta male, dicendogli che deve stare al suo posto, trovare un lavoro che gli sporchi le mani, senza avere strampalate idee sul futuro: «This is your place in life», questo è il tuo posto nella vita, e se sei nato così, rimani così (alla faccia della mobilità sociale!).
L’arrivo di Margaret Thatcher
Nel 1979 viene eletta Margaret Thatcher, che provoca un ricompattamento della classe lavoratrice e degli artisti che la rappresentano sullo schermo, in scena, nei libri. Thatcher chiude le miniere, privatizza le industrie nazionali, taglia i sussidi, ingaggia una feroce lotta contro lavoratori e sindacati, mentre cresce la disoccupazione di massa. A queste riforme si accompagna l’esaltazione dell’impresa individuale: non importa dove sei nato, povero o ricco; se lavori sodo e lo vuoi davvero, puoi diventare chi vuoi. È questo che racconta Stephen Frears in My Beautiful Laundrette: Omar, giovane pakistano, decide di aprire una lavanderia, e per farlo ingaggia a lavorare il suo amico e amante bianco, Johnny, invischiato in un gruppo xenofobo. Il film mette in scena il nuovo arrivismo degli anni Ottanta, sullo sfondo di una Londra devastata dalle riforme thatcheriane. La questione working class si intreccia a tematiche quali lo scontro generazionale, il ruolo della donna, l’omosessualità, il razzismo e la difficile convivenza tra culture diverse, argomenti poi esplorati anche nel successivo Sammy and Rosie vanno a letto, in una sovrapposizione di temi che è uno degli aspetti più interessanti del cinema di questo decennio.
Mike Leigh, dopo Meantime, storia della famiglia Pollock durante la recessione thatcheriana, gira nel 1988 Belle speranze, forse il suo film più politico. La coppia protagonista, working class, antithatcheriana, con idee chiaramente marxiste, riflette sul passato e sul presente, interagendo con altre due coppie, i nuovi ricchi e gli alto-borghesi. Le classi benestanti si rivelano meschine e pacchiane, la working class non emana più quell’orgoglio degli anni Cinquanta, mostrandosi scoraggiata e quasi incredula per come è cambiato il mondo.
Il terzo regista che balza sulla scena internazionale come il più politico della cosiddetta British Renaissance (comoda etichetta che raggruppa le tendenze più disparate di quegli anni, dal realismo sociale allo sperimentalismo) è Ken Loach, il più schierato, il più diretto nel parlare di questioni sociali dell’Inghilterra, che già negli anni Sessanta aveva girato film drammatici sulla working class: Cathy Come Home, su una giovane madre che, diventata una senzatetto, vede portarsi via i figli dai servizi sociali; e Kes, piccolo capolavoro su un ragazzino bullizzato che trova la sua rivalsa nell’addestrare un gheppio. Loach torna alla ribalta negli anni Novanta con due film che sono lo specchio del paese dell’epoca: Riff raff, sui lavoratori di un cantiere edile e i loro problemi legati alla disoccupazione, ai licenziamenti, alle morti bianche, e Piovono pietre, su una famiglia che non può permettersi il vestito per la comunione della figlia. Diversamente dai decenni precedenti Loach inserisce, in un contesto drammatico di disgregazione sociale, elementi di commedia. La situazione è talmente tragica che viene quasi da ridere.
Le commedie sociali
Questa tendenza alla commedia si amplifica ancora di più alla fine degli anni Novanta e nel nuovo secolo: i grandi successi inglesi di questo periodo, infatti, sono le commedie sociali in cui la crisi economica e la condizione della working class e della nuova underclass (lavoratori saltuari, disoccupati, madri single, tutti schiacciati dalle politiche thatcheriane) sono viste con un taglio umoristico e pungente, su tutte Segreti e bugie, una commedia amara su una famiglia disfunzionale e Full Monty, dove alcuni lavoratori dell’acciaio di Sheffield si improvvisano spogliarellisti. Molti dei film che seguiranno sulla working class, oltre a conservare tratti da commedia, hanno in comune il fatto di parlare del presente raccontando il passato, in particolare i famigerati anni Ottanta di Thatcher: Grazie signora Thatcher, su un gruppo di minatori disoccupati che si dedica al campionato nazionale di fiati; Billy Eliot, sul figlio di minatori che diventa un ballerino; This is England (da cui sono poi scaturite tre miniserie televisive), che scandaglia la sottocultura skinhead; Pride, che esplora la collaborazione tra i minatori in sciopero e un gruppo di attivisti omosessuali. E infine Ray & Liz, che rievoca l’infanzia povera e travagliata del regista.
A cavallo del millennio si assiste dunque alla rappresentazione di una working class, e di una underclass, sempre più in difficoltà, che cerca di arrangiarsi in un mondo che è cambiato troppo in fretta. C’è un debole ritorno alla collettività, alla coscienza e alla solidarietà di classe, ma lo sguardo è rivolto specialmente al passato, e tutto ha un sapore molto amaro, nonostante si tratti di commedie. Siamo ben lontani dall’orgoglio di metà secolo, quando il protagonista de La strada dei quartieri alti pronuncia la frase «Sono working class e fiero di esserlo»; nel 1997 un personaggio di Full Monty, a proposito dei lavoratori, dice «Siamo obsoleti. Dinosauri. Il giornale di ieri», che esemplifica in pieno la perdita di rispetto e fiducia in sé stessi, pur mantenendo sempre una tenace voglia di esistere e resistere, arrabattandosi, con ironia, in un mondo progettato per i ricchi.
Filmografia (quasi) essenziale
Documentarismo
1929 Drifters – John Grierson
1932 Industrial Britain – Robert Flaherty
1934 Turn of the tide – Norman Walker
1936 Coal Face – Alberto Cavalcanti
1936 Night mail – Basil Wright
1937 The edge of the world (Ai confini del mondo) – Michael Powell
Drammi, film di propaganda, social problems films
1939 The stars look down (E le stelle stanno a guardare) – Carol Reed
1940 The proud valley – Pet Tennyson
1941 Love on the dole – John Baxter
1942 In which we serve (Eroi del mare) – Noel Coward, David Lean
1943 Millions like us (Due nella tempesta) – Launder/Gilliat
1947 It always rains on Sunday (Piove sempre la domenica) – Robert Hamer
1950 Chance of a Lifetime – Bernard Miles
1950 The Blue Lamp (I giovani uccidono) – Basil Dearden
Free Cinema
1953 O Dreamland – Lindsay Anderson
1956 Momma Don’t Allow – Reisz/Richardson
1956 Together – Lorenza Mazzetti
1957 Every Day Except Christmas – Lindsay Anderson
1959 We Are the Lambeth Boys – Karel Reisz
Kitchen sink e dintorni
1959 Room at the Top (La strada dei quartieri alti) – Jack Clayton
1959 Look back in Anger (I giovani arrabbiati) – Tony Richardson
1959 No Trees in the Street – J. Lee Thompson
1961 Saturday Night, Sunday Morning (Sabato sera, domenica mattina) – Karel Reisz
1961 A Taste of Honey (Sapore di miele) – Tony Richardson
1962 The Loneliness of the Long Distance Runner (Gioventù amore e rabbia) – Tony Richardson
1962 A Kind of Loving (Una maniera d’amare) – John Schlesinger
1963 This Sporting Life (Io sono un campione) – Lindsay Anderson
1963 Billy Liar (Billy il bugiardo) – John Schlesinger
1963 The Servant (Il servo) – Joseph Losey
1963 Sparrows Can’t Sing – Joan Littlewood
1965 Darling – John Schlesinger
1967 Morgan, a Suitable Case for Treatment (Morgan matto da legare) – Karel Reisz
1967 Cathy Come Home – Ken Loach
1969 Kes – Ken Loach
Anni ‘70
1972-78 The Bill Douglas Trilogy
1976-1983 The Terence Davies Trilogy
1976 The Moon over the Alley – Joseph Despins
1976 Pressure – Horace Ové
1977 Above Us the Earth – Karl Francis
1977 Scum – Alan Clarke
British Renaissance e anni ’90
1982 Made in Britain – Alan Clarke
1983 Meantime – Mike Leigh
1984 Which Side Are You on? – Ken Loach
1985 My Beautiful Laundrette – Stephen Frears
1987 Rita, Sue and Bob, Too (Rita Sue e Bob in più) – Alan Clarke
1987 Sammy and Rosie Get Laid (Sammy e Rosie vanno a letto) – Stephen Frears
1988 High Hopes (Belle speranze) – Mike Leigh
1990 Life Is Sweet (Dolce è la vita) – Mike Leigh
1991 Riff-Raff (Meglio perderli che trovarli) – Ken Loach
1993 Raining Stones (Piovono pietre) – Ken Loach
1993 Naked – Mike Leigh
1994 Ladybird Ladybird – Ken Loach
1996 Secrets & Lies (Segreti e bugie) – Mike Leigh
1996 Trainspotting – Danny Boyle
1996 Brassed off (Grazie signora Thatcher) – Mark Herman
1997 Nil by Mouth (Niente per bocca) – Gary Oldman
1997 The Full Monty – Peter Cattaneo
1998 My Name Is Joe – Ken Loach
Il nuovo millennio
2000 Billy Elliot – Stephen Daldry
2001 The Navigators (Paul, Mick e gli altri) – Ken Loach
2006 This Is England – Shane Meadows
2010 Made in Dagenham (We Want Sex) – Nigel Cole
2014 Pride – Matthew Warchus
2016 I, Daniel Blake (Io, Daniel Blake) – Ken Loach
2018 Ray & Liz – Richard Billingham
*Emiliano Dominici, livornese, si occupa da sempre di letteratura e cinema anglosassoni. È insegnante di inglese in un liceo, drammaturgo, regista e scrittore. Dopo i romanzi L’antipatica e Gli anni incerti, nel 2024 uscirà per l’editore effequ il suo nuovo lavoro, Maria Malva.
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