Caso Raimo, quello che non torna
I provvedimenti ministeriali contro Christian Raimo hanno lo scopo di addomesticare il dibattito pubblico, Ma non reggono neanche dal punto di vista giuridico
Il caso Raimo, ampiamente noto e dibattuto, sottende una questione generale fondamentale: cosa possono dire pubblicamente, scrivere e fare i dipendenti pubblici, insegnanti compresi, a fronte di codici di comportamento che sembrano porsi in contrasto con le libertà garantite dalla Costituzione?. In breve: un insegnante può fare il politico?
Le dichiarazioni, i post sui social e i provvedimenti disciplinari
Christian Raimo è un intellettuale, scrittore, politico e non da ultimo docente di storia e filosofia in un liceo del III Municipio di Roma; nello stesso Municipio è stato anche assessore alla Cultura, fino alle dimissioni dello scorso anno; nelle ultime elezioni europee è stato candidato di Alleanza Verdi e Sinistra, senza essere eletto. Figura poliedrica, dunque, molti suoi scritti sono sulla scuola, in particolare sulla sua storia e sulla sua democratizzazione a partire dagli anni Settanta. In un primo provvedimento, del giugno 2024, l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio (Usr) ha comminato a Raimo la sanzione della «censura» per dichiarazioni rese su La7 il 29 marzo 2024 a proposito del picchiare o meno i neonazisti.
Tali dichiarazioni, dice il provvedimento, sono state riconosciute dal medesimo come «provocatorie» e sono state rese «in veste di opinionista e scrittore, senza tuttavia considerare il proprio ruolo di docente, comunque noto agli interlocutori».
La censura è stata comminata anche per un post su Facebook, acquisito agli atti il 12 aprile 2024, in cui, a proposito della notizia di un approfondimento interno dell’Usr in merito alle sue dichiarazioni affermava tra l’altro che «il ministro Valditara mostra quanto rischia di diventare violenta l’autorità, ma diciamo anche il potere, quando non ha né autorevolezza né capacità di ascolto e dialettica… Un ministro dovrebbe difendere tout-court un docente minacciato da gruppi neonazisti invece di avviare un approfondimento interno, e invece finisce proprio per accodarsi agli striscioni intimidatori, e lasciare che gli uffici scolastici regionali vengano usati in modo esattamente contrario alla loro funzione; non prendere parola invece quando davvero la violenza fisica viene esercitata sulla comunità scolastica, come è accaduto a Pisa poco più di un mese fa».
Il 16 aprile del2024, nell’atto di contestazione disciplinare, la «condotta» (non meglio precisata) veniva considerata «di per sé illecito disciplinare» tenuto conto degli articoli 10 e 11-ter Dpr 62/2023 (Codice di comportamento dei dipendenti pubblici), per l’emergere nello specifico di «atti non conformi alle responsabilità, ai doveri e alla correttezza inerente la funzione»; all’esito del procedimento e dell’esercizio dei diritti di difesa, la «condotta» (sempre genericamente richiamata), «benché non caratterizzata da gravità» è stata ritenuta dall’Usr non conforme alla «vigente normativa» (indeterminata) ed è stata quindi comminata la censura.
Il secondo provvedimento
Lo scorso 11 settembre, durante la prima festa nazionale di Alleanza Verdi e Sinistra, a Roma, nel corso del dibattito dal titolo «Proteggiamo la scuola da Valditara», in qualità di «docente e scrittore» Raimo ha attaccato la politica di Valditara con un intervento ascoltabile in rete e in cui ha utilizzato termini come:
Penso che vada fatta da Alleanza Verdi e Sinistra […] una manifestazione contro Valditara, non per la scuola, ma contro Valditara perché ci sono dentro la sua ideologia tutto il peggio, la cialtronaggine, l’incapacità di avere una biografia internazionale, […] e quindi io penso che se è vero che non è lui l’avversario, è vero che è lui il fronte del palco di quel mondo che ci è avverso e quindi vada colpita lì come si colpisce la morte nera in Star Wars.
Il provvedimento disciplinare ricevuto da Raimo richiama un altro post precedente, del 31 agosto, su Facebook, in cui si denuncia «l’uso arbitrario del codice etico da parte dell’istituzione e il codice etico in sé […]» e scrive che «il Ministro Valditara è impresentabile, dovrebbe dimettersi, va contestato in ogni occasione e in ogni modo, perché la sua idea di scuola è lurida e pericolosa».
All’esito del contraddittorio, a Raimo è stata irrogata la sanzione della «sospensione» dal servizio per 3 mesi e in questo periodo concesso un assegno alimentare pari alla metà dello stipendio
A differenza del primo provvedimento, in questo secondo a Raimo viene contestata (sulla base del Codice di condotta dei dipendenti del ministero dell’Istruzione) una violazione grave delle regole di condotta, per le plurime condotte, anche se poste in essere al di fuori delle mansioni e dell’orario di lavoro, nella qualità di «docente e scrittore», con un comportamento in grave contrasto «sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo con gli obblighi sanciti dal codice di comportamento dei pubblici dipendenti, nonché con i doveri specifici inerenti la funzione di docente e con grave pregiudizio alla scuola e all’immagine della pubblica amministrazione».
Le condotte sono state considerate ancora più gravi perché poste in essere da un docente «che dovrebbe rappresentare un modello educativo e di comportamento per i discenti».
Vengono richiamate le «condotte deprecabili» già oggetto di censura e la reiterazione della condotta lesiva del codice etico. Ancora: «nell’utilizzare in più occasioni espressioni offensive e di disprezzo, mai smentite, verso le istituzioni e principalmente l’Amministrazione di appartenenza, diffuse sia attraverso i propri profili social aperti e raggiungibili da tutti, anche dai suoi studenti, sia nel corso di numerosi interventi pubblici, è venuto meno ai doveri e alle correttezza propri e caratteristici della funzione di docente, che si esplica nella responsabilità educativa e didattica di trasmettere non solo conoscenze, ma anche un assetto valoriale, comprendente il rispetto per le Istituzioni, la critica costruttiva e l’uso di un linguaggio appropriato e civile». Le condotte ritenute gravi, tali da incrinare il rapporto di fiducia tra datore di lavoro e lavoratore, la portata oggettiva e soggettiva dei fatti addebitati, la funzione svolta dal professore, le circostanze dei fatti sono alla base della sanzione comminata.
Considerazioni, dubbi, domande
Raimo, docente e politico di sinistra, ha ricevuto due sanzioni disciplinari, una più lieve (censura), una più grave (sospensione), per aver detto pubblicamente e scritto sui social «cose» sul ministro Valditara e sulla sua visione politica di destra, in uno dei due casi citando la sua funzione di docente, che l’Usr ha ritenuto contrarie alle responsabilità, ai doveri e alla correttezza inerente la funzione.
Al netto della tutela giurisdizionale individuale attivabile dall’interessato contro i provvedimenti, la loro lettura sollecita qualche considerazione che dal particolare va al generale.
La prima è l’indeterminatezza delle contestazioni: dai provvedimenti non si capisce cosa, esattamente, si contesta al pubblico dipendente/docente Raimo; cosa, in particolare, nelle dichiarazioni e nei post sui social, sarebbe lesivo degli interessi e dell’immagine dell’amministrazione, Ministero e in generale, se lesive siano state valutate singole parole o espressioni o la «condotta» (tutta?), oppure la «critica» al ministro e alle sue idee, non essendo peraltro esplicitati quali sarebbero gli interessi (dell’amministrazione) lesi e in cosa consiste quell’immagine dell’amministrazione che si assume danneggiata. Inoltre, un ministro pro-tempore, espressione politica di una maggioranza, coincide con l’«amministrazione» (o l’Istituzione) oggetto di tutela dei codici di comportamento? Può una «condotta» essere un «Illecito disciplinare di per sé»?
La seconda è l’indeterminatezza delle motivazioni delle sanzioni: la censura si applica per «mancanze non gravi», la sospensione da uno a sei mesi per una serie di ipotesi, tra cui quando le «infrazioni abbiano carattere di particolare gravità», ma non si ravvisa nei due provvedimenti una motivazione specifica del perché in un caso la condotta (non meglio precisata) sia stata ritenuta grave e nell’altro caso no, salvo la reiterazione dei comportamenti (quali?), che però seppure citata nel secondo provvedimento, non pare l’elemento determinante per fondarne la gravità.
Infine, l’uso improprio dello strumento disciplinare che presuppone l’esercizio di un potere gerarchico nei confronti dell’interessato esercitato dal Ministero, seppure indirettamente, tramite l’Usr che è un’articolazione territoriale del Ministero, se non dallo stesso contro-interessato, cioè dal ministro Valditara, con garanzie di contraddittorio di gran lunga inferior, almeno nel procedimento, a quelle garantite in un processo penale (attivabile per esempio con una querela per diffamazione).
Il caso Raimo pare un caso ad personam, più per la politica che per il diritto, sebbene il suo impatto giuridico potrebbe essere rilevante, perché «testa» l’ampiezza di discrezionalità esercitabile dalla pubblica amministrazione, compreso il Ministero, nell’uso dei codici di comportamento per «addomesticare» dipendenti pubblici non allineati alle posizioni governative, quindi per finalità di repressione della critica e del dissenso politico. Nell’attuale contesto di progressiva erosione degli spazi di agibilità politica del dissenso (vedi Ddl sicurezza) e rinnovata tensione tra politica e diritto (vedi caso Albania), massima attenzione va posta al tema della torsione autoritaria del sistema consentita dalla legge, rispetto alla quale vanno attivati in ogni sede, giurisdizionale e politica, gli anticorpi costituzionali, in primis la libertà di parola e il diritto di elettorato attivo e passivo previsti dagli articoli 21 e 48-51 della Costituzione.
Ciò a prescindere se si condivida o meno il linguaggio usato da Raimo, certamente forte, iperbolico, che pare competere (intenzionalmente?) con gli slogan di esponenti politici e di governo, in dialogo con la pancia più che con la testa dei cittadini. Può piacere o meno, a chi scrive non piace, ma se non piace non vuol dire che sia un illecito sanzionabile, ed è un precedente pericoloso.
In tale prospettiva, il vero nemico dovrebbe essere (al minimo) l’art. 11-ter del Dpr 62/2023, sull’uso dei social da parte dei pubblici dipendenti (e norme analoghe nei codici settoriali), come detto introdotto nel 2023, una vera mina sulla libertà di critica e di azione politica, posto che l’attuale agone postula necessariamente la visibilità sui social, come dimostrano abbondantemente le classi politiche mondiali. Altrimenti, per parità di trattamento, servirebbe anche un codice di comportamento per tutti i titolari di cariche politiche nonché tutti i rappresentanti politici eletti, i candidati in elezioni politiche e i gruppi dirigenti dei partiti politici: se ne vedrebbero delle belle.
In tutto questo, dispiace constatare che la scuola pubblica, o quel che ne rimane da oltre vent’anni di definanziamento, e i suoi problemi vecchi e nuovi (edifici cadenti, brutti e respingenti, precariato, malessere di ragazze e ragazzi e di docenti, finta autonomia, iper-burocratizzazione, stipendi inadeguati, ecc.), cioè il terreno su cui si sono mosse le critiche, continuino a restare sottotraccia nel dibattito politico, assorbito dai personalismi che non aiutano a migliorare lo stato delle cose, anzi.
*Rita Coco è avvocata, dipendente pubblica e attivista per la scuola
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