A che prezzo la sorveglianza digitale ci salva dal virus?
C’è ampio consenso sull'uso della tecnologia contro il contagio, ma i modi con cui i governi usano gli smartphone per controllare i comportamenti sono inquietanti. È l'occasione di discutere un sistema che preesiste alla pandemia
Le crisi hanno una qualità illuminante. Fanno luce sulle relazioni con gli altri e con la comunità, con i nostri datori di lavoro e i politici che abbiamo eletto – e anche con la tecnologia. Da quando il Covid-19 ci ha chiusi in casa abbiamo risposto facendo un uso ancora più massiccio dei nostri device digitali.
Mentre il Coronavirus iniziava a prendere piede in Cina, a febbraio, le persone hanno scaricato 222 milioni di app sui loro telefoni. Quando le scuole pubbliche di Cambridge, Massachussets, hanno chiuso le porte a metà marzo, gli studenti sono stati mandati a casa con dei Chromebooks per le lezioni a distanza. Mentre il virus continua a diffondersi in quasi ogni continente, miliardi di persone stanno ricevendo informazioni, aggiornamenti, e direttive dai loro computer portatili. In un meccanismo perverso, il Coronavirus sta sottolineando come le connessioni digitali siano parte integrante della vita moderna.
Nel rivelare la profondità delle nostre connessioni digitali, tuttavia, la crisi attuale sta anche sottolineando le crescenti ambivalenze della nostra società smart. Siamo felici di usare i social media con gli amici mentre resistiamo e siamo desiderosi di stare al passo con le news. Ma non siamo altrettanto felici di come i nostri telefoni siano stati velocemente riadattati dai nostri governi per tracciare i nostri movimenti e sorvegliarci per combattere il virus.
La Casa Bianca, in partnership con il Centers for Desease Control (Cdc), ha iniziato a tracciare gli smartphone degli americani per vedere dove vanno durante l’epidemia. Recentemente, quando gli analisti dei dati hanno notato che un gran numero di persone si stava radunando al Prospect Park di Brooklyn, hanno allertato le autorità. Il governo britannico ha mandato un sms a tutta la nazione per ricordare ai cittadini di stare a casa, e nella Columbia Britannica il Ministero della Salute ha creato una nuova app per fornire strumenti di auto-diagnostica e guide su come lavarsi le mani. Il presidente brasiliano Jair Bolsonaro ha sminuito la gravità del Covid-19, ma i residenti delle favelas hanno ricevuto messaggi WhatsApp dai boss della mala locale che li avvisavano di stare in casa.
Altre nazioni hanno adottato misure più intrusive. Israele ha sfruttato i propri servizi segreti per registrare i movimenti di tutti quelli che sono risultati positivi al Coronavirus. La Polonia sta usando gli smartphone per far imporre l’auto-quarantena – obbligando coloro che sono isolati in casa a mandare un selfie dalla propria abitazione entro venti minuti dalla ricezione di una richiesta ufficiale da parte dei funzionari governativi, al rischio di vedersi bussare alla porta dalla polizia. In Corea del Sud, le informazioni private degli individui affetti da Coronavirus sono state rese pubbliche, così che le persone potessero controllare se erano state o meno in loro prossimità.
Nella corsa a usare gli smartphone nella lotta al Coronavirus, i governi hanno stretto partnership con le aziende tecnologiche. Il gigante dell’e-commerce Alibaba ha sviluppato un sistema di tracciatura su misura per il governo cinese, chiamato Alipay Health Code, che è stato implementato in tutto il paese. Le persone in Cina si sono registrate usando Alipay, un sistema di pagamento digitale molto popolare, e ai loro smartphone è stato assegnato un codice colore in base al loro stato di salute (verde, giallo o rosso) che determina dove possono andare, incluso il permesso a usare trasporti pubblici, entrare nei negozi o andare a lavoro.
Le aziende tecnologiche statunitensi, incluse Google, Facebook e Amazon, l’azienda di estrazione dati Palantir, e Clearview AI, un’azienda molto controversa di riconoscimento facciale, stanno lavorando insieme alla Casa Bianca, al Cdc, e al National Institutes of Health per fare un modello dell’epidemia e sviluppare un modo per monitorare le persone che sono risultate positive al Covid-19. Apple e Google hanno anche proibito le applicazioni sul Coronavirus nei loro store online, cancellando tutte le applicazioni informative tranne quelle sviluppate da organizzazioni della sanità riconosciute o agenzie governative.
C’è un ampio consenso sul fatto che i governi dovrebbero usare tutte le risorse che hanno a disposizione, digitali o di altra natura, per contrastare una malattia che ha già infettato circa due milioni di persone in tutto il mondo, e la maggior parte delle cose che si stanno facendo sul fronte digitale sono sensate. Ma alcuni dei modi con cui governi e compagnie stanno utilizzando i nostri smartphone e altri tipi di sorveglianza per tracciare e controllare il comportamento individuale solleva delle inquietanti domande sui compromessi in gioco nell’attuale crisi. Come ha detto l’esperto di etica tecnologica David Ryan Polgar a Mic, «I nostri sforzi per tracciare le persone con il Covid-19 cozzano con questioni molto delicate che riguardano la privacy».
La richiesta di selfie in Polonia fa partire una notifica alla polizia dopo soli venti minuti da una mancata risposta. E se stavi facendo un pisolino e non hai visto il richiamo? Gli ufficiali iraniani hanno rilasciato un’app sul Coronavirus che prometteva agli utenti di sapere se era probabile che avessero contratto il virus, ma ha cominciato invece a tracciare i dettagli della geolocalizzazione in tempo reale degli utenti. In Cina, agli utenti è stato assegnato un codice colore che determina se possono lasciare la loro abitazione ma non gli è stato detto perché il loro codice era rosso o verde o come potevano cambiare il loro status. Quando le autorità della Corea del Sud hanno reso pubblici i movimenti degli individui infetti da Coronavirus hanno causato umiliazioni pubbliche e minacce.
Negli Stati uniti, le aziende tecnologiche stanno aiutando il governo a sviluppare un modello e a tracciare il virus, ma alcune di queste aziende hanno un curriculum pessimo in fatto di privacy. Palantir è stata fondata dalla Cia, e secondo un’intervista di Sam Biddle a Intercept «ha aiutato a espandere e accelerare il network di spionaggio globale della Nsa». Alcune indiscrezioni sulle pratiche aziendali di Clearview AI – una riservata startup per il riconoscimento facciale che conta centinaia di forze dell’ordine tra i suoi clienti – hanno causato allarme e portato molti scienziati informatici a chiedere di bandire la pratica del riconoscimento facciale.
In questa crisi la privacy viene sacrificata in nome di un bene più grande. Ma è uno scambio che conviene? Alcuni rispondono con un netto «sì», per la semplice ragione che la sorveglianza digitale è stata un fattore strategico per quelle nazioni che sembrano essere riuscite a gestire meglio il virus. Wolfie Christl, attivista per la privacy e ricercatore, ha detto al Wall Street Journal che «alla luce del disastro previsto, in alcuni casi potrebbe essere appropriato usare sistemi di analisi integrata basati sui dati dei consumatori, anche se i dati sono stati raccolti segretamente o illegalmente dalle aziende».
Ma dopo la crisi? Gli esperti di etica dei dati e gli avvocati per i diritti digitali sono preoccupati che le misure di invasione della privacy messe in campo per aiutare a contenere l’epidemia rimarranno in vigore anche dopo che la minaccia del Coronavirus sarà passata.
Yuval Noah Harari ha scritto sul Financial Times che non possiamo dare per scontato che misure temporanee, come la sorveglianza biometrica, spariranno a emergenza finita. «Le misure temporanee», sostiene, «hanno la fastidiosa abitudine di sopravvivere alle emergenze, specialmente se c’è sempre una nuova emergenza all’orizzonte». Adam Schwartz, un avvocato senior della Electronic Frontier Foundation, ha fatto eco a questa paura in un’intervista al Wall Street Journal: «Capiamo che, dato che siamo in una crisi, alcune limitazioni temporanee alle nostre libertà digitali possano essere necessarie, tuttavia è molto importante che questi adeguamenti siano temporanei». Amnesty International ha recentemente rilasciato un comunicato insieme a oltre cento gruppi della società civile avvisando i governi di non usare la pandemia «come una copertura per inaugurare un’era in cui i sistemi di sorveglianza digitale siano enormemente aumentati».
La paura che la sorveglianza su misura sviluppata per combattere il Coronavirus possa rimanere anche dopo è una paura legittima. Dovremmo tenere d’occhio quali misure di sorveglianza, sia volontarie che involontarie, vengono adottate durante la crisi, così che quando il fumo si diraderà, potremo fare una stima di quanto la nostra privacy sia stata alterata.
Ma è anche importante non sopravvalutare la differenza tra «adesso» e «prima». Per avere un’idea accurata del mutevole panorama della privacy, è importante riconoscere che sia le cose positive che quelle negative che provengono dai nostri smartphone durante questa crisi sono possibili solo perché abbiamo sviluppato un rapporto profondo e complesso con la tecnologia digitale – un rapporto fondato sulla sorveglianza.
Gli hardware e i software che rendono i nostri telefoni così indispensabili ci stanno già tracciando ventiquattrore al giorno ogni giorno. Per esempio, le app sul Coronavirus che usano la geolocalizzazione per capire se un individuo sta rispettando il distanziamento sociale o sta all’interno della zona di quarantena sono possibili solo perché i nostri telefoni sono pensati per fornire precisi dati di geolocalizzazione – dati che compagnie come Google raccolgono e immagazzinano da sempre.
Se ti porti in giro il telefono Google sa sempre dove ti trovi in qualunque momento. Ti basterà aprire la app Maps, e Google prenderà nota di dove ti trovavi quando l’hai aperta. Tutte le volte che fai una ricerca non vengono solo immagazzinati i contenuti della tua ricerca ma anche dove ti trovavi quando l’hai fatta. I ricercatori di Princeton hanno confermato che, addirittura, anche se hai impostato gli strumenti sulla privacy di Google sia su Android che sull’iPhone chiedendogli di non tracciare la tua posizione, Google lo fa lo stesso.
Oltre a ciò, la costellazione di norme e comportamenti che facilitano la pronta volontà di farsi un selfie per il riconoscimento facciale o di usare una app per tracciare e segnalare potenziali sintomi di malattia sono state sviluppate molto prima del Coronavirus. Usiamo FaceID per sbloccare i nostri telefoni, postiamo selfie su Instagram, e veniamo taggati su Facebook usando le capacità del gigante dei social media di condurre un riconoscimento facciale all’avanguardia. Ci auto monitoriamo con applicazioni che tracciano il ciclo o il sonno, che ci aiutano a meditare o a calcolare il nostro bioritmo.
Nella crisi governi e aziende stanno facendo affidamento su queste abitudini e aspettative, adattando le relazioni già esistenti con i nostri smartphone al fine di contenere la diffusione dell’epidemia. La facilità con cui questi comportamenti e abitudini sono stati riproposti rende evidente quanto siano radicati da quando gli smartphone sono diffusi ovunque nell’ultimo decennio.
Questa facilità dovrebbe indurci a una pausa. Lo storico del diciannovesimo secolo Charles Francis Adams Jr ha scritto, a proposito della nuova e onnipresente rete ferroviaria: «Qualsiasi cosa entri a far parte della quotidianità presto comincia a passare inosservata». Questa crisi ci sta imponendo di fermarci e osservare la nostra relazione con i device digitali. Sta sottolineando come, quando prendiamo in mano i nostri smartphones, le cose che clicchiamo e scorriamo coinvolgono un sistema che non è fatto solo di hardware e software, ma di qualcosa di molto più grande – un insieme di istituzioni, relazioni e reti che definisce la società moderna.
Il Coronavirus è stato uno shock di sistema, esponendo le divisioni e le fragilità che si celano sotto la superficie della società. Quando tutto questo sarà passato una resa dei conti sarà inevitabile; saranno necessarie rivendicazioni per risolvere queste debolezze. Dovremmo essere saggi e includere anche richieste sulla privacy. Un dibattito approfondito sulla sorveglianza, e sui compromessi tra salute pubblica e privacy, è necessario da tempo.
*Nicole Aschoff fa parte del comitato editoriale di Jacobin. È autrice di The Smartphone Society: Technology, Power, and Resistance in the New Gilded Age and The New Prophets of Capital.
Questo articolo è uscito su Jacobinmag.com. La traduzione è di Gaia Benzi.
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