Costruire il socialismo dal basso
In che modo possiamo lottare allo stesso tempo per il potere statale e quello popolare? Le opere di Nicos Poulantzas propongono alcune soluzioni
Il capitalismo continua a creare socialisti, nonostante l’enorme sforzo. Quando le persone sono soggiogate, tendono a resistere: creano reti di solidarietà e trovano forza nell’azione collettiva. Iniziano ad immaginare un mondo organizzato in maniera diversa, in cui la ricchezza che producono insieme è detenuta collettivamente invece che accumulata da pochi.
Per questo non è possibile estirpare il socialismo: perché non riguarda soltanto una serie di idee su come interpretare e cambiare il mondo ma ha che fare con una tendenza prodotta dal sistema che si intende rimpiazzare. Quando Marx e Engels definirono il comunismo uno spettro, essi catturarono esattamente questa qualità immortale. Il socialismo è il fantasma insito nella macchina che tormenta il capitale ogni qualvolta esso mette in moto le sue dinamiche.
Sebbene il socialismo non possa essere cancellato, esso può tuttavia essere soppresso. Pochi paesi l’hanno fatto con più efficacia degli Stati uniti all’inizio del ventunesimo secolo. Il socialismo statunitense, mai così forte quanto le sue controparti in altre parti del mondo, è stato pressoché invisibile dalla fine degli anni Novanta. I suoi tradizionali punti di forza – il movimento dei lavoratori e le lotte per la liberazione dei neri, per richiamare i due più importanti – sono stati erosi dalla ristrutturazione economica e dalla repressione statale. Il collasso dei regimi comunisti ha ispirato “in casa” il motivo trionfalista del capitalismo.
La politica degli Stati uniti, finalmente al riparo dalla lunga ombra dell’Ottobre del 1917, è diventata una contesa tra differenti correnti del neoliberismo – ora acclamato come la più alta, e finale, forma di civilizzazione. I lavoratori statunitensi non erano in condizione di organizzare una lotta: deindustrializzazione, incarcerazioni di massa, l’attacco allo stato sociale, e la guerra ai sindacati li ha lasciati disorganizzati e senza forza.
Ma il capitale non si può aiutare da solo. Prima o poi evoca il suo fantasma. Nel 2008, la crisi finanziaria ha aperto uno squarcio nel consenso neoliberista, offrendo una dolorosa lezione sui fallimenti del capitalismo. La decade successiva è quella nella quale si sono susseguiti Occupy, Black Lives Matters, e la campagna di Bernie Sanders. Più recentemente, un’ondata di scioperi degli insegnanti e le azioni contro Ice hanno inquietato lo status quo.
È chiaro che siamo nel bel mezzo di un momento di crescente militanza e mobilitazione. Una nuova sinistra negli Stati uniti – più radicale, più combattiva – sta prendendo forma. Non si tratta di una sinistra monolitica: esistono differenti correnti, e la relazione tra di loro è complessa. In ogni caso, sempre più spesso, il socialismo agisce come un ombrello sotto cui queste differenti correnti si organizzano. Sondaggio dopo sondaggio è confermato che questo termine cresce in popolarità tra i millennials. Organizzazioni socialiste come i Democratici Socialisti d’America (Dsa) hanno visto un’impennata nelle adesioni, e i candidati sostenuti dai DSA come Alexandria Ocasio-Cortez hanno vinto le elezioni contro ogni previsione.
Nel frattempo, il fatto che Bernie Sanders sia attualmente il politico più popolare del paese suggerisce che un programma socialdemocratico, combinato a un’analisi di classe che accusa i miliardari per le sofferenze dei lavoratori, gode di un vasto consenso.
Per la prima volta da decenni, il socialismo è più che una sottocultura. Il declino del centro dello schieramento politico, esemplificato e aggravato dall’elezione di Trump, ha amplificato voci che prima erano considerate marginali. In un periodo in cui le classi dominanti non sembrano disposte o capaci di affrontare la lunga crisi della classe lavoratrice – un lascito non solo della Grande Recessione ma anche del rallentamento della crescita e della produttività a partire dagli anni Settanta – il socialismo ha incontrato il favore del pubblico.
Tuttavia è importante mettere le questioni in prospettiva. Il socialismo è oggi più che una sottocultura ma manca ancora di una base di massa. Il Dsa, la più grande organizzazione socialista del paese, è cresciuta rapidamente negli ultimi due anni con un aumento di circa 50.000 membri. Ma restano ordini di grandezza inferiori ai gruppi di destra come Americans for Prosperity e National Rifle Association, che contano milioni di membri. E se il collasso del centrismo ha fatto largo al socialismo, ha anche lasciato spazio ad un altro fantasma del capitalismo: il fascismo. Infatti, l’estrema destra è stata il maggior beneficiario del declino di legittimazione della classe dominante, non solo negli Stati uniti ma in tutto l’Occidente.
Situazioni Eccezionali
Come dovrebbero rispondere I socialisti? È una domanda difficile. Ma porla, e dibattere delle possibili risposte, è essenziali. La storia anti-intellettualista della sinistra statunitense, il suo impulso al fare qualcosa, qualsiasi cosa, è stata tra le sue maggiori debolezze. Quel che serve non è l’azione ma la teoria, analisi, strategia, tattica. Dobbiamo provare a vedere la nostra situazione il più chiaramente possibile, in modo da fare scelte intelligenti sul come governare gli ostacoli e le opportunità che presenta.
Farlo è sempre difficili, perché il momento storico si presenta sempre come nuovo. Come ha detto Louis Althusser, ci troviamo sempre in «situazioni eccezionali». La teoria marxista è indispensabile per analizzarle, ma solo se presta attenzione a ciò che le rende eccezionali. Niente è meno marxista del forzare una realtà sociale complessa e fluida in uno schema semplice e statico. Il marxismo è prima di tutto una teoria del cambiamento ed è in questo senso che deve essere adattata ai cambiamenti che intende descrivere. Poiché le sue basi sono costantemente incomplete, necessitano di correzioni permanenti. La sfida è di rimanere fedeli alle intuizioni di fondo mentre vengono estese per adattarle a situazioni nuove.
Osservando la situazione attuale le intuizioni di Nicos Poulantzas sono particolarmente utili. Sociologo greco che insegnò in Francia tra il 1968 e il 1979, anno in cui si suicidò, Poulantzas scrisse di classi, fascismo e stato. Ma il lavoro che maggiormente incide sulla questione della strategia socialista negli Stati uniti oggi è “Towards a Democratic Socialism,” un saggio eccezionale pubblicato un anno prima della sua scomparsa.
Il contesto storico del saggio è l’emergere dell’Eurocomunismo, la tendenza tra i partiti comunisti dell’Europa Occidentale – Italia, Spagna e Francia- che prendevano le distanze dall’Unione Sovietica, per esprimere una più profonda fedeltà alla democrazia rappresentativa, e per avvicinarsi ai nascenti movimenti sociali come il femminismo, l’ecologia e la liberazione degli omosessuali. L’Eurocomunismo può apparire come un lontano artefatto della storia socialista, ma i dibattiti che l’hanno ispirato rimangono attuali. Come devono pensare lo stato i socialisti? Qual è il ruolo della democrazia rappresentativa? Dove si inseriscono i movimenti sociali?
Poulantzas sostenne la svolta dell’Eurocomunismo, ma si posizionò alla sua sinistra. Critico dell’autoritarismo sovietico, sosteneva che i socialisti abbracciassero le istituzioni rappresentative/democratiche e le libertà politiche che essa incarna. Solo che non bisognava fermarsi a questo: Poulantzas insisteva sulla necessità di un modello più radicale capace al tempo stesso di scongiurare l’incubo dello stalinismo e di evitare le insidie della socialdemocrazia.
Poulantzas presentò un duplice approccio. La costruzione del socialismo avrebbe richiesto una battaglia dentro lo stato e una fuori. La prima avrebbe avuto a che fare con la trasformazione dello stato spostando i rapporti di forza tra le classi al suo interno, non soltanto occupando le sue istituzioni rappresentative, ma alterandole radicalmente. La seconda avrebbe comportato la creazione di un’altra forma di potere – il potere popolare – riunendo nuove istituzioni caratterizzate da democrazia diretta e autorganizzazione della base.
I due processi devono essere portati avanti insieme – sostiene Poulantzas – pena il collasso il del progetto socialista. Lavorare esclusivamente dentro la democrazia rappresentativa nelle sue forme esistenti lascia i socialisti senza la capacità di raggiungere quella trasformazione necessaria a rompere il potere del capitale e costruire un nuovo ordine sociale: è il il destino di molti partiti socialdemocratici. Allo stesso tempo, affidarsi esclusivamente alla democrazia diretta eliminando quella rappresentativa – come ha fatto Lenin dopo la Rivoluzione d’Ottobre – presenta gravi pericoli. Ha spalancato le porte all’autoritarismo, come Rosa Luxemburg aveva profeticamente messo in guardia nel 1918.
La democrazia diretta sta alla base del pluralismo e delle libertà necessarie a far funzionare il pluralismo. Le istituzioni rappresentative offrono un quadro affinché più partiti politici presentino alternative politiche, e competano per un mandato democratico sulla base della capacità del popolo di scegliere liberamente tra queste. Poulantzas credeva che senza queste istituzioni, la democrazia diretta sarebbe degenerata nel dispotismo. Questo è ciò che accadde in Russia: un solo partito ha dominato i soviet, e si è alla fine sostituito ad essi.
Fare affidamento solo sulla democrazia rappresentativa conduce a un vicolo cieco che assume la forma della socialdemocratizzazione, mentre il ricorso esclusivo alla democrazia diretta conduce a un altro vicolo cieco nella forma della dittatura burocratica. Sono risultati molto differenti, ma condividono uno stesso tema. Nelle parole di Poulantzas, entrambe sono “caratterizate da statismo e una profonda sfiducia nelle iniziative di massa”. Entrambi conducono all’imposizione di una élite che parla per le masse – che siano i politici socialdemocratici o gli apparati dei Soviet- mentre eliminano la possibilità per le masse di una significativa possibilità di autogovernarsi. Da qui l’importanza di sviluppare un potere statale e popolare allo stesso tempo. Una loro combinazione, credeva Poulantzas, avrebbe impedito un’altra deriva e sprigionato il loro potenziale democratico.
Il saggio di Poulantzas è una profonda riflessione per imparare dagli errori fatti dai socialisti nel ventesimo secolo, e per proporre una migliore soluzione. Ma propone qualcosa di più specifico: un percorso per fare avanzare la forma di socialismo che meglio si adatta alla nostra specifica situazione.
*Ben Tarnoff è direttore e fondatore di Logic.
Questo testo è comparso su www.jacobinmag.com, qui la versione originale dell’articolo. La traduzione è di Marta Fana.
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