Il Cile tra il pinochetismo e il cambio
Dopo il primo turno delle presidenziali, nel paese sudamericano che in questi anni è stato scosso dai movimenti è tornata maggioritaria una destra autoritaria e anti-comunista
Il prossimo presidente del Cile sarà eletto al ballottaggio del 19 dicembre. Ad affrontarsi saranno José Antonio Kast del partito di estrema destra Partido Republicano de Chile, che si è imposto con quasi il 28% dei voti e Gabriel Boric, il giovane candidato di Apruebo Dignidad, una coalizione che include il Partido Comunista, che lo segue con il 25,9%. È questo il principale risultato della prima tornata elettorale, che si è tenuta domenica 21 novembre, dove oltre alle presidenziali si è votato anche per il rinnovo totale della Camera dei Deputati e della metà del Senato. Una giornata che ha confermato alcuni scenari ampiamente previsti e, al tempo stesso, presentato alcune sorprese.
Il ballottaggio tra i due candidati era dato quasi per scontato. Il sistema elettorale cileno, infatti, impone la maggioranza assoluta dei voti per essere eletto presidente al primo turno (50%+ un voto), una meta impossibile nel contesto attuale, marcato da una forte frammentazione politica e dall’assenza di un candidato nettamente favorito. Non stupisce nemmeno la scarsa partecipazione al voto, una caratteristica strutturale del Cile post dittatura. In questa occasione ha votato meno del 48% degli aventi diritto, un tasso di astensionismo altissimo che marca, ancora una volta, una forte diffidenza nei confronti del sistema politico in generale.
È necessario dare uno sguardo più profondo all’astensionismo per comprenderne il carattere territoriale e regionale. Per questo, si propone qui di seguito un’analisi infra-urbana della distribuzione del voto, specialmente a Santiago, che raccoglie quasi la metà di tutto l’elettorato cileno.
Nella capitale, i dati del primo turno delle elezioni sembrano confermare una tendenza geografica differenziata tra i quartieri popolari e quelli dove risiede l’élite economica e politica del paese. I bastioni popolari della resistenza contro la dittatura di Pinochet come La Pintana, Lo Espejo e Cerro Navia non vanno oltre il 42% di affluenza alle urne, segno della diffidenza nei confronti dei meccanismi elettorali e istituzionali. In questo senso, i pobladores (gli abitanti dei quartieri marginali) da sempre optano per un astensionismo attivo e una mobilitazione permanente. I quartieri residenziali dell’alta società cilena confermano livelli elevati di partecipazione elettorale: Vitacura (69,01%), Lo Barnechea (65,33%) o Las Condes (63,27%).
I popoli indigeni, soprattutto le comunità mapuche, da sempre disertano le urne. Una dimostrazione che dalla conflittualità urbana e socio-territoriale in tutto il Paese non è emersa una figura credibile e spendibile in termini elettorali. Infatti, nonostante le numerose mobilitazioni degli ultimi anni non si sono tradotte in voti al centrosinistra, segnale della scarsa aspettativa nei confronti di un cambiamento all’interno di una logica istituzionale.
Per questo la sinistra radicale da tempo ha intrapreso un cammino extraparlamentare, inclinandosi maggiormente verso l’autonomia e l’azione politica diretta.
Un divorzio tra la politica e la società civile dimostrato anche dal fatto che, per la prima volta dalla fine della dittatura militare nel 1990, nessuno dei partiti tradizionali ha saputo mandare il proprio candidato al ballottaggio. Yasna Provoste, la candidata de la Concertación, la coalizione dei partiti socialdemocratici e democristiani che ha governato ininterrottamente il paese a partire dalla transizione democratica (1989) fino al 2010, e Sebastián Sichel, l’esponente delle settore della destra a cui appartiene il presidente uscente Sebastián Piñera, si sono fermati rispettivamente al quinto e quarto posto con meno del 13% ciascuno.
La grande sorpresa del primo turno è il candidato del Partido De La Gente, Franco Parisi che, con un discorso contro la partitocrazia, si è piazzato al terzo posto con il 13% delle preferenze. Un risultato che stupisce se si considera che Parisi risiede da tempo negli Stati uniti e ha condotto la propria campagna elettorale fuori dal paese, principalmente mediante blog, video online e sondaggi virtuali con i propri sostenitori. La cospicua percentuale di voti ottenuta ha trasformato il Partido De La Gente nell’ago della bilancia. Parisi ha annunciato che promuoverà una consultazione online per chiedere ai propri elettori chi appoggiare in vista del ballottagio, anche se i punti in comune con il programma di destra di Kast sono evidenti, soprattutto nelle questioni riguardanti l’immigrazione e la sicurezza.
Il trentacinquenne Gabriel Boric ha ottenuto il secondo posto in ordine di preferenze. In caso di vittoria al secondo turno, sarebbe il presidente più giovane della storia repubblicana cilena. Rappresentante di lungo corso del movimento studentesco cileno che, dal 2011, contrasta il sistema neoliberale e in particolare la privatizzazione del sistema scolastico e universitario, è entrato in politica insieme ad altre figure quali Camila Vallejo, Karol Cariola (entrambe del Partido Comunista, PcCh) e Giorgio Jackson (Revolución Democrática), con il compito di rinnovare la politica cilena e rilanciare l’agenda della gioventù, sfidando la partitocrazia tradizionale e aprendo un canale di comunicazione con la società civile.
Di tutt’altro segno e colore politico la storia dell’avversario, José Antonio Kast. Avvocato e politico di origine tedesca (suo padre fu membro della Wehrmacht ed arrivò in Cile nel 1950), è da decenni una delle figure chiave dell’estrema destra post-Pinochet. Studiò giurisprudenza presso la Pontificia Universidad Católica de Chile, che in quegli anni era la culla del neoliberismo sotto la guida dei Chicago Boys e alma mater dell’avvocato costituzionalista Jaime Guzmán, l’architetto della Costituzione del 1980, duramente contestata per il suo carattere neoliberale e autoritario. Fu proprio Guzmán a convincere José Antonio Kast, allora giovane avvocato, a «scendere in campo» ed entrare nell’Udi (Unión Demócrata Independiente), il partito di estrema destra fondato negli anni Ottanta per guidare la transizione post-Pinochet. Nel plebiscito del 1988, Kast partecipò attivamente alla campagna per il «Sí», ovvero a favore della permanenza di Pinochet al potere. Ha inoltre sempre difeso e rivendicato la dittatura.
Nel corso della sua carriera politica, Kast, sostenitore dichiarato di Fujimori e Bolsonaro, è stato accusato di posizioni omofobe e razziste, in particolare nei confronti del popolo mapuche. Al fine di partecipare a questa sfida elettorale, ha fondato un partito ex novo (il Partido Republicano) nell’agosto del 2021 chiudendo, in questo modo, la sua appartenenza all’Udi.
La somma dei voti delle differenti espressioni della destra (Kast, Parisi e Sichel) supera ampiamente la maggioranza dei voti espressi. Una crescita vertiginosa che la destra ha sperimentato nel corso degli ultimi mesi. In occasione delle primarie della coalizione di destra dello scorso luglio, infatti, né Kast né Parisi avevano partecipato. Le primarie avevano sancito la vittoria del conservatore Sebastián Sichel, il candidato più vicino al presidente Piñera. Col passare del tempo però, a causa anche degli scandali giudiziari che hanno coinvolto il presidente uscente, la figura di Sichel ha perso terreno e Kast si è presentato come un argine a un possibile cambio radicale del sistema economico e politico degli ultimi trent’anni. Il costante richiamo all’ordine ha fatto breccia in una fetta significativa della società, composta non solo dall’élite, spaventata dalla rivolta sociale iniziata nel 2019 e scettica nei confronti della necessità di una nuova Costituzione.
Non è certo la prima volta che la destra utilizza politicamente il sentimento di paura proponendo soluzioni autoritarie. La pandemia del Coronavirus non ha fatto altro che aggravare tensioni già esistenti, aumentando la disoccupazione, le diseguaglianze e la povertà. Una buona parte dei voti di Kast e Parisi, infatti, provengono dalla zona dell’estremo nord del paese, una zona di frontiera con una forte presenza di migranti, provenienti principalmente dal Venezuela, da Haiti, dalla Colombia, ma anche dalla Bolivia e dal Perù, accusati di sottrarre posti di lavoro alla popolazione locale. Nella città portuale di Iquique, vicino al confine con il Perù, si sono registrati nel corso dell’anno gravi episodi di violenza razzista e xenofoba.
Un contesto ideale per il discorso della destra, molto simile alla dottrina del «nemico interno», che ha trovato terreno fertile anche all’estremo opposto del paese, nella zona della Patagonia cilena, dove le comunità indigene mapuche portano avanti da decenni una rivendicazione per recuperare i territori ancestrali occupati principalmente dalle grandi industrie del legname e dei prodotti ittici.
Dal nord al sud, il desiderio di ordine e sicurezza ha risuscitato antiche formule anticomuniste, usate ai tempi della dittatura di Pinochet (1973-1989), quando si parlava della necessità di estirpare «il cancro marxista». Sorge quasi spontaneo il parallelismo tra l’ascesa della nuova destra radicale con il golpe di Pinochet per arginare una situazione di caos, segno che buona parte dell’elettorato non rinnega il periodo della dittatura.
I risultati elettorali dimostrano, inoltre, un’impressionante capacità di mobilitazione elettorale della destra intorno ai propri candidati. Lo stesso certamente non si può dire per la sinistra, che non è stata in grado di aumentare il proprio bacino di voti. Questo perché Boric, pur essendo il primo candidato a sinistra dei socialisti a giocarsi seriamente la presidenza nella storia cilena, non è stato del tutto in grado di rappresentare le rivendicazioni e i desideri di cambiamento della moltitudine protagonista delle enormi manifestazioni che hanno avuto come epicentro Plaza Dignidad. Lo stesso Boric è stato, infatti, criticato da alcuni per aver contribuito al dialogo politico e istituzionale che ha portato alla Convenzione Costituente, con il risultato di arginare la radicalizzazione della protesta.
Un dialogo che ha portato alla conformazione dell’Assemblea Costituente e all’elezione dei suoi rappresentanti, principalmente esponenti della società civile. Sembrava dunque l’inizio di una transizione verso una nuova democrazia rappresentativa diretta. Tuttavia, le difficoltà tecniche, operative e le divisioni ideologiche proprie del processo costituente e il boicottaggio da parte del governo di Piñera hanno provocato a un impasse, indebolendo così la portata del processo di cambiamento e rilanciato il potere dello status quo.
Se per il primo turno, infatti, il discorso anti-sistema ha dato i suoi frutti, per vincere il ballottaggio sarà necessaria una grande convergenza politica. La necessità di ampliare lo spettro di possibili elettori ha ristabilito il margine di manovra dei partiti tradizionali. Non deve pertanto stupire che, a poche ore dal voto, sia Boric che Kast abbiano cercato il loro endorsement. Boric si è avvicinato ai partiti dell’estinta Concertación. Tanto la candidata della Democracia Cristiana, Yasna Provoste, come l’ex presidente della Repubblica Ricardo Lagos hanno immediatamente espresso il proprio appoggio a Boric. D’altra parte, Kast ha avviato negoziati con Parisi e l’entourage di Piñera.
Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, i risultati indicano un netto spostamento a destra del baricentro politico. I partiti di governo, appartenenti alla coalizione Chile Podemos+ del presidente Piñera (Renovación Nacional e l’Udi) hanno perso oltre 19 seggi alla Camera dei Deputati. Tali seggi sono stati assegnati quasi del tutto al Partido Republicano fondato da Kast. Tra i deputati eletti vi è anche un neo-nazista, Johannes Kaiser, che ha ottenuto oltre 26 mila preferenze nel Comune di Santiago. Kaiser è un youtuber famoso per le sue dichiarazioni violente e infelici contro il movimento femminista e il diritto all’aborto. Un linguaggio omofobo e razzista accompagnato da una retorica nostalgica della dittatura di Pinochet.
Nel centrosinistra, i partiti della ex Concertación hanno perso oltre 16 seggi, che si sono spostati – a sinistra – verso la coalizione Apruebo Dignidad di Boric. Tra i deputati eletti spicca, con oltre 26 mila preferenze, Emilia Schneider, la prima deputata trans della storia del Cile. Entra al Senato la candidata indipendente Fabiola Campillai, vittima della repressione poliziesca durante la rivolta del 2019. Campillai, colpita da una bomba lacrimogena in pieno volto mentre aspettava l’autobus, entrò in coma e fu soggetta a tre operazioni. A seguito dell’aggressione, ha perso completamente la vista, il gusto e l’olfatto.
La destra conserva la maggioranza del Senato: al 48% dei seggi di Chile Podemos+ si sommano i nuovi Senatori di Kast. La coalizione di Boric (Apruebo Dignidad) si è fermata a 5 seggi (circa 10%), dovendosi appoggiare ai partiti dell’estinta Concertación (Nuevo Pacto Social) che conservano 18 seggi (36%). Questi risultati complicano ulteriormente lo scenario di governabilità del paese, preannunciando una tensione istituzionale tra il Congresso, il futuro presidente eletto e l’Assemblea Costituente.
In vista del ballottaggio, i due candidati andranno a bussare alle porte dei partiti tradizionali per ampliare la propria base elettorale. Una vera e propria riscossa dell’establishment nei confronti del sentimento anti-partitico che da anni domina la scena politica cilena. Un inevitabile processo di alleanze che contribuirà all’ulteriore alienazione dei movimenti nei confronti del sistema. D’altra parte, la minaccia di un governo apertamente fascista, che complicherebbe l’operatività del processo costituente, potrà spingere alcuni settori dell’antagonismo sociale al voto «utile» per Boric. Si tratterebbe solo di una decisione di congiuntura, per sventare il pericolo di un governo neo-pinochetista che non risolve la questione di fondo: la frattura sempre più marcata tra la piazza e la politica dei palazzi.
*Orso Colombo è ricercatore in studi latinoamericani presso l’Universidad Nacional de Colombia. È analista di conflitti territoriali e geopolitica latinoamericana. Alberto Pesapane è avvocato in Argentina e studente del master in studi latinoamericani presso l’Universidad Nacional de San Martín della provincia di Buenos Aires.
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