Il lavoro sporco ai confini orientali dell’Ue
Accade tutte le notti, nei boschi tra Bosnia e Croazia, nel silenzio dei media. Centinaia di respingimenti illegali di gente che arriva a piedi da zone di guerra
Prove fotografiche, video, audio di oltre 150 respingimenti ai confini orientali con l’Europa. È il frutto del materiale prodotto da attivisti anonimi e pubblicato dal collettivo Borders Violence Monitoring. Le telecamere nascoste hanno immortalato la polizia croata che, di giorno e di notte, ha provveduto a respingimenti collettivi di migranti provenienti per lo più dall’Asia centrale, violando le norme internazionali in fatto di asilo. In uno dei video si vedono diverse persone, tra cui donne e bambini, messi in fila indiana e scortati dalla polizia della Croazia – paese membro dell’Unione europea – che li rispedisce in Bosnia, ossia fuori dall’Europa sognata dalle migliaia di giovani che ogni mese arrivano, anche a piedi, da Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria.
La notizia sta solcando le pagine di numerosi papers internazionali, tra cui il Guardian e alcune testate nazionali tedesche, mentre a tradurre il documento di No Borders Violence è stata l’associazione Lungo la rotta balcanica. In Italia, lo scorso 18 dicembre, il Tg3 ha dedicato un rapido servizio alla vicenda, che tuttavia non sembra avere degna copertura mediatica.
La questione è tutta lì: tutti sanno dei respingimenti illegali, e spesso violenti, di cui abbiamo parlato anche su Jacobin Italia con il reportage di fine novembre. Tutti sanno come va a finire «the game», il tentativo di attraversamento del confine che ogni giorno centinaia di migranti provano a fare, spesso senza successo. Tutti, dai governi dell’area all’Organizzazione mondiale dei migranti (Iom) sanno benissimo quel che accade tutte le notti nei boschi di confine tra Bosnia e Croazia. Tutti sanno, ma nessuno fa nulla. E addirittura, in alcuni paesi dell’Unione, come l’Italia, neanche se ne parla.
«Il nostro database contiene ormai più di 150 rapporti di respingimento dal confine bosniaco-croato – sostengono gli attivisti di No Borders Violence – alla luce di questa cifra sembra difficile negare questa pratica illegale di espulsioni collettive di persone in cerca di protezione, perpetrate dalla polizia croata e spesso accompagnate da violenza. Le persone che fanno ritorno dal confine con braccia o gambe rotte, con occhi sanguinanti o segni di percosse di manganelli sulla schiena, non sono casi isolati. Le loro ferite e testimonianze dimostrano pratiche indiscutibilmente istituzionalizzate e applicate con sistematicità, anche se il ministro dell’interno croato continua a negare queste accuse e preferisce invece accusare i rifugiati di autolesionismo».
I respingimenti violano i diritti umani e gli accordi internazionali perché non vengono effettuati presso un posto di controllo ufficiale di frontiera, e si svolgono in assenza di funzionari bosniaci. Non seguono procedure formali di rimpatrio, ma sono collettivi e coatti, in violazione all’accordo di riammissione tra l’Unione europea e la Bosnia del 2007.
Tutto questo interessa molto poco al circa mezzo miliardo di abitanti dell’UE, e ancor meno ai governanti dei singoli paesi. La rotta balcanica originaria che portò fino al 2016 centinaia di migliaia di migranti attraverso le frontiere turche, dopo l’accordo tra Istanbul e Bruxelles è un pallido ricordo.
La nuova rotta, che non ha mai smesso di essere frequentata – seppur con numeri nettamente inferiori – è di chi riesce a uscire dalla gabbia turca, e risalendo Grecia, Macedonia e Serbia arriva al confine sud-orientale di un continente decadente, fantasma di se stesso, intimorito dalle migrazioni e tenuto in scacco dai sovranismi.
Tutto ciò accade peraltro in un’area che vive ancora oggi di dinamiche geopolitiche complesse, dove Russia e paesi Nato continuano da decenni a ingerire sui governi per contendersi nazioni, in una zona dove la recente costituzione di un nuovo esercito da parte del governo kosovaro rischia di accendere nuove e vecchie micce con i serbi, dove l’economia della giovane Bosnia continua ad arrancare, e dove in alcune zone rurali vecchi venti di odio etnico tornano periodicamente ad affacciarsi.
In tutto questo l’Unione europea, la stessa dell’Erasmus, dell’austerità economica e dei finanziamenti alle infrastrutture dell’Est, continua ad alzare muri a poche migliaia di migranti in fuga dalla guerra o alla ricerca di una vita degna. E lo fa con l’ipocrisia che la contraddistingue, relegando il lavoro sporco alla rude polizia di un piccolo Paese di confine come la Croazia. Non c’è responsabilità, non c’è dissenso, non c’è accoglienza. Semplicemente, la questione al di qua della frontiera non deve esistere.
I problemi continuerebbero ad esserci anche se si favorissero corridoi umanitari, per carità: lo sfruttamento dei migranti in tutto il continente è palese. Ma in questo modo nemmeno ci si arriva a quel punto, neanche se ne parla, semplicemente si lasciano patire al freddo e alla neve migliaia di persone in un paese problematico (e tutt’altro che ricco) come la Bosnia Herzegovina. Quando servirà nuova manodopera a bassissimo costo e le classi subalterne saranno sufficientemente frammentate, se ne potrà riparlare.
Per ora, si deve far finta di nulla, in un’Unione di classi e privilegi, che marginalizza chi sta già ai margini, argina chi è dall’altra parte dei muri, porta alla morte uomini, donne e bambini ai suoi confini.
*Mattia Fonzi è giornalista freelance, attivista politico e fondatore del quotidiano NewsTown. Si occupa di migrazioni e sport come veicolo di integrazione sociale.
La rivoluzione non si fa a parole. Serve la partecipazione collettiva. Anche la tua.