La farsa dei miniBot
Matteo Salvini sa benissimo che il governo gialloverde è destinato a perdere la partita con Bruxelles sui conti. Per questo mette in scena lo scontro con l’Europa e costringe ancora una volta il M5S ad andare al traino della Lega
Se da Francoforte a Roma continuano ad arrivare stroncature sul piano tecnico all’ipotesi dei miniBot (l’emissione di titolo di stato di piccolo e piccolissimo taglio), l’apparente avventatezza della proposta leghista va forse riletta non attraverso le lenti di una inesistente razionalità economica, ma come un maldestro gioco di prestigio di cui non è difficile scoprire il trucco. Quella dei miniBot è innanzitutto l’ennesima mossa retorica con cui la Lega cerca di spostare il piano del dibattito pubblico in una fase di tensione crescente all’interno della compagine governativa. Un diversivo necessario a tenere e consolidare il consenso acquisito dal partito di Salvini, mettendo sempre più all’angolo il ministro Tria e lo stesso premier Conte, e costringendo il Movimento 5 stelle ad andare ancora una volta a rimorchio nella messa in scena di uno scontro con l’Europa.
Appare del tutto evidente – come segnalato da più parti – che il senso autentico di un simile titolo di Stato ex novo in forma cartacea risieda nel creare di fatto o un nuovo stock di debito pubblico o una vera e propria valuta alternativa, controllata esclusivamente dal ministero dell’economia e finanza. Entrambe le funzioni di un simile buono ordinario del tesoro “in piccola taglia” appaiono estremamente dubbie nell’ottica di fornire un’effettiva soluzione al problema – reale e serio – dei 53 miliardi di debiti insoluti della pubblica amministrazione verso i propri fornitori. In sostanza lo Stato compenserebbe i creditori con l’emissione di un titolo di debito ad hoc, altamente liquido (cioè scambiabile facilmente con moneta legale), che – nelle intenzioni di chi lo propone – non dovrebbe dar vita a nuovo debito pubblico. In sostanza: lo Stato dice all’imprenditore di accettare questa nuova banconota con la faccia di Mattei o della Fallaci come pagamento del debito contratto, garantendogli che essa verrà accettata (almeno dalle istituzioni nazionali) come mezzo di pagamento in euro, pur non essendo euro. Un nuovo debito che sparisce alla vista di Bruxelles per ripagare i creditori con una moneta che non è vera moneta.
Un gioco di prestigio così malriuscito da essere subito scoperto e smontato da mezza Europa. Al punto che lo stesso Borghi, messo alle strette da Draghi, ha cercato di arrampicarsi sugli specchi parlando dei miniBot come di nuove «cartolarizzazioni» di quei crediti dovuti dalla pubblica amministrazione. Per «cartolarizzazione», si intende, in breve, la tecnica finanziaria per cui diversi attivi (ad esempio, i mutui concessi da una banca ai suoi clienti) vengono «impacchettati» insieme in un prodotto finanziario da rivendere sul mercato. Per intenderci, stiamo parlando dello stesso strumento che ha trainato il boom dei mutui sub-prime negli Stati uniti portando dritto alla crisi finanziaria globale del 2007/8. Nel nostro caso, quindi, i miniBot sarebbero dei titoli che ripagano oggi i creditori con, appunto, la promessa di un futuro pagamento da parte dello stato. Un’alchimia finanziaria il cui succo rimane quello di trasformare il debito commerciale della pubblica amministrazione in nuovo debito pubblico, cercando di nasconderlo sotto il tappeto di un titolo di Stato di piccola taglia, che, di fatto, si configurerebbe come una valuta alternativa.
Delle due l’una: o la Lega davvero riteneva di poter gabbare Bruxelles e Francoforte con un simile gioco delle tre carte – a carte scoperte –, o la proposta dei miniBot rappresentava davvero la premessa di un possibile Piano B per un’uscita dall’euro. In entrambi i casi dovremmo ammettere che in questo caso la Lega abbia commesso un ingenuo e inspiegabile errore di valutazione. Come sperare di poter ottenere un via libera da parte della Bce, della Commissione e dello stesso ministero delle finanze con una proposta che mira esplicitamente a truccare la partita? Se l’obiettivo più ambizioso era quello di preparare il terreno per lo scontro con l’Europa, attrezzandosi nell’eventualità di una rottura, perché spiattellare un simile piano nel dibattito pubblico per tirarsi subito le critiche di mezzo governo e di mezza Europa? Come è chiaro, un Piano B eventualmente si prepara dietro le quinte, ma non si dice.
Perché quindi lanciare una proposta del genere, consapevoli che non andrà mai in porto? Assumendo che Salvini e soci non siano proprio degli ingenui, le ragioni di una simile sortita vanno individuate su un altro piano, squisitamente politico.
Con la proposta dei miniBot la Lega ha offerto un nuovo terreno di conflitto su cui contrapporre gli interessi del paese – stavolta rivolgendosi alle imprese che vantano crediti verso la pubblica amministrazione – con quelli dell’Europa, rimarcando così la distanza fra l’oltranzismo di Salvini e l’approccio prudente di Conte e Tria nella difficile negoziazione a Bruxelles sulla procedura di infrazione. Una mossa per strappare o tenere saldo il consenso crescente verso la Lega a spese del presidente del Consiglio, del ministro dell’economia e – ovviamente – dell’alleato pentastellato, ridottosi ancora una volta ad appigliarsi alla coda del Carroccio.
Perché mettere in difficoltà il suo stesso governo? Perché Salvini sa benissimo che il governo Conte è destinato a perdere la partita a Bruxelles sulla procedura di infrazione e il programma di rientro del debito pubblico in vista della prossima legge di bilancio, e che quindi sarà necessario ricalibrare molte delle promesse e obiettivi del contratto di governo. Sa anche benissimo che la prossima Commissione europea – comunque vada – non sarà per nulla più indulgente verso l’Italia e che il governo molto difficilmente riuscirà a piazzare un suo nome per una posizione chiave all’interno del collegio dei 28 commissari. Se poi a questo aggiungiamo la prossima scadenza del mandato di Draghi a governatore della Bce e il nome di Jens Weidmann – il più falco tra i falchi del consiglio direttivo – come quello attualmente favorito a capo della banca centrale, le prospettive di una “riscossa sovranista”, declamata il giorno dopo le elezioni europee, appare sempre più lontana.
La tattica di piccolo cabotaggio adottata dalla Lega è quindi quella di strappare sempre più consensi all’interno di una compagine di governo debole, su cui spadroneggiare, assestando nei momenti critici dei colpi controllati ai danni di Conte e Tria, diretti in realtà alle istituzioni europee. L’obiettivo tattico è quello di mostrare, in forme sempre plateali, quanto la Lega non abbia paura di avanzare proposte “scomode” e soluzioni “ambiziose” per risolvere “i problemi degli italiani”, anche facendo andare su tutte le furie Bruxelles e la componente più istituzionale del suo governo. Proposte e soluzioni che la Lega sa bene di non poter davvero realizzare e che servono solo come esca per trascinare il dibattito pubblico nella direzione voluta e pescare un consenso sempre più vasto nei diversi settori del Paese. «A me interessa il risultato», ha dichiarato Salvini: come a dire, se a Conte e Tria non stanno bene i miniBot trovino loro soluzioni alternative per risolvere il problema di centinaia di imprese italiane. E quando Conte e Tria non avranno potuto trovare una soluzione reale – che dovrebbe passare per una lucida e complessa strategia di rinegoziazione delle regole europee – la Lega potrà ergersi a unica forza politica ad aver avanzato una risposta, osteggiata dall’Europa dei banchieri, di Soros ecc…
Mimare uno scontro con l’Europa per scaricare su altri le responsabilità delle promesse mancate del programma di governo, restando sulla cresta dell’onda del consenso: questa la tattica retorico-illusionistica che muove la Lega. Un gioco che alla lunga non può funzionare. Perché i nodi e conseguenze di una simile messinscena di scontro con le istituzioni europee arriveranno presto al pettine. E lì non basterà distrarre gli italiani con un’altra trovata da dare in pasto ai media. Bisognerà dare risposte concrete, che nel frattempo saranno diventate enormemente difficili nel quadro di un’Italia sempre più isolata a livello internazionale, sempre più vulnerabile e preda sicura della prossima crisi finanziaria.
*Giuseppe Montalbano è ricercatore precario in teoria e scienza politica.
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