La guerra di classe del 1877 che gli Usa hanno rimosso
Nell'estate del 1877, un milione di lavoratori scioperò e si scontrò con la polizia in varie città statunitensi. Fu quasi una seconda Guerra civile, con questa volta contrapposti forza lavoro e capitale. Eppure è stata dimenticata
Il primo sciopero nazionale nella storia degli Stati uniti ha avuto un’origine piuttosto umile. Il 16 luglio 1877, quaranta lavoratori delle ferrovie risposero alla notizia di un taglio dei salari interrompendo il lavoro e fermando il traffico ferroviario a Martinsburg, nel West Virginia. Quel singolo evento generò un effetto domino, diffondendo la rivolta come un fuoco in tutta la classe operaia statunitense. Entro la fine del mese, un milione di lavoratori aveva smesso di lavorare nelle città industriali di quattordici stati, da New York City a San Francisco.
Scrivendo a Friedrich Engels il 24 luglio di quell’anno, Karl Marx la chiamò «la prima sollevazione contro l’oligarchia del capitale che si è sviluppata dalla Guerra civile», che avrebbe potuto portare a «un partito dei lavoratori serio negli Stati uniti». Non fu un caso che la predizione di Marx non si avverò completamente. In risposta agli scioperi, il capitale iniziò una guerra di classe contro i lavoratori in una violenta e organizzata dimostrazione di forza che non si vedeva dalla Guerra civile.
Una seconda Guerra civile?
L’estate del 1877 non fu un buon periodo per chi lavorava nelle ferrovie dall’alba al tramonto. Era l’Età dell’Oro, un sarcastico gioco di parole coniato da Mark Twain per descrivere la bancarotta morale dell’élite politica e finanziaria che stava diventando infinitamente ricca sulle spalle dei lavoratori grazie al capitalismo sregolato. La cosiddetta questione del lavoro aveva soppiantato la schiavitù nel ruolo di crisi morale dominante dell’America della Ricostruzione.
I sindacati erano una forza marginale nelle città del Nord in rapida industrializzazione, e i lavoratori dovevano sopportare lunghi orari e salari da fame, con pochissimi diritti sul lavoro. I loro capi, baroni briganti, continuavano ad abbassare i salari dei lavoratori, fin dal «Panico del 1873», la più grave depressione finanziaria nella storia americana fino a quel momento.
«Non è forse vero che i lavoratori delle ferrovie […] sopportano una tirannide al cui confronto le tasse britanniche nel periodo coloniale non erano niente, e che si trova allo stesso livello dello schiocco della frusta schiavista?» pubblicava il Journal of the Brotherhood of Locomotive Engineers [Giornale della Fratellanza degli Ingegneri delle Locomotive] nel 1873.
La situazione raggiunse il punto di rottura nel 1877, quando i magnati delle ferrovie cospirarono due volte per decurtare il salario dei lavoratori, nonostante avessero accumulato grandi profitti. Azionisti e manager non ebbero problemi, ma la paga dei lavoratori ordinari fu ridotta fino a metà.
I già menzionati lavoratori delle ferrovie di Martinsburg, che involontariamente diedero inizio alla Grande Sommossa, entrarono in azione il 16 luglio in risposta alla terza riduzione del salario di quell’anno. Al contrario, richiesero un aumento del 10 percento, e cominciarono a dividere le carrozze per costringere i treni all’arresto. Lo sciopero migrò da est a ovest lungo alcune vie ferroviarie rilevanti del nord. A scioperare non erano solo i lavoratori delle ferrovie. Altri interruppero il lavoro in solidarietà, tra cui minatori e marinai del West Virginia, fabbricanti di scatole a Baltimora e macellai a Chicago.
A Pittsburgh treni e depositi vennero dati alle fiamme, e a St Louis una coalizione di scioperanti organizzati – la Comune di St Louis – prese il potere per circa ventiquattr’ore. La classe capitalista era mortificata. Gli imprenditori erano terrorizzati al prospetto di una versione americana della Comune di Parigi, che aveva scioccato l’Europa solo sei anni prima. Erano davvero preoccupati che ci fosse una seconda guerra civile – stavolta con socialisti e comunisti di origine straniera a capo di una guerra contro l’oligarchia.
Ufficiali e resoconti di giornale usarono molti termini per descrivere la Grande sommossa: Insurrezione! Ribellione! Rivolta! Allan Pinkerton la chiamò «rivolta mostruosa» nel suo libro del 1878 Strikers, Communists, Tramps, and Detectives [Scioperanti, Comunisti, Vagabondi, e Detective]. A capo di una squadra di spionaggio del diciannovesimo secolo, l’agenzia di detective di Pinkerton, votata alla distruzione dei sindacati, si mise al servizio di ricchi uomini d’affari alla ricerca di protezione dopo l’estate del 1877.
Quando gli industriali non poterono fare pressione per far tornare i loro dipendenti a lavoro, si rivolsero ai politici perché usassero ogni leva di violenza dello stato possibile: la polizia, la Guardia nazionale, le truppe federali. Il governatore del West Virginia fu il primo a chiamare le truppe. Uno scioperante di Martinsburg venne ucciso dopo una sparatoria con un soldato, foriero della morte e del caos che sarebbero giunti.
Il 20 luglio del 1877, una folla si raccolse davanti all’armeria del Sesto Reggimento a Baltimora e iniziò a lanciare sassi sulla milizia. Le truppe risposero sparando sulla gente coi moschetti e attaccando con le baionette. Almeno dieci persone furono uccise, tra cui «un ragazzo dei giornali a piedi nudi e in maniche di camicia, uno studente sedicenne di fotografia, e un panettiere diciannovenne», secondo il Baltimore Sun. Giorni dopo, la milizia dello stato aprì il fuoco su un raduno di scioperanti e sulle loro famiglie, uccidendone venti. Tra gli scioperanti c’erano donne e bambini, cosa che si rivelò problematica per i militari che avevano l’ordine di soffocare il dissenso. «Il vero problema», lamentava il New York Times, «è che le persone ai bordi delle strade sono totalmente allineate con gli scioperanti, e non si può fare affidamento sulla capacità dei militari di agire contro di loro in questa emergenza».
La Battaglia del Viadotto di Chicago
Il 23 luglio 1877, la notte prime che l’ondata di scioperi colpisse Chicago, Albert Parsons fece un discorso infervorato davanti a circa trentamila lavoratori immigrati pronti a passare all’azione. Il socialista radicale aveva appena perso nel tentativo di ottenere un posto nel consiglio cittadino come nuovo membro di un Partito dei lavoratori incentrato sulla forza lavoro. «Siamo riuniti come un Grande esercito della fame», disse Parsons. «Sta a voi decidere se permetteremo ai capitalisti di continuare a sfruttarci. Vi organizzerete?».
Il giorno seguente, migliaia di lavoratori esasperati abbandonarono il lavoro e sfilarono per le strade di Chicago, in alcuni casi vandalizzando i propri posti di lavoro o tagliando i fili dei tram. La stampa locale dedicò loro parole taglienti, tinte di xenofobia e pregiudizi di classe. Un resoconto descriveva «orde di monelli, vagabondi, straccioni, e in generale gli scarti della società».
La classe lavoratrice di Chicago guardava agli stereotipi con risentimento. «Guardatemi, guardate le mie mani – vi sembro un perdigiorno o un lavoratore?», esclamò un marinaio irlandese davanti a una piccola folla. «Sappiamo per cosa stiamo lottando e cosa stiamo facendo. Stiamo lottando contro quei dannati capitalisti. Non è così?».
Il sindaco di Chicago Monroe Heath chiuse i bar della città, radunò la polizia e nominò dei civili perché agissero come difesa. Numerosi consiglieri formarono le proprie milizie, guidate da impiegati e manager di classe media, inclusa una piccola banda di cavalleria nella quarta circoscrizione. Heath inizialmente aveva ordinato agli ufficiali di sparare sopra alle teste delle folle di lavoratori in agitazione, per evitare di ripetere il massacro di Pittsburgh. Ma quando il caos cominciò a montare, la polizia abbassò le armi e mirò direttamente sugli scioperanti, uccidendone tre e ferendone di più.
La polizia agiva spesso come aggressore. Alcune centinaia di artigiani tedeschi dovevano incontrarsi con i propri dipendenti per discutere della giornata lavorativa di otto ore nel West Loop di Chicago quando numerosi ufficiali fecero irruzione, uccisero un ebanista ventottenne disarmato e ferirono altre persone. La violenza a Chicago raggiunse l’apice il 26 luglio, con quella che è stata chiamata «Battaglia del Viadotto». La polizia di Chicago e un reggimento della Guardia nazionale dell’Illinois spararono coi moschetti su più di diecimila persone ammassate in un viadotto vicino al lato sudovest. Le truppe non spararono soltanto agli scioperanti, ma anche agli «spettatori», raccontò Parsons, «uccidendo svariate persone, nessuna delle quali stava scioperando».
Cinquecento immigrati irlandesi marciarono in colonna lungo Halsted Street a Chicago – alcuni di loro erano macellai che ancora indossavano il grembiule con i coltelli alla mano. Due ragazzi che marciavano in cima alla colonna portavano uno striscione con su scritto «Diritti dei Lavoratori». Dopo essersi rifiutati di arretrare da un ponte, gli irlandesi si scontrarono con la polizia per il controllo del ponte per quasi un’ora. Una donna irlandese, Mollie Cook, fu arrestata per aver sparato alla polizia dalla finestra del secondo piano della sua casa su Halsted.
I giornalisti si concentrarono molto sulle origini straniere dei manifestanti. «Ondata di amazzoni boeme!» urlava il titolo di prima pagina di un giornale, parlando degli scioperi degli immigrati tedeschi e dell’Europa centrale, citando donne con «braccia muscolose e scottate che brandivano clave». Due reggimenti dell’esercito americano, arrivati recentemente dal territorio del Dakota, dove stavano combattendo contro i Sioux, presero posizione nel viadotto con mitragliatrici Gatling per supportare la polizia e la milizia.
Davanti alla prospettiva di affrontare tremila soldati e militari ben equipaggiati – una forza più importante di quella della Battaglia di Toro Seduto – i residenti ribelli di Chicago finirono per ritirarsi. In fondo, pietre e mazze raffazzonate non potevano competere con le pistole. Delle trenta persone uccise in combattimento a Chicago, circa la metà erano ragazzi sotto i diciotto anni, e circa duecento scioperanti furono feriti. Nessun poliziotto venne ucciso.
Un’eredità poco valorizzata
Simili scene ebbero luogo lungo tutta la nazione, e incontrarono la stessa resistenza organizzata. Già il primo agosto 1877 la Grande sommossa era stata praticamente sedata, e quasi tutti i treni avevano ricominciato a viaggiare. In aggiunta alla polizia locale e di stato e alle milizie informali, il presidente Rutherford B. Hayes aveva chiamato all’azione quasi sessantamila truppe federali in dieci stati. Più di cento persone furono uccise e migliaia ferite. Baltimore & Ohio Railroad licenziò i dipendenti che scioperarono e si rifiutò di annullare i tagli ai salari degli altri, lasciando gli scioperanti completamente sconfitti e demoralizzati.
A Chicago, i membri dell’élite economica organizzarono un proprio sindacato nelle settimane che seguirono il Grande sciopero: il Commercial Club. Più tardi il Commercial Club comprò seicento acri di terra a nord della città per costruire il Forte Sheridan, una base-fortezza per l’esercito statunitense. Fu progettata per dare alla Guardia nazionale dell’Illinois e all’esercito statunitense un più facile accesso in caso avessero dovuto agire di nuovo come personale forza di polizia della classe dominante col compito di sopprimere l’agitazione della forza lavoro. Convinto che anche la polizia avesse bisogno di più armi e più grosse, l’uomo più ricco di Chicago, Marshall Field, donò migliaia di dollari per mitragliatrici Gatling e cannoni alla città.
Ma non tutto fu perduto per il movimento operaio. Lo sciopero segnò l’inizio di un cambiamento nella pubblica comprensione della situazione dei lavoratori. Entro due anni, le compagnie ferroviarie iniziarono a introdurre riforme, e i sindacati cominciarono a ottenere una certa coesione e spinta, a partire dai Cavalieri del Lavoro. «Gli eventi del 1877 diedero grande impulso e attività al movimento operaio in tutti gli Stati uniti, e, in realtà, in tutto il mondo», osservò Parsons.
Nove anni dopo la Battaglia di Halsted, Albert e Lucy Parsons guidarono una marcia di decine di migliaia di persone lungo Michigan Avenue nella prima manifestazione del Primo maggio, chiedendo una giornata lavorativa universale di otto ore. Il Primo maggio e quello che ora è conosciuto come il caso di Haymarket – in cui Parsons fu uno dei quattro imputati a essere impiccati per il ruolo non confermato nella bomba a dinamite lanciata sulla polizia il 4 maggio 1886 – sono ben noti come punti cardine della storia operaia.
Ma pochi si sono accorti del 145° anniversario della Grande sommossa. Questa rivolta nazionale è per la maggior parte scivolata via dalla memoria storica americana. Fu la cosa più vicina a una seconda Guerra civile a cui gli Stati uniti sono arrivati, e ci sono solo poche targhe storiche sparpagliate in Pennsylvania, Baltimora e Martinsburg, West Virginia, a commemorarla.
*Ryan Zickgraf è un giornalista, vive in Alabama e dirige Third Rail Mag. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Valentina Menicacci.
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