La Signora in rosso
Angela Lansbury si diceva «orgogliosamente socialista». Il cinema non l'ha valorizzata come meritava: ai più è nota nella parte della nonnina detective della tv ma ha interpretato donne ciniche e inquietanti con sensibilità rara
È bello scoprire, leggendo i tributi ad Angela Lansbury, scomparsa martedì scorso a novantasei anni, che questa attrice tanto amata si considerava «un’orgogliosa socialista».
Era una compagna per via del suo lignaggio illustre: suo padre era Edgar Lansbury, politico socialista britannico, e suo nonno era George Lansbury, pacifista, socialista e leader del Partito laburista britannico dal 1932 al 1935. Sua madre era l’attrice irlandese Moyna Macgill. In fuga dai bombardamenti nazisti sull’Inghilterra del London Blitz arrivarono a New York City nel 1940 in cerca di lavoro nell’industria dell’intrattenimento. A poco a poco si diressero verso Hollywood e nel 1942 iniziò davvero la straordinaria carriera dell’adolescente Angela Lansbury.
Lansbury è stata l’attrice rara che ha riscosso un successo così sfaccettato in tanti decenni in media talmente diversi – cinema, teatro, televisione – da indurre diverse generazioni di pubblico che l’amavano a ricordarla in modo completamente diverso.
Molti la ricordano con affetto come l’amichevole e concreta scrittrice di romanzi polizieschi sulla sessantina e investigatrice amatoriale Jessica Fetcher nella popolarissima serie televisiva La Signora in Giallo (1984–1996). I bambini cresciuti con la versione animata della Disney del 1991 de La bella e la bestia rievocano con affetto il personaggio materno della teiera di Lansbury, la signora Potts, che canta la canzone di testa del film. Ho un amico che è stato ossessionato fin dall’infanzia da Pomi d’ottone e manici di scopa (1971), film in parte live-action e in parte animato, con Lansbury nei panni di una strega che pratica la magia, canta, balla, combatte i nazisti e fa la tata riluttante.
Gli appassionati di teatro probabilmente la ricordano con riverenza come un talento multiforme che ha ottenuto strepitosi successi interpretando personaggi divergenti come l’eccentrica abbagliante e innamorata della vita zia Mame, nel musical del 1966 Mame, e la meschina e assassina signora Lovett nel selvaggio e oscuro Sweeney Todd: il diabolico barbiere di Fleet Street (1978) di Steven Sondheim.
L’indomita Lansbury ha continuato a recitare a Broadway fino all’età di ottantotto anni, con la sua interpretazione di Madame Aracati in Blithe Spirit di Noël Coward nel 2014. Ancora nel 2016, ha preso in considerazione l’idea di interpretare l’impegnativa parte drammatica della nonna possessiva in un revival teatrale di The Chalk Garden di Enid Bagnold, prima di rendersi conto che sarebbe stato troppo.
Nonostante fosse una grande appassionata di cinema fin dalla prima giovinezza, Lansbury considerava il palcoscenico la sua carriera principale: «Il teatro veniva sempre prima. I film erano casuali». Ma personalmente, mi dedico interamente alle sue grandi interpretazioni cinematografiche. Ce ne sono molte, anche se quasi sempre in ruoli secondari, ed è sorprendente che il sistema degli studios di Hollywood abbia sottostimato così tanto la sua carriera sul grande schermo facendo risaltare l’attività teatrale.
Come era naturalmente era sul set! Aveva avuto una nomination all’Oscar come migliore attrice non protagonista per due dei suoi primi tre ruoli nel suo incredibile anno di debutto, il 1944-1945. Ha avuto in tutto tre nomination, ma non ha mai vinto l’Oscar, ed è stata nominata diciotto volte agli Emmy, mentre nel mondo del teatro sembrava vincere un Tony Award ogni volta che faceva un passo.
Il suo famoso primo ruolo cinematografico, per il quale è stata scelta all’età di diciassette anni, è quello dell’astuta e insolente cameriera Nancy nel melodramma gotico Gaslight (1944). Di fronte alle star Ingrid Bergman e Charles Boyer, che offrono prestazioni straordinarie, Lansbury fornisce un’oscenità disinvolta nei flirt di Nancy con «il maestro», mentre maneggia «l’amante» con un’impudenza così rilassata e disinvolta che è ancora strabiliante guardarla oggi.
Ha mostrato subito la sua gamma disinvolta interpretando il ruolo di supporto comico di Edwina, la sorella maggiore adolescente dolcemente pazza di Velvet Brown (Elizabeth Taylor) in National Velvet (1944). Cui è seguita una performance straordinariamente toccante ne Il ritratto di Dorian Gray (1945), nel ruolo di Sibyl Vane, la giovane cantante innocente in una taverna spartana a conduzione familiare che ha la sfortuna di innamorarsi di un uomo ricco e squisito… Dorian Gray (Hurd Hatfield) proprio mentre inizia a sperimentare l’insensibile ricerca del piacere.
Il ruolo di Sibyl Vane di Lansbury era difficile da rendere credibile così tanti anni dopo l’era del cinema muto, perché la dolce «ragazza in rovina» del melodramma era diventata un personaggio ormai banale. Veniva quasi derisa per la sua scomparsa nei dissacranti anni Quaranta. Ma la giovane Lansbury le infonde una nuova tragica convinzione, dunque è doloroso vedere questa ingenuità simile a un fiore schiacciato. Lansbury non è mai stata così adorabile come quando interpretava Sibyl Vane. Mentre l’illuminazione volutamente poco accattivante del personaggio di Nancy in Gaslight enfatizza il viso pieno di Lansbury, in particolare la bocca imbronciata all’ingiù, la fotografia in bianco e nero di Dorian Gray modella delicatamente i suoi zigomi e drammatizza i suoi grandi occhi luminosi.
La celebrità e i ruoli da protagonista a quel punto sarebbero dovuti arrivare, ma la Mgm combinò un pasticcio, mantenendola in ruoli secondari e scegliendola, come ha scritto Lansbury in una delle sue biografie, per «una serie di donne venali» che erano molto più vecchie di lei. Un ruolo tipico fu quello della cinica Em nel musical di Judy Garland Le ragazze di Harvey (1946). Em è l’intrattenitrice principale di una sala da ballo nel selvaggio West e, sotto lo stesso tetto, l’implicita signora del bordello, che dovrebbe evidentemente essere sulla quarantina.
Parte del problema per Lansbury nel vedersi imporre questi ruoli era che era troppo dannatamente brava nell’interpretarli. Sembrava giovane, ma raggiungeva subito l’effetto di sembrare molto più anziana e mondana. Eseguendo il turbolento numero di canzoni e balli «Oh You Kid» in Le ragazze di Harvey, la ventunenne Lansbury trova persino il modo di danzare svogliatamente, agitando le gambe in modo umoristico e pigro che comunica quanto sia consapevole di star intrattenendo una folla di ubriachi che vogliono solo guardare sotto la sua gonna, senza bisogno quindi di una coreografia precisa.
E a ventitré anni in Lo Stato dell’Unione (1948), interpreta la gelida proprietaria di un giornale determinata a essere ancora più dura di quanto non fosse un tempo suo padre, un magnate della stampa. Gestisce anche la campagna dell’uomo che sta cercando di far eleggere presidente, interpretato dal cinquantenne Spencer Tracy. Lei e il candidato sono coinvolti in un’intensa relazione che sta minacciando il matrimonio di lui con una moglie formidabile, interpretata da Katharine Hepburn. Ancora una volta, Lansbury è più che valida accanto a due stelle potenti: in effetti spicca nelle scene, cosa che raramente succede a Tracy o Hepburn.
Lansbury poteva sempre passare facilmente dal dramma, alla commedia al musical e a tutte le sfumature intermedie. È a suo agio e si diverte nei panni della giovane e viziata principessa Gwendolyn, che minaccia costantemente di buttarsi «dalla torre più alta» se non può fare a modo suo nella sfrenata farsa di Danny Kaye Il giullare del re (1955). Ma solo tre anni dopo, si adatta facilmente al ruolo di una madre-gorgone pettegola e di mezza età che cerca di far sposare sua figlia con un ricco aristocratico nella commedia di classe di Vincente Minnelli con la coppia ultrasofisticata Rex Harrison e Kay Kendall Come sposare una figlia (1958).
Nonostante dimostrazioni così coerenti di talento straordinario, Lansbury ha sorpreso di nuovo tutti con la sua interpretazione intransigente nei panni della madre acida e orribile in The Manchurian Candidate (1962), diretto da John Frankenheimer. Non era la prima scelta per quel ruolo. La leggenda narra che la star del film, Frank Sinatra, gli preferisse Lucille Ball nell’improbabile parte di Eleanor Shaw, un’agente comunista di alto livello il cui ruolo di copertura è quello di essere il potere dietro il trono di suo marito, il senatore Shaw. Il senatore conduce un’idiota ma influente caccia alle streghe anticomunista mentre si candida contemporaneamente alla carica di vicepresidente, il tutto sotto la direzione di sua moglie, in un tentativo accuratamente pianificato di prendere il potere negli Stati uniti. In cambio del suo consenso, Eleanor Shaw ha venduto suo figlio Raymond (Laurence Harvey, solo tre anni più giovane di Lansbury) ai comunisti, facendo in modo che agisse come l’assassino a cui è stato fatto il lavaggio del cervello che alla fine ucciderà il presidente, così il senatore Shaw, eletto come vice, può succedergli.
Lansbury nei panni di Eleanor Shaw trasuda una minaccia ossessiva, guardando su una primitiva tv in bianco e nero da dietro le quinte mentre suo marito minaccia di denunciare un numero scandalosamente falso di comunisti al Senato. In bilico sullo schermo della tv come un avvoltoio mentre controlla indirettamente la scena, Lansbury aggiunge al potere della donna un tratto spaventoso, agitato, sessualizzato palpitante sotto la superficie, così che anche mentre scruta o fissa suo marito si contrae e si sposta compulsivamente. La disturbante fisicità della performance è straziante. Nello scontro finale tra madre e figlio, dopo che lei lo ha distrutto e si stanno dirigendo verso l’esito del piano, lei ammette tutto. Sembra magra e sudata in questa orribile scena della confessione, come se stesse espellendo le tossine dai pori. E la sua sessualità squilibrata si manifesta quando finisce promettendo di vendicarlo una volta che sarà al potere e lo bacia forte sulle labbra in mezzo a una terribile dissolvenza verso il nero. Dopodiché, è solo questione di tempo prima che si suicidi.
Lansbury ha trovato infinite variazioni delle «stronze venali» che spesso interpretava. Interpretando Isabel Boyd nella commedia di formazione La vita privata di Henry Orient (1964), ad esempio, mette in scena un’altra madre mostruosa con cattivi impulsi sessuali, ma è completamente diversa da Eleanor Shaw in ogni espressione e gesto. Poco profonda, vanitosa e perennemente traditrice del suo ricco marito, Isabel considera la figlia quattordicenne come una rivale per le attenzioni dei suoi fidanzati assortiti. La relazione di Isabel con la grande cotta di sua figlia – l’altrettanto superficiale, vanitoso e traditore compositore/pianista Henry Orient – conduce Lansbury insieme a Peter Sellers, e la loro scena iniziale è un minicapolavoro. Mettono in piedi una scena di seduzione reciproca pacchiana in un linguaggio romantico altisonante con dimostrazioni di rettitudine morale, durante la quale è impossibile dire chi sta dando una dimostrazione di falsità migliore, più matura e più precisa.
Lansbury è stata brillante nel grande schermo, ed è strano considerarla defraudata di tutto il lavoro che non è riuscita a fare. Ma pensate a tutti quei ruoli da protagonista potenzialmente epici che non le sono mai stati proposti e a come la sua carriera cinematografica è stata messa in ombra! Ha descritto amaramente le possibilità perse nella sua biografia autorizzata del 1999 Balancing Act, assieme al modo in cui è passata da un media all’altro, seguendo le migliori opportunità che le si sono presentate.
Almeno c’è un’altra performance da attendere, per quanto piccola possa essere. Il cameo in Glass Onion: A Knives Out Mystery, in uscita alla fine di quest’anno, sarà la sua ultima apparizione sullo schermo.
*Eileen Jones è critica cinematografica di Jacobin e autrice di Filmsuck, Usa. Cura anche il podcast Filmsuck. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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