Laboratorio Barcellona
In concomitanza con le elezioni europee, in molte città dello stato spagnolo ci sono anche quelle comunali. Si vota anche nella città di Ada Colau, dove c'è in gioco molto più di un semplice comune
Domenica 26 maggio è un giorno importante per la Spagna. Non si tengono soltanto le elezioni europee, anche molte città torneranno al voto. I risultati che otterranno i «comuni del cambio», come Madrid, Valencia e Barcellona, sono particolarmente importanti per comprendere come sta evolvendo il ciclo politico aperto nel corso degli ultimi anni.
«Avete un tesoro prezioso che dovete conservare» ha affermato Pablo Iglesias, durante il meeting centrale della campagna elettorale di Barcelona en Comú, la lista di Ada Colau, sindaca uscente della capitale catalana. «Avete qualcosa che hanno in pochi: una sindaca che arriva al potere e non ne diventa parte» ha ribadito.
Ripartire dai Comuni
In questi anni Barcellona è stato il centro di una grossa attenzione da parte della sinistra europea per il suo movimento neo-municipalista, che aveva visto come da una profonda crisi si potessero innescare dinamiche propositive. La Spagna di Viva Zapatero era stato un riferimento per la conquista dei diritti civili (come i matrimoni gay o una maggior libertà d’informazione) durante gli anni oscuri del berlusconismo. Poi però era diventata una preoccupazione per tutta l’Europa negli anni dell’austerity conseguenti alla crisi economica del 2008. Mentre il sistema economico basato sulla bolla speculativa del mattone collassava, la disoccupazione toccava percentuali record (fino al 27%), piú di 500 mila famiglie perdevano la casa e oltre 100 mila giovani emigravano in cerca di un futuro migliore, c’era chi riempiva le piazze per protestare contro i tagli sociali compiuti prima dal socialista Zapatero e poi dal popular Rajoy. Nasceva cosí il movimento degli indignados, che criticava le banche e il capitalismo come i diretti responsabili della crisi. E proprio dalla lotta per la casa e dal suo collettivo principale nello stato spagnolo, la Pah – Plataforma de Afectados por la Hipoteca – si formava quella che pochi anni dopo sarebbe diventata la sindaca di Barcellona: Ada Colau.
Fu lei, assieme ad altri attivisti e sostenuta da alcuni dei partiti della sinistra catalana e spagnola (come Iniciativa per Catalunya Verds e Podemos), a fare il salto alle istituzioni organizzando una nuova forza politica e agglutinando le molte anime della sinistra in un’area di riferimento: i comuns. Il tutto nasce da un primo manifesto del 2014, intitolato Guanyem Barcelona (Vinciamo Barcellona), in cui invitava la popolazione a partecipare in maniera attiva alla vita politica istituzionale. Tramite assemblee e con un complesso lavoro di confluenza tra differenti partiti, riuscí a formare una lista, per candidarsi alle imminenti elezioni municipali, sotto il nome di Barcelona en Comú (Barcellona in Comune).
In quegli anni, la capitale catalana era reduce da 4 anni di governo di Xavier Trias, della vecchia Convergència i Unió (partito catalanista neoliberale), ma soprattutto da 32 di governo socialista, che hanno profondamente trasformato la città soprattutto durante il periodo delle Olimpiadi del 1992, le quali hanno aperto la strada a violenti fenomeni di gentrification in molti quartieri, anche periferici, della città. Contro questi poteri Ada Colau si era opposta, in una campagna elettorale senza esclusioni di colpi, che l’hanno vista, alla fine, vincere contro ogni pronostico. La strada era in salita, perché secondo il sistema elettorale spagnolo per le comunali le regole del gioco sono semplici: non c’è il ballottaggio, i seggi del consiglio comunale vengono distribuiti con un sistema proporzionale. Colau è stata eletta sindaca con 11 seggi su 41, ben lontana dalla maggioranza di 21.
Per avere la maggioranza ha cercato accordi e appoggi, abbastanza difficili, nel frammentato panorama della sinistra, anche indipendentista, catalana. Paradossalmente, ha trovato sponda in un pezzo del passato: i socialisti capitanati da Jaume Collboni. Alleanza comunque insufficiente per arrivare alla maggioranza di 21 seggi: in consiglio comunale la sostenevano 15 eletti in totale. L’accordo è stato relativamente breve, durato quasi due anni, fino al novembre del 2017. Le violenze della polizia spagnola durante il referendum di autodeterminazione catalano e la volontà da parte dei socialisti di commissariare la regione hanno spinto la base dei comuns a rompere il patto.
Se i risultati elettorali non hanno aiutato la sindaca, sicuramente le problematiche della consiliatura appena trascorsa non sono state da meno. Mentre l’amministrazione comunale cercava di risolvere la questione abitativa, multando le banche per le proprietà sfitte nella speranza di metterle nel mercato, si allargava la fetta del mercato speculativo sugli affitti, in parte legato al turismo. Molti inquilini hanno visto i propri contratti d’affitto non rinnovati, perché alcune società speculative hanno comprato interi edifici per trasformarli in appartamenti di lusso o in appartamenti turistici che offrono maggiori margini di rendita. Barcellona è una città di circa 1,6 milioni di abitanti che accoglie quasi 15 milioni di turisti all’anno. L’attentato terroristico dell’agosto 2017, le mobilizzazioni di piazza del referendum di autodeterminazione della catalogna, gli sfratti e sgomberi che non hanno mai smesso di prodursi e le problematiche di gestione dell’ordine pubblico (come le retate dei vigili barcellonesi contro i venditori ambulanti subsahariani) sono stati solo alcuni dei problemi che la sindaca Colau ha dovuto affrontare.
Proprio per queste complessità è difficile fare un bilancio netto dell’amministrazione Colau. Ha senz’altro mantenuto le promesse elettorali, ma molti sottolineano come non sia bastato a far fronte alle problematiche della città, soprattutto nella questione della casa. Ad esempio, anche se la sindaca è riuscita a ridurre notevolmente il numero di appartamenti turistici illegali della città, solo una piccola parte di questi immobili è ritornata disponibile nel mercato degli affitti. E nonostante i prestiti europei ottenuti per costruire nuove case popolari, per il momento, non è stato posato nessun mattone. Per non parlare degli sfratti. In campagna elettorale Colau aveva affermato che «impedire gli sfratti è una questione di volontà politica», scoprendo che nonostante la buona volontà, ne avvengono circa una decina al giorno.
Una campagna elettorale senza quartiere
Nonostante tutti gli impegni, Colau non è certa di poter ripetere la sua esperienza come prima cittadina di Barcellona. Infatti, secondo i sondaggi pre elettorali emerge un testa a testa tra lei e il candidato della sinistra indipendentista repubblicana catalana (Esquerra Repubblicana Catalana, Erc), Ernest Maragall, fratello del socialista Pasqual Magarall, presidente della Generalitat della Catalogna dal 2003 al 2006. Lo stesso Ernest fu consigliere comunale durante i governi socialisti dal 1995 al 2004, e stracció la tessera nel 2012 quando il partito socialista prendeva posizioni sempre piú centraliste e in opposizione al catalanismo crescente, per poi migrare a Erc.
La campagna elettorale è stata dura fin dall’inizio. La stessa Colau ha dato un aut aut alla città affermando «O io o Maragall» ricordando quanto in realtà il candidato di Erc sia un «simbolo del passato». Ancora una volta saranno le periferie della città a decidere chi vincerà. Quartieri come Nou Barris, che per anni avevano votato in massa per i socialisti, nel 2014 avevano scelto il cambiamento della Colau. Nelle ultime elezioni politiche sono tornati a votare i socialisti di Pedro Sanchez, lasciando molti dubbi sullo spostamento delle preferenze.
Nemici-Amici: tra campagna elettorale e scenari
Che vinca Maragall o Colau, quasi tutti danno per scontato un accordo di governo futuro, nonostante il candidato indipendentista abbia più volte smentito che questo scenario sia possibile. Lo stesso ex alleato del governo Colau, il socialista Jaume Collboni, ha definito lo scontro in campagna elettorale come un «ballo prenuziale». I numeri che circolano in queste ore sembrano rafforzare questa previsione. Secondo i sondaggi i due partiti prenderebbero una decina di seggi a testa, e solo la somma dei due consentirebbe di arrivare alla maggioranza di 21 scranni per poter governare. Cosí facendo Colau dovrà unirsi con chi, secondo il suo stesso discorso, «nonostante gli anni al governo della città, non si è opposto mai alle lobby». Nulla di nuovo: nella sua prima campagna del 2014 Colau aveva già criticato «la mafia» che per anni aveva governato Barcellona, puntando il dito contro i socialisti, per poi firmare un accordo con loro. Maragall, come contropartita, dovrebbe rinunciare all’immaginario collettivo indipendentista, disponendosi ad accettare le posizioni più moderate di un’area politica che vorrebbe un nuovo referendum in accordocon lo stato centrale.
Le conseguenze non ricadrebbero solo sulla città, avrebbero effetti anche nella vita politica dello stato spagnolo. Da una parte, una vittoria del partito indipendentista a Barcellona, porterebbe alla facile costruzione di una consolidata maggioranza della popolazione catalana a favore dell’indipendenza della regione. Dall’altra, una vittoria di Barcellona en Comù, ridarebbe vigore a un Podemos al ribasso, permettendogli di mostrare come nei comuni dove ha governato, siano stati ben valutati dalla popolazione, evitando cosí di ridursi a un ruolo di partito di sinistra marginale, che per anni ha avuto Izquierda Unida. Contemporaneamente darebbe più forza a Pablo Iglesias per costringere Pedro Sanchez a formare un governo progressista, evitando la forte tentazione di unirsi ai neoliberali di Ciudadanos.
Occhi puntati quindi su Barcellona, perchè c’è in gioco molto piú di un semplice comune.
*Victor Serri, fotoreporter, vive da 10 anni a Barcellona ed è attivo nei movimenti sociali catalani. Dal 2014 è photoeditor de La Directa, giornale cooperativo di riferimento dei movimenti sociali dei paesi catalani ed è membro di Barnaut, collettivo di informazione in italiano da Barcellona. Ha pubblicato foto e articoli su testate internazionali (El Salto Diario, el Periodico, Giap, Forbes, Extra.ie, ecc.). è corrispondente dalla Catalogna per Radio Onda D’Urto, Radio Onda Rossa, Radio Popolare e altre emittenti.
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