Milei, il quarto ciclo liberista
La vittoria dell'estrema destra anarco-capitalista in Argentina è il segno della crisi del peronismo come progetto di stabilizzazione sociale, di concertazione dei conflitti
L’Argentina, scrive il quotidiano Pagina 12, piomba in una nuova epoca «buia». Javier Milei, l’estroverso e pericoloso candidato ultra-liberista, della coalizione La Libertad Avanza, vince le elezioni presidenziali con il 55,7% sconfiggendo il candidato peronista Sergio Massa, ministro dell’Economia del governo uscente di Alberto Fernandez, che si ferma al 44,3%.
È il frutto del ballottaggio reso necessario dopo che al primo turno, il 22 ottobre, Massa arrivando primo aveva raggiunto il 37% contro il 30% di Milei mente la coalizione di destra tradizionale, Juntos per el Cambio, guidata da Patricia Bullrich, aveva ottenuto il 27%. Questa percentuale si è completamente riversata su Milei esplicitando il significato politico di questa elezione, la saldatura piena tra la tradizionale destra liberista argentina e la nuova corrente populista e violenta, di stampo bolsonarista, incarnata da Milei.
Ancora Pagina 12 definisce questo successo come «il quarto ciclo liberista» che colpisce l’Argentina rintracciandone la prima manifestazione nel programma «presentato alla televisione nazionale il 2 aprile 1976 dal ministro dell’Economia della dittatura militare, José Alfredo Martínez de Hoz». Un programma poi riproposto negli anni Novanta dal presidente Carlos Saul Menem e recentemente da colui che godrà di molti vantaggi dalla vittoria di Milei, l’ex presidente liberista Mauricio Macrì. Milei ha dato alle ricette tradizionali – basate sulla libertà del commercio estero, l’eliminazione delle tariffe pubbliche, dei sussidi, la riduzione del deficit, riduzione drastica della spesa pubblica e nuovo programma di privatizzazioni delle aziende statali – una ventata di populismo reazionario, concentrando la sua accusa contro le rendite parassitarie di Stato, lo smantellamento dell’apparato elitario peronista, ma anche la destrutturazione delle lotte sindacali e operaie e la «dollarizzazione» dell’economia. Esattamente come fece, con risultati disastrosi, Menem nel corso degli anni Novanta portando l’Argentina al fallimento del 2001, a una delle crisi più acute della sua storia e alla rinascita di un peronismo «sociale» con Nestor Kirchner e poi con sua moglie Cristina Fernandez, simbolo evidente dell’offensiva scatenata da Milei.
«Oggi inizia la fine della decadenza e la ricostruzione dell’Argentina», ha dichiarato a caldo dopo la vittoria il neo-presidente. «Abbiamo chiuso con il modello della casta, oggi inauguriamo il modello della libertà per tornare a essere una potenza mondiale». Milei ha certamente beneficiato della situazione economica argentina che si trova in una delle fasi di maggior criticità: l’inflazione ha raggiunto il 143% nel 2023, con un salario minimo che non supera i 380 euro mensili, la soglia di povertà riguarda il 40% della popolazione, lo spettro del 2001 è di nuovo davanti agli occhi. Di fronte a questa situazione la proposta di «dinamitare» la Banca centrale ha evidentemente ottenuto il plauso popolare: la sua vittoria è praticamente uniforme su scala nazionale tranne nella provincia di Buenos Aires storico bastione peronista.
Milei ha promesso che i cambiamenti si faranno «senza gradualità», affermazione che potrebbe significare la fine delle pensioni pubbliche o addirittura la chiusura della Banca centrale.
Per molti si tratta della rivincita di Macrì: «Non c’è dubbio che oggi inizia un’era» ha twittato l’ex presidente dal 2015 al 2019. La coalizione Juntos per el Cambiò, che lo aveva già sostenuto, perdendo, nel 2019, ha votato in massa per Milei dimostrando sul campo il patto che si è realizzato tra la borghesia argentina e il nuovo radicalismo «anarco-capitalista» come lo stesso Milei si definisce.
Un patto incardinato dentro la stessa tradizione della destra argentina come scriveva giorni fa Julia Almeida su Jacobin America Latina: «La crisi economica e il suo legame con il governo di Alberto Fernández, l’intensificarsi dei conflitti sulla legalizzazione dell’aborto, e l’aumento della violenza politica sono elementi centrali per comprendere le elezioni argentine e l’ascesa dell’estrema destra». Ma oggi si verifica un cambio di passo significativo.
Le condizioni per l’affermazione di una posizione violenta e radicale esistevano già sul campo come «dimostrano importanti indagini dell’Adel ( Laboratorio per lo Studio della Democrazia e dell’Autoritarismo)». Un altro risultato molto rilevante della ricerca condotta dal Progetto di Ricerca Pluriennale (Pip-Conicet), scrive ancora Almeida, è la crescita nella società argentina di una «visione che intende la giustizia sociale come privilegi di un certo gruppo, che succhia risorse allo Stato, rivelando un indebolimento sociale di un paradigma solidale». Pertanto, quando Milei afferma che la giustizia sociale è un furto, «trova eco in una generazione, soprattutto tra i giovani, che rifiuta le politiche di sicurezza sociale perché le associano all’ingiustizia». «È vero che la difesa di un’agenda neoliberista non è monopolizzata solo dall’estrema destra. Tuttavia, almeno in America Latina, il settore che negli ultimi anni si è radicalizzato e ha preso la direzione politica di questa agenda economica è l’estrema destra».
Punto di raccordo tra l’estrema destra classica e questa nuova componente iper-radicalizzata, è la futura vicepresidente, Victoria Villarruel, che ha condito i vecchi programmi con nuove visioni «razziste», con la rivendicazione dell’ascendenza europea, e riproponendo il negazionismo rispetto all’ultima dittatura argentina sostenendo che i «desaparecidos» siano stati «solo» 8.000 e non 30 mila come ormai accertato.
Milei urla «Viva la libertà, maledizione!» conferendo un carattere sacrale al grido di battaglia, concependola come una miscela di individualismo e un richiamo al «farcela da soli» con un ruolo autoritario dello Stato. Sui diritti civili e le questioni di genere, Milei promette di abrogare la legalizzazione dell’aborto e sostiene che un’educazione sessuale completa nelle scuole e una politica sulla diversità sessuale «deformano le menti dei bambini» e intendono distruggere una componente essenziale della società, «la famiglia».
Altro cavallo di battaglia sarà poi il negazionismo climatico. La motosega, divenuta ormai l’immagine emblematica del nuovo presidente argentino e raffigurante la sua determinazione a combattere la casta, è anche la rappresentazione simbolica della devastazione ambientale di cui, come Bolsonaro in Brasile, intende farsi protagonista. Milei ha sostenuto che non rispetterà l’Agenda 2030 né l’Accordo di Parigi e ha definito l’ambientalismo come parte di un’«agenda post-marxista».
Ci si è chiesti se Milei e il suo movimento siano contigui o meno a una pulsione fascista. Negando questa eventualità il Fronte della sinistre racchiuso nel FiT, Frente de Izquierda y de Trabajadores-Unidad, composto da formazioni trotzkyste e che al primo turno ha ottenuto solo il 2,7% con Myriam Bergman, ha deciso di non dare indicazione di voto tra Massa e Milei, scelta criticata, ad esempio, da Jacobin America Latina e aprendo la strada a una discussione movimentata. L’autore dell’articolo, Martin Mosquera, ha sostenuto che non sarebbe stato necessario identificare una minaccia fascista per indicare il voto contro Milei definendo comunque il suo progetto «l’ipotesi di una potenziale evoluzione verso una forma di bonapartismo autoritario all’interno della democrazia liberale, con l’obiettivo di facilitare l’attuazione della terapia d’urto neoliberista». «Naturalmente – continua Mosquera – al momento non esistono bande paramilitari, ma si registra un aumento della mobilitazione, della politicizzazione di massa e della capacità di prendere l’iniziativa, in molti casi, in modo violento».
Gli estremi per parlare di nuovo «momento buio» ci sono dunque tutti e interpellano profondamente il peronismo che esce distrutto da questa competizione e che attorno al volto moderato e dialogante di Massa aveva cercato di tenere insieme le sue varie componenti in Uniòn por la Patria: dal peronismo di centrosinistra del Partito giustizialista al Frente Renovador dello stesso Massa, più liberale, dal Partito comunista al Partito popolare conservatore, e così via. Il peronismo al governo ha prodotto i risultati economici che abbiamo visto, il Pil argentino nel 2022 era ancora inferiore a quello del 2017, e in questa dinamica di subordinazione al capitale globale – l’Argentina ha un debito da ripagare con il Fondo monetario internazionale di 44 miliardi di dollari – e con un’inflazione fuori controllo, ha portato alla compressione strutturale dei salari e alla scomposizione della classe lavoratrice in cui è fortemente aumentata la componente informale e precaria che, sommata al lavoro autonomo, raggiunge circa il 48% della forza lavoro.
Dentro questa struttura sociale si annida gran parte del voto per Milei e matura la crisi del peronismo soprattutto come progetto di stabilizzazione sociale, di concertazione dei conflitti tramite l’integrazione delle centrali sindacali nel suo perimetro e una gestione dell’economia fondamentalmente mirata, come è sempre stato nel progetto peronista, a rappresentare e rassicurare il grande capitale argentino dopo gli eccessi ultra-liberisti. Lo ha fatto dopo la grande crisi del 2001 e poi ancora con Albert Fernandez dopo Macrì.
Come si articolerà ora l’opposizione a Milei e come reagiranno le forze sociali, che nella risposta alla grande crisi del 2001 ebbero un ruolo determinante anche per l’ascesa del kirchnerismo, sono le grandi incognite di un paese che di nuovo affronta una pagina oscura della propria storia.
*Salvatore Cannavò, già vicedirettore de Il Fatto quotidiano e direttore editoriale di Edizioni Alegre, è autore tra l’altro di Mutualismo, ritorno al futuro per la sinistra (Alegre) e Si fa presto a dire sinistra (Piemme).
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