Sui migranti l’Ue persevera negli errori
La proposta di direttiva sull'immigrazione recentemente presentata dalla Commissione continua a riprodurre le visioni del passato su ragioni e natura del fenomeno
Il 28 novembre 2023, nel corso di una conferenza internazionale tenutasi a Bruxelles, la Commissione europea ha annunciato il lancio di un’Alleanza globale contro il traffico di migranti. Nella stessa occasione, la Commissione ha inoltre presentato due proposte legislative, concernenti una nuova direttiva anti-traffico (che sostituirebbe l’attuale legislazione contenuta nel Facilitators Package del 2002) e un regolamento volto a rafforzare il ruolo di Europol nel contrasto al traffico di migranti, aumentando la cooperazione tra agenzie dell’Unione e tra Ue e paesi terzi.
Tanto l’Alleanza globale quanto le proposte legislative si inseriscono in un interesse più ampio e di lunga durata della Commissione europea rispetto allo smantellamento di quelle che vengono definite come reti di trafficanti, recentemente reiterato nel Piano in dieci punti per Lampedusa di Ursula von der Leyen o nel Memorandum d’intesa tra Ue e Tunisia. Come ha spiegato von der Leyen nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 2023, l’Ue sa «che la migrazione richiede un lavoro costante, importantissimo soprattutto nella lotta contro le reti dei trafficanti di esseri umani. Con le loro menzogne i trafficanti attirano persone disperate, le trasportano per il deserto su strade che le conducono verso la morte o le caricano su barconi inadatti alla navigazione. […] Abbiamo bisogno di applicare più rigorosamente la legge, di perseguire questo reato e di dare un ruolo più incisivo alle nostre agenzie: Europol, Eurojust e Frontex. […] È ora di porre fine a questa attività efferata e criminale!».
Tre aspetti della nuova proposta di direttiva anti-traffico meritano, tra gli altri, particolare attenzione: il modo in cui essa continua ad affrontare l’aiuto alla migrazione irregolare come un’attività esclusivamente e intrinsecamente criminale, nelle mani di reti transnazionali di trafficanti; l’introduzione – positiva ma ancora troppo limitata – dell’esistenza di un profitto finanziario o materiale come requisito essenziale per la configurazione del reato di traffico di migranti; il ruolo crescente assegnato alle agenzie di law enforcement e controllo delle frontiere all’interno dell’Ue e nei paesi terzi.
Una visione ristretta del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare
Partendo dal primo punto, la Commissione reitera la propria idea che il favoreggiamento dell’immigrazione irregolare sia un fenomeno strutturalmente criminale ed esclusivamente nelle mani della criminalità organizzata. Nella proposta, tutti i facilitatori continuano a essere descritti esclusivamente come criminali «che mettono in pericolo la vita umana e offendono la dignità delle persone allo scopo di ottenere profitti elevati, minando i diritti fondamentali» delle persone migranti.
Mettendo da parte le sfumature moralistiche di questa affermazione, appare anzitutto evidente come i fatti ne abbiano ampiamente svelato, nel corso degli anni, la portata estremamente limitata. Come mostrato da un report del 2018 di Unodc, l’agenzia Onu con competenza sul crimine transnazionale, l’organizzazione e la dimensione delle attività inerenti il traffico di migranti variano ampiamente, coinvolgendo di frequente strutture ben diverse dalle reti del traffico così tanto spesso evocate. I dati che emergono da studi e ricerche suggeriscono che coloro che a essere colpiti dalle politiche repressive degli stati del nord globale sono nella maggior parte dei casi individui (e non gruppi organizzati) e, nel contesto europeo in particolare, persone migranti che cercano di limitare il costo da corrispondere ai facilitatori o che si ritrovano a vario titolo coinvolte in maniera del tutto occasionale in processi di aiuto alla migrazione irregolare.
Ricerche condotte in Italia e in Grecia hanno sistematicamente dimostrato, ad esempio, che nella migrazione via mare le persone migranti spesso prendono il controllo delle imbarcazioni su cui viaggiano o svolgono altri compiti di navigazione al solo scopo di salvare la propria vita e quella di coloro che viaggiano insieme a loro. Eppure, nel corso delle indagini queste persone vengono sovente identificate o etichettate come membri di reti criminali; lo dimostra, tra gli altri, il rapporto «Dal mare al carcere», da cui risulta che in Italia, dal 2013, sono state perseguite oltre 2.500 persone migranti accusate di aver condotto delle imbarcazioni e di essersi rese responsabili del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, mentre cercavano solamente di mettersi in salvo. Nonostante il Protocollo delle Nazioni unite contro il traffico di migranti escluda che le persone che si avvalgono di facilitatori dell’immigrazione irregolare per fuggire da situazioni di pericolo possano essere perseguite, migliaia di persone migranti hanno finito col diventare il primo bersaglio delle operazioni anti-trafficanti dell’Ue.
È quindi preoccupante che la Commissione non sia riuscita, per l’ennesima volta, a riconoscere le complessità presenti nel favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Così, invece di fornire una protezione efficace e vie di accesso legali e sicure a coloro che cercano di raggiungere l’Ue, la nuova proposta di direttiva prevede condanne più lunghe per chiunque venga ritenuto coinvolto nel traffico. Questa tattica può essere concepita come una sorta di «populismo penale», attraverso il quale i governi, al fine di ottenere sostegno politico, impongono sanzioni più severe contro coloro che si trovano a bordo delle imbarcazioni e facilitano uno o più segmenti di viaggi considerati irregolari. Sanzioni più severe, lungi dal ridurre l’incidenza del traffico di migranti, porteranno invece alla crescita del numero di persone detenute e accusate di questo reato.
La questione del profitto
In secondo luogo, una delle innovazioni più importanti della proposta di direttiva è l’introduzione dell’esistenza di un profitto finanziario o materiale come elemento costitutivo del reato di traffico di migranti, accogliendo così una richiesta ripetutamente avanzata, nel corso di tanti anni, da esperti, agenzie delle Nazioni unite, Parlamento europeo, avvocati e organizzazioni della società civile. Sebbene questa modifica non escluda esplicitamente e nella loro interezza gli atti di assistenza umanitaria dal rischio di criminalizzazione (come riconosciuto dalla stessa Commissione nella proposta), di fatto li pone al di fuori dell’ambito di applicazione del reato, in continuità con le linee guida pubblicate dalla Commissione nel 2020.
Tuttavia, il linguaggio della proposta suggerisce che coloro che forniscono assistenza umanitaria saranno gli unici attori a beneficiare di questa riconfigurazione del reato, mentre altri, come le persone migranti che contribuiscono al processo di attraversamento delle frontiere, ad esempio conducendo le imbarcazioni nel Mar Mediterraneo, non riceverebbero lo stesso trattamento. Anche dimostrando l’assenza di qualsivoglia profitto finanziario o materiale, potrebbero infatti essere comunque perseguite ai sensi dell’articolo 3(1)(b) della proposta di direttiva in quanto le loro azioni presentano «un’elevata probabilità di causare un danno grave a una persona».
La definizione di traffico di migranti fornita dal Protocollo delle Nazioni unite e prevista dal diritto internazionale non menziona in alcun modo questa eccezione al requisito del profitto finanziario o materiale. È quindi difficile trovare la logica che ha spinto la Commissione a includerla nella sua proposta di direttiva, a meno che il suo vero scopo non sia quello di continuare a criminalizzare i facilitatori occasionali e le persone migranti. Come dimostra il lavoro del Captain Support Network e di numerose altre organizzazioni, i soccorritori che si muovono nell’ambito di una risposta umanitaria più o meno istituzionalizzata – nella stragrande maggioranza, bianchi europei – vengono perseguiti penalmente solo in rari casi (nonostante siano comunque oggetto di tante altre forme di repressione), mentre le persone migranti razzializzate sono e continueranno a essere ampiamente perseguite per il solo tentativo di voler raggiungere un luogo sicuro.
Maggiore coinvolgimento delle agenzie Ue
Infine, considerando la nuova proposta di direttiva congiuntamente alla proposta di regolamento relativa a Europol e al lancio dell’Alleanza globale, sembra delinearsi un ruolo ancora più incisivo per Europol e Frontex in una sorta di caccia agli scafisti sul globo terracqueo di meloniana memoria, stavolta in salsa europea. Alcuni elementi della proposta puntano al consolidamento del ruolo di Europol nella produzione e condivisione di dati sul traffico di migranti (soprattutto alla luce dell’introduzione – o, meglio, ridenominazione – dello European Centre against Migrant Smuggling, codificato dalla proposta di regolamento). Al tempo stesso, il riferimento a una cooperazione più forte con i paesi terzi suggerisce un coinvolgimento ancora maggiore dell’Ue e delle sue agenzie di law enforcement e controllo delle frontiere nelle attività di lotta al traffico di migranti nei paesi che si trovano alle porte dell’Unione (e oltre). I recenti sviluppi, invisi all’Ue, in Tunisia (con la restituzione dal paese nordafricano all’Ue di 60 milioni di euro stanziati per attività di controllo delle frontiere) e in Niger (dove è stata abrogata la legislazione sul traffico di migranti) non fanno che accrescere le preoccupazioni rispetto al ruolo specifico che potrà essere affidato alle agenzie Ue, in particolar modo nel loro lavoro all’interno di paesi terzi.
La proposta di direttiva anti-traffico recentemente presentata dalla Commissione continua a riprodurre una concezione pericolosamente monolitica e riduttiva del favoreggiamento dell’immigrazione irregolare come dominio esclusivo di reti transnazionali del crimine organizzato, ignorando deliberatamente l’enorme quantità di dati empirici che indicano invece la netta prevalenza di fenomeni di favoreggiamento dell’immigrazione su piccola scala e senza il coinvolgimento di organizzazioni criminali, nei quali appare difficilmente riscontrabile alcun intento criminale o profitto. Questo processo rende ancor più agile la criminalizzazione delle persone migranti razzializzate che si mettono in viaggio per raggiungere un luogo sicuro nel territorio dell’Unione. Sebbene l’inclusione dell’esistenza di un profitto finanziario o materiale come elemento costitutivo del reato di traffico rappresenti un’importantissima innovazione, la proposta di direttiva pone ancora una serie di sfide che rendono puramente retoriche, nella migliore delle ipotesi, le promesse di aumentare i canali sicuri e legali per accedere all’Europa. Ciò appare ancor più vero alla luce del recente accordo raggiunto da Parlamento e Consiglio sulla riforma del sistema di asilo e migrazione.
*Federico Alagna si occupa di ricerca sulle politiche migratorie europee ed è attivo in vari contesti di impegno politico e sociale, in particolare sul fronte del diritto alla città e delle migrazioni, in Italia e all’estero. Fa parte del movimento Cambiamo Messina dal Basso e di Mediterranea – Saving Humans ed è stato assessore alla cultura di Messina tra il 2017 e il 2018. Gabriella Sanchez è un’antropologa socio-culturale, con un background in attività di law enforcement. Il suo lavoro di ricerca si concentra sullo studio del favoreggiamento della migrazione irregolare e della sua criminalizzazione. Attualmente è ricercatrice presso la Georgetown University. Questo articolo è stato pubblicato in inglese sul Border Criminologies Blog.
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