
TikTok e il Proletkult
Il nuovo social media genera ricavi multimiliardari e appartiene a una corporation. Ma alcuni suoi utenti hanno ritagliato lo spazio per costruirci una forma di militanza generazionale, fuori dal controllo di genitori e stato
TikTok, la sesta piattaforma di social media più popolare al mondo, ha avuto un picco di diffusione durante la pandemia di Coronavirus. Sebbene sia popolata principalmente da giovani che condividono stupidi video musicali fatti in casa, l’app di proprietà cinese è diventata una partita politica, poiché i governi di India e Stati uniti, sotto l’allora presidente Trump, hanno tentato di vietarla nel 2020, accusando la piattaforma di favorire gli interessi geopolitici cinesi.
Tuttavia, TikTok deve essere vista da un’altra prospettiva rispetto alla sua relazione con le guerre commerciali globali. TikTok è riuscita a suscitare nei suoi utenti un entusiasmo per il potenziale emancipatore e persino rivoluzionario della comunicazione digitale, simile a quello associato ai primi anni di Internet. TikTok è un prodotto aziendale che genera ricavi multimiliardari per i suoi proprietari, è vero. Ma vale la pena indagare il senso che all’app attribuiscono i suoi utenti.
Dopo aver scaricato per la prima volta l’app, non sono riuscito a staccarmene per ore, affascinato dall’energia, dall’ingegno e dall’audacia dei suoi utenti. Anche i suoni e le danze continuamente ripetuti, intercettati di tanto in tanto da messaggi politici, mi hanno colpito con una strana familiarità. TikTok mi ha ricordato il Blue Blouse, un movimento teatrale agitprop sovietico che esisteva dal 1923 all’inizio degli anni Trenta; da «giornale vivente» (i cui attori di solito indossavano camicette blu, da cui il nome) si era trasformato in una piattaforma creativa nazionale di settemila compagnie di tutto il paese.
Le esibizioni del Blue Blouse venivano spesso allestite nei circoli dei lavoratori e nelle mense delle fabbriche durante le pause pranzo. Mettevano a confronto l’informazione politica con l’intrattenimento e l’umorismo e normalmente iniziavano con una presentazione tematica seguita da brevi aggiornamenti di notizie e sketch satirici. Danze energiche e mosse acrobatiche si alternavano a contenuti politici. Il movimento aveva una rivista che di volta in volta divulgava le linee guida per la messa in scena di spettacoli, copioni standard e suggerimenti per le prove.
Una struttura comune ed elementi artistici ripetitivi riprodotti in tutto il paese resero riconoscibili le loro performance. È importante sottolineare, tuttavia, che ogni performance non si limitava a riprodurre mosse e contenuti standard: era anche fortemente modellata sul contesto locale, riflettendo questioni a esso connesse. Si tratta dunque di un precursore analogico dei suoni e delle mosse di TikTok, rievocato da creatori di tutto il mondo, con un pizzico di individualità e contestualizzazione locale.
L’atmosfera da «giornale vivente» era particolarmente evidente nella sezione statunitense di TikTok al culmine delle proteste di Black Lives Matter dello scorso anno. Aggiornamenti dalle strade, contenuti educativi e satira politica hanno inondato l’app. Tutto ciò ha assunto una regolarità tale che persino i commentatori conservatori se ne sono accorti: Tucker Carlson di Fox News ha denunciato «la nuova Rivoluzione Culturale», paragonando i giovani creatori di TikTok che hanno esposto pubblicamente il razzismo e l’omofobia dei genitori conservatori a Pavlik Morozov, il personaggio della propaganda sovietica che denunciò suo padre kulako alle autorità.
Il conflitto generazionale è una delle spinte principali di chi crea su TikTok, la maggior parte dei quali ha tra i quindici e i venticinque anni. Ma sarebbe gravemente fuorviante vedere TikTok semplicemente come un fenomeno sottoculturale. I creatori di TikTok prendono in giro il razzismo, l’omofobia, il nazionalismo e le diverse forme di supremazia culturale come un’eredità generazionale a cui si oppongono in forma militante.
Secondo Why We Post, un progetto di ricerca antropologica su larga scala condotto nel 2012-2016 in una dozzina di siti in tutto il mondo, le persone tendono a evitare post politici sui social media più popolari come Facebook per non incitare conflitti con loro famiglia, amici e colleghi. Invece, social media più privati come WhatsApp possono essere utilizzati per scambiare contenuti politici e persino facilitare azioni politiche. TikTok sfida questo aspetto in gran parte depoliticizzato dei social media pubblici con una militanza conflittuale e priva di scrupoli.
Ciò può essere in parte spiegato dal fatto che la piattaforma è considerata dai suoi giovani utenti soprattutto uno «spazio senza genitori». Anche se i giovani stanno articolando i loro messaggi politici nel modo creativo e divertente consentito da TikTok anche nei paesi in cui non c’è solo la tua nonna conservatrice a monitorare da vicino i tuoi contenuti sui social medi, ma anche lo stato.
I social media più popolari usano l’amicizia come modello per l’interazione sociale. I tuoi primi contatti su Facebook o Instagram sono persone con cui sei personalmente connesso nella vita reale. TikTok funziona in modo diverso, poiché l’incentivo ultimo per i creatori è quello di apparire sul feed generato automaticamente dei contenuti suggeriti. Pertanto, i creatori si rivolgono a un vasto pubblico di utenti che la pensano allo stesso modo, molto al di fuori non solo della loro vicinanza sociale ma anche geografica.
Gli algoritmi rafforzano questo aspetto, il che rende TikTok molto segmentato e nettamente diviso tra mainstream, spesso chiamato in modo sprezzante «Straight TikTok», pieno di balli e video di sincronizzazione labiale e aree progressive multi-genere come Black TikTok, Queer TikTok, EduTok e così via. La solidarietà è spesso il modello di interazione sociale su TikTok più dell’amicizia. La base per i social network creati e mantenuti sulla piattaforma non sono le connessioni personali ma valori e punti di vista condivisi.
I progressi tecnologici sono sempre inclini a promesse rivoluzionarie, che possono essere rapidamente tradite. Ricordiamo tutti il ruolo cruciale che Twitter e Facebook hanno svolto nelle mobilitazioni politiche degli anni 2010 come la Primavera araba, solo per portare alla fine a una censura politica intensificata e al controllo aziendale. Il tempo dirà se i creatori di TikTok sono davvero una reincarnazione digitale del Proletkult, in grado di «unire i sentimenti, i pensieri e la volontà delle masse e sollevarle», come disse una volta Lenin, o se è solo un altro carnevale digitale, buono per poco più che lasciare sfogare energia ribelle sotto lo stretto controllo di algoritmi e interessi aziendali.
*Georgy Mamedov è un attivista Lgbt. Vive a Bishkek, in Kyrgyzstan. Si è occupato anche di comunismo queer. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.
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