Un candidato per Una città in Comune
Domenica e lunedì si vota anche a Pisa, dove una lista di cittadinanza e un candidato sindaco che viene dai movimenti sociali sfidano l'unanimismo di centrodestra e centrosinistra locali
Domenica 14 e lunedì 15 maggio si terranno le elezioni comunali del 2023. Come recita il sito del ministero dell’Interno, «andranno al voto 598 Comuni di regioni a statuto ordinario, di cui 13 capoluoghi di provincia e 91 sopra 15.000 abitanti». Complice il mancato accorpamento con le elezioni regionali di Lazio e Lombardia di febbraio, e delle amministrative friulane del mese scorso, l’evento non ottiene grande rilevanza nazionale, anche se rappresenta, più che un ulteriore banco di prova per il governo Meloni, un primo test per il «nuovo corso» del Partito democratico e per le varie declinazioni locali dei tentativi di aggregare un «centrosinistra largo». Del resto, sopra i centomila abitanti, oltre all’unico capoluogo di Regione – Ancona – ci sono solo Catania e Siracusa (dove però, come nel resto delle isole, il primo turno ci sarà il 28 e 29), Latina, Terni, Brescia e Vicenza. Contesti variegati ma non privi di interesse: ad esempio, nel capoluogo laziale, Damiano Coletta, primo a strappare l’ex Littoria al centrodestra, era stato riconfermato di misura nel 2021 ma senza ottenere la maggioranza del consiglio: all’opposizione è bastato così dimettersi per convocare nuovamente alle urne le cittadine e i cittadini a distanza di pochi mesi – anche se in questo caso, essendoci solo due sfidanti, si può escludere il ballottaggio.
Anche e più che dei centri maggiori, i comuni hanno però spesso rappresentato, fin dagli albori del movimento operaio italiano, luoghi di sperimentazione democratica; al contempo, più che nel dibattito nazionale, uno sguardo locale permette di vedere gli interessi e le persistenze con cui qualsiasi, più o meno sincero, tentativo di rinnovamento del centrosinistra «classico» si deve confrontare. Una sfida paradigmatica in questo senso è quella che si consuma sotto la torre pendente.
A Pisa – in quella Toscana dove i lasciti politici, culturali ed economici del renzismo sono ben visibili, a partire dalle figure di Eugenio Giani (presidente della Regione) e di Dario Nardella (sindaco di Firenze), protagonisti o appassionati sostenitori di meraviglie come le Multiutility – compie dieci anni Una città in Comune, tra le più longeve liste di cittadinanza e tra le poche superstiti della rete che proprio dieci anni fa queste esperienze provarono a costituire. Non avendo avallato le scelte scellerate del centrosinistra cittadino ai tempi della giunta Filippeschi (oggi grande sponsor della stessa Schlein, che a sua volta ha sostenuto con ben due incontri, l’ultimo per la chiusura della campagna elettorale, il candidato del centrosinistra), Una città in Comune (Ucic) ha potuto rappresentare nei cinque anni dei «barbari» leghisti al governo della città una voce di opposizione coerente, anche costruttiva, ma soprattutto capace. È grazie al loro unico consigliere, il candidato sindaco Ciccio Auletta, che la cittadinanza ha scoperto il piano di utilizzare 190 milioni di euro di soldi pubblici, sottratti al Fondo di Coesione Sociale 2021-2027, per costruire una base militare a Coltano, occupando 73 ettari all’interno del Parco Naturale di Migliarino San Rossore Massaciuccoli e riempiendoli con 440.000 metri cubi di cemento. In questa intervista, cerchiamo di capire l’esperienza e l’elaborazione decennale di Ucic e cosa può insegnare alle tante realtà locali che provano a costruire «Un domani diverso» a partire dai territori.
Puoi raccontarci come nasce Ucic? Dieci anni dopo, come sono evolute le ragioni e le forze del progetto?
Una città in Comune nasce dieci anni fa dalla volontà e necessità di tante e tanti attivisti negli ambiti più diversi per la giustizia sociale e ambientale, per la pace, per i diritti, nella difesa dei beni comuni e degli spazi sociali, di contrastare le politiche liberiste e repressive del centrosinistra che governava la città trasformando questa partecipazione in rappresentanza politica in grado di cambiare radicalmente Pisa, facendola diventare sostenibile, accogliente, equa, carica di futuro. Nasce così una lista di cittadinanza saldamente collocata dentro i valori e gli obiettivi della Costituzione, concentrata non sulle alchimie partitiche bensì al contrario sui contenuti e buone pratiche pubbliche.
In dieci anni di tenace e instancabile opposizione alle amministrazioni che si sono succedute, siamo diventati un punto di riferimento per una miriade di vertenze e realtà sociali e a imporre al centro del dibattito pubblico visioni alternative alle ricette unanimi e inique del centrodestra e del centrosinistra, all’adeguamento passivo all’esistente e ai poteri forti. A questa tornata elettorale ci presentiamo, in coalizione con Unione Popolare, forti di questa esperienza e radicamento anche nei quartieri.
Il primo macro-punto del programma di Ucic è la giustizia climatica e ambientale. Dall’opposizione alle grandi opere inutili, alla gestione dei rifiuti, passando per la mobilità, come si può affrontare l’urgenza della crisi climatica partendo da un Comune come Pisa?
Semplicemente decidendo davvero di affrontarla. Fino a oggi infatti, centrosinistra prima e centrodestra poi, se pur con diverse retoriche, nella sostanza hanno fatto bene poco. Il problema è proprio questo: di politiche climatiche se ne parla tanto, ma si fa pochissimo se non proprio il contrario di quello che sarebbe necessario.
Noi proponiamo di invertire radicalmente la logica (che poi si tratta di attuare quello che indicano il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu – l’Ipcc – e gli accordi internazionali): partiamo dagli obiettivi, chiari e definiti, e identifichiamo la strategia migliore per raggiungerli. Inutile farsi belli con qualche intervento spot fine a sé stesso, dobbiamo allocare le risorse dove si possono ottenere i maggiori risultati, perchè il tempo è poco e la sfida imponente. Sarà necessario agire su tutti i fronti, dalla mobilità sostenibile, alle generazione di energia, dallo stop al consumo di suolo alla forestazione urbana: riduzione delle emissioni e adattamento ai cambiamenti già in atto, garantendo la giustizia sociale.
La sfida del clima ha bisogno di un’azione contestuale a tutti i livelli di governo, e le città possono svolgere un ruolo cruciale: il cambiamento culturale. Non è pensabile, infatti, sperare di raggiungere obiettivi così ambiziosi (-40% delle emissioni entro il 2040 e neutralità climatica entro il 2050) senza contare su un cambiamento culturale delle persone che vivono tutti i giorni le città. Dobbiamo far vedere, ad esempio, come una diversa mobilità, pubblica, condivisa, leggera, migliora la qualità della vita di tutte le persone: ridurre drasticamente i veicoli privati che transitano nelle strade libera spazi da usare per altro, aumenta la sicurezza (quella vera) nelle nostre città, migliora la salute pubblica. Ma per far questo è necessario dotarsi degli strumenti giusti per governare i processi: un assessorato dedicato e un tavolo territoriale permanente per l’emergenza climatica sono le nostre proposte per far sì che il cambiamento necessario sia più condiviso possibile e che gli interventi individuati rispondano alle reali esigenze e possibilità e che abbiano più probabilità di produrre cambiamento.
Poi ci sono le scelte dirette della pubblica amministrazione: purtroppo il centrosinistra che governa la Regione Toscana ha privatizzato il trasporto pubblico locale, privando i Comuni delle leve per agire sulle linee locali. Ma possiamo ancora agire sulle reti ferro-tranviarie e, soprattutto, investire sulle reti ciclopedonali. La nostra città è piccola e in pianura, può essere girata agilmente a piedi e in bicicletta. Poi ci sono le comunità energetiche, che se ben governate dal pubblico e sottratte alla speculazione possono rappresentare uno strumento per rilanciare la generazione energetica da rinnovabili diffusa e con una forte impronta sociale. E ancora l’economia a km0, le produzioni agroalimentari di qualità e di prossimità, che hanno bisogno di essere sostenute con serietà e continuità per poter contrastare le economie predatorie dei mercati internazionali.
Un piano molto articolato e complesso dunque, ma per liberare risorse, è necessario prima di tutto compiere un’altra scelta di campo: basta ai grandi investimenti per agevolare lo scorrimento del traffico automobilistico, non si fa che incentivarne l’uso distruggendo il territorio e buttando via soldi pubblici. Si pensi che a Pisa il Pd ha ideato la realizzazione di una tangenziale (progetto nato già vecchio) utilizzando soldi della sanità con la scusa che collegherebbe il nuovo ospedale!
Basta con le politiche delle compatibilità, delle azioni solo se non disturbano nessuno, delle grandi opere camuffate di verde: è necessario fare una scelta di campo a tutto tondo. Da qui la nostra assoluta contrarietà al modello grandi opere si chiamino nuova Pista di Peretola o Darsena Europa
Nel secondo macro-tema, quello sui «diritti di tutt3», contrariamente a certe narrative provate a tenere insieme i diritti civili, «una città femminista», la sfida delle «nuove migrazioni», con i diritti sociali. Dalla «guerra alla povertà, non ai poveri» al diritto all’abitare: proprio a una settimana dal voto, la lotta dal basso delle cittadine e cittadini di Sant’Ermete ha portato a una vittoria importante. La presenza di Ucic in consiglio comunale in questi anni ha mostrato un’efficacia su questi temi? E cosa potreste fare in futuro?
Credo che la presenza di Una Città in Comune sia stata molto importante perché ha consentito di tenere insieme, dentro e fuori il consiglio comunale, numerose lotte di tante realtà associative, sindacati, movimenti sociali. Una battaglia che siamo riusciti a vincere è quella contro tutti i criteri discriminatori per l’accesso alle politiche di welfare (casa, asili nido, servizi sociali) collegati alla storicità della residenza.
Un tema molto importante su cui invece vorremmo poter incidere in futuro è il diritto all’abitare. Pisa è la capitale degli sfratti in rapporto al numero degli abitanti e per percentuale di crescita: si tratta di un primato inaccettabile e rispetto al quale occorre fornire soluzioni in tempi rapidi. Nel 2022 il Comune di Pisa ha speso oltre un milione di euro in albergazione non mettendo a disposizione alloggi per l’emergenza abitativa, mentre 90 sono i minori che da un anno e mezzo vivono in bed and breakfast. Tutto questo mentre sono troppi gli alloggi pubblici lasciati vuoti (180), così come le case lasciate sfitte nel mercato privato (4.000): una situazione che non fa altro che drogare il mercato, facendo aumentare senza sosta il costo degli affitti sia delle abitazioni destinate alle famiglie, sia di quelle destinate agli studenti universitari (+10% da settembre 2022). Tra le tante proposte in tema di diritto alla casa, prevediamo il recupero di tutti gli alloggi pubblici in tempi rapidi, favorendo anche i lavori in autorecupero, mentre per quanto riguarda il mercato privato proponiamo l’attivazione immediata di un tavolo di concerto con la Prefettura, con le rappresentanze dei proprietari di immobili e i sindacati degli inquilini per ricontrattare i canoni in essere e per calmierare i futuri canoni per singoli e famiglie che dimostrino perdita di reddito. Vanno recuperati i grandi edifici abbandonati a partire da una casa dello studente da oltre 500 posti letto lasciati in abbandono da oltre 10 anni. Occorre la requisizione degli alloggi delle grandissime proprietà se necessario.
Il primo punto in materia di giustizia sociale è la «convocazione degli Stati generali dell’economia e del lavoro». Questa proposta, presentata in un denso incontro con ricercatrici e ricercatori, è tutt’altro che astratta, e parte dalla necessità di reinternalizzare i servizi del Comune e le società da esso controllate. In attesa di una legge sul salario minimo, come si può arginare a livello locale l’avanzata del lavoro povero?
Innanzitutto applicando e rispettando il principio della parità di salario a parità di mansioni in tutti i casi di servizi comunali in appalto, anche per quelli affidati tramite le società partecipate. Occorre bloccare la modalità tipica di utilizzare appalti e subappalti, nonché di applicare la normativa nazionale vigente per ridurre il costo del lavoro e del servizio. Il Comune, in questo caso datore di lavoro indiretto, può e deve esercitare la propria responsabilità sociale per evitare discriminazioni salariali e di altro tipo tra lavoratori che svolgono le stesse mansioni negli stessi luoghi di lavoro. Il nostro obiettivo è la reinternalizzazione dei servizi.
Inoltre qualsiasi politica di sostegno da parte del Comune deve essere rivolta ad attività e imprese che dimostrino e certifichino di utilizzare lavoratori e lavoratrici assunti regolarmente. Ciò significa iniziare una vera lotta per debellare la piaga del lavoro nero, ma anche la richiesta di utilizzo di contratti nazionali e non il ricorso intensivo a forme legali di sfruttamento, escludendo quindi il ricorso a tirocini o a forme di lavoro a chiamata.
Tra i punti del nostro programma vi è l’istituzione di una Carta dei diritti delle Lavoratrici e dei Lavoratori della Logistica, da elaborare attraverso un tavolo che comprenda associazioni di categoria, l’Ispettorato del Lavoro, l’Inail, le grandi aziende che si occupano di logistica in città, le organizzazioni sindacali o le realtà autorganizzate di lavoratori, capace di intervenire in merito alla sicurezza sul lavoro, alla garanzia di applicazione dei contratti nazionali. Pensiamo che questo sia un ambito importante e urgente su cui intervenire e su cui c’è un colpevole ritardo delle istituzioni. Neanche dopo la tragica morte di Maurizio Cammilini, pony express deceduto in un incidente nelle strade pisane a settembre 2018, le istituzioni locali hanno provato a regolamentare questa nuova forma di lavoro a cottimo. L’ispettorato ha fatto le sue valutazioni, ha sanzionato il datore di lavoro, perché il lavoratore non era assicurato, ma poi tutto è tornato come prima, comprese le decurtazioni di salario che i fattorini ricevono se non rispettano gli orari delle consegne.
Sempre su questi temi, proponete di fare di Pisa un «laboratorio per la giustizia fiscale». Su Jacobin non abbiamo mancato di rilevare l’opportunismo e i limiti di delle proposte, ricorrenti quanto estemporanee, di «patrimoniali»: in che modo pensi che si potrebbe far «pagare i ricchi», come recitano i vostri manifesti elettorali?
Le nostre proposte stanno nel solco della Costituzione e vanno nel senso della giustizia sociale e della progressività contributiva. Nonostante i ridotti margini di manovra, anche i Comuni possono adottare provvedimenti che vanno in questa direzione, cosa che né l’amministrazione di centrodestra, né la precedente amministrazione di centrosinistra hanno mai voluto fare.
La strategia che proponiamo intende riformulare in senso progressivo ed equo tutte le imposte locali – come addizionale Irpef, Imu-Tari, imposta di soggiorno e contestualmente dotare la macchina comunale di strumenti adeguati per la lotta all’evasione ed elusione fiscale. Siamo convinti che la ricchezza immobiliare della città debba fungere da volano di una ripresa non solo economica ma anche sociale. In tema di lotta alla rendita immobiliare, il nostro programma prevede una serie di provvedimenti che mirano a ridurre le dichiarazioni di inagibilità e inabitabilità che permettono ai proprietari di avere uno sconto del 50% sull’Imu. Questi provvedimenti sono prioritari in una città universitaria come Pisa dove i grandi proprietari, lasciando vuoti gli appartamenti di interi isolati, drogano un mercato immobiliare che vede i prezzi degli affitti in continua crescita. Gli stessi provvedimenti ci consentirebbero di intervenire anche nei confronti dei proprietari delle ex aree industriali ormai dismesse e da anni abbandonate al degrado, prevedendo una tassa di 200 euro a metro quadro di fronte a condotte che generano degrado e abbandono.
Non possiamo non chiudere parlando di un altro problema «globale», che a Pisa diventa concretissimo a livello locale: come fare di Pisa un «territorio di pace»?
Gli agenti per far diventare Pisa un territorio di pace sono molti, a cominciare dai movimenti sociali che da anni lottano contro la militarizzazione del territorio, l’ecocidio, l’estrattivismo. Per noi la connessione coi movimenti è costitutiva, quasi ontologica. Pisa è oggi un grande hub militare, da cui partono ogni giorno aerei con mezzi e truppe verso decine di scenari di guerra. La città ospita dal dopoguerra la base Usa Camp Darby, di cui chiediamo da sempre la riconversione a uso civile. L’ultimo sfregio lo hanno firmato Mario Draghi e Lorenzo Guerini lo scorso gennaio, con un Dpcm che dava il via al progetto di Base Militare a Coltano, 190 milioni di euro per 70 ettari di infrastrutture belliche finanziate col fondo per lo sviluppo e la coesione (!), diventato immediatamente un caso nazionale che noi abbiamo scoperto. Su questa battaglia siamo fieri di aver innescato la mobilitazione che ha poi dato il via al Movimento No Base.
Oggi l’economia di guerra parla di una connessione profonda con il reperimento risorse energetiche e gli interessi economici connessi, i flussi migratori, l’emergenza climatica. Oggi la guerra è un dispositivo del capitalismo che sventra uomini, donne e territori. Ma ciò che accade a migliaia di chilometri da noi ha un legame stretto con le politiche locali. La presenza di basi militari è il primo tassello di ciò che poi vediamo esplodere sugli scenari bellici di tutto il mondo. Oltre a bloccare la costruzione della nuova base militare e aprire un tavolo con il governo per destinare i 190 milioni di euro sulla spesa sociale (ne basterebbero 2 per rimettere a nuovo l’intero patrimonio di edilizia residenziale pubblica non utilizzato), il Comune deve aprire politiche di cooperazione internazionale e praticare nel concreto politiche di pace: nei luoghi della formazione, nella politica culturale. La pace è un concetto complesso e interseca piani della politica diversi, saperlo individuare è un primo fondamentale passaggio. Come per le molte altre questioni citate, anche in questo caso per noi il Governo del comune sarebbe uno strumento per agire il conflitto.
*Francesco Auletta detto Ciccio, di origini catanesi, arriva a Pisa nel 1993 per studiare storia del pensiero economico. Giornalista pubblicista, ha diretto per anni la testata giornalistica online Pisanotizie. Ha contribuito alla nascita e allo sviluppo di alcune delle esperienze politiche più importanti del capoluogo toscano, dai coordinamenti altermondialisti contro il G8 alle mobilitazioni del TrainStopping contro la guerra in Iraq, dal Progetto Rebeldìa al Municipio dei Beni Comuni. Dal 2013 è consigliere comunale per la lista civica Una Città in Comune di Pisa. Giacomo Gabbuti è assegnista di ricerca di storia economica alla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
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