Un’altra Germania dell’Est era possibile
La scena in cui in migliaia da Berlino Est attraversano il muro il 9 novembre 1989 è il simbolo della fine della Guerra Fredda. Ma il 4 novembre un milione di persone erano scese in piazza chiedendo un socialismo realmente democratico
All’inizio del 1989 nessuno credeva che fosse possibile un cambio di rotta interno alla Repubblica Democratica Tedesca (Ddr), che fosse dell’Est o dell’Ovest. Erich Honecker, segretario generale del Partito di Unità Socialista (Sed) e presidente del Consiglio di Stato, a metà gennaio di quello stesso anno aveva dichiarato: «Il Muro continuerà a esistere per cinquanta o forse cento anni, se il motivo della sua esistenza non verrà risolto».
Una dichiarazione che era stata data per buona da tutti, come sta a dimostrare la decisione presa più o meno in quello stesso periodo da Alex Springer, editore conservatore della Germania dell’Ovest. Per decenni i suoi giornali e le sue popolari riviste (incluso il tabloid Bild) avevano messo la dicitura «Ddr» tra virgolette, un modo di mettere in discussione la legittimità della Germania dell’Est. Una pratica che ebbe fine in quei giorni.
Nove mesi dopo, la situazione era drasticamente cambiata. Decine di migliaia di tedeschi dell’Est avevano lasciato il loro paese durante l’estate per andare a Ovest, spostandosi soprattutto attraverso il confine tra Ungheria e Austria aperto di recente. I gruppi di opposizione avevano guadagnato rapidamente consenso, e sempre più persone a Leipzig e in altre città chiedevano riforme politiche nelle cosiddette «manifestazioni del lunedì».
Il 7 ottobre, nel quarantesimo anniversario della fondazione della Repubblica Democratica Tedesca, il leader del Sed continuava a far finta che nel paese andasse tutto bene. La polizia e i responsabili della sicurezza di stato fecero un buco nell’acqua, metaforicamente e letteralmente, quando durante la notte i cittadini provarono a protestare contro le celebrazioni ufficiali. Il Politburo costrinse Honecker a un pensionamento forzato il 18 ottobre e lo rimpiazzò con Egon Krenz come segretario generale. Malgrado ciò, le manifestazioni continuarono ad aumentare in tutta la Repubblica Democratica, e il 9 novembre il Muro di Berlino venne abbattuto.
Oggi, la versione ufficiale della storia tende a sintetizzare gli eventi come segue: i cittadini della Repubblica Democratica erano da tempo stufi del loro stato, e si riversarono in strada per poter vivere finalmente come i loro fratelli dell’Ovest. E dopo ci furono l’apertura del Muro e la riunificazione, e con esse la libertà a cui i tedeschi dell’Est aspiravano da anni. Secondo questa narrazione falsata, la Wende (“svolta”, la parola tedesca usata per descrivere oggi questo evento storico) della Germania dell’Est è stata coronata dalla caduta del Muro di Berlino. Ma le cose non dovevano andare necessariamente così.
Un altro socialismo era possibile
In realtà, il 9 novembre ha segnato la fine del tentativo popolare di dare vita a una svolta politica interna alla Repubblica Democratica Tedesca. L’energia rivoluzionaria che aveva animato il movimento di protesta iniziale si è subito indebolita, annacquata dal contatto con il vicino Ovest attraverso il confine a quel punto aperto. Anziché continuare a riformare il sistema politico malato della Repubblica Democratica, la maggioranza dei tedeschi dell’Est iniziarono subito a chiedere un’inclusione facilitata nel sistema della Germania dell’Ovest – sistema che da parte sua non era per niente aperto al cambiamento.
La velocità con cui avvenne questo slittamento dimostrò che l’interesse delle masse nel rinnovare la Repubblica Democratica non avrebbe potuto essere più grande di come era brevemente apparso prima della caduta del Muro. Opponendosi alla Repubblica Democratica gli attivisti avevano temporaneamente mobilitato un gran numero di persone, molte delle quali hanno appeso il cartello al chiodo, per così dire, quando aveva cominciato a soffiare il vento nuovo dell’Ovest. Anche molti attivisti fecero la stessa cosa. Uno psicoanalista potrebbe suggerire che il carattere autoritario della maggior parte delle strutture di potere della società tedesca – un elemento con il quale dopo la guerra né la Germania dell’Est né quella dell’Ovest avevano fatto i conti – rendeva impossibile un’autodeterminazione e una libertà reali.
La seducente dichiarazione di Helmut Kohl, cancelliere della Germania dell’Ovest, che il marco tedesco avrebbe trasformato l’Est in una «nazione fiorente» cadeva dunque su un terreno fertile. Le forze liberali e conservatrici vinsero con una maggioranza schiacciante nelle prime elezioni non controllate dallo stato del parlamento della Germania dell’Est, il Volkskammer, tenutesi il 18 marzo del 1990, e il 3 ottobre la Repubblica Democratica Tedesca venne annessa alla Repubblica Federale.
Eppure la visione che aveva inizialmente motivato la Wende non aveva nulla a che vedere con una Germania immediatamente riunita. Era motivata da qualcos’altro: dal desiderio di un «socialismo realmente democratico», insieme con l’adozione della perestroika e della glasnost come stava facendo Mikhail Gorbachev nell’Unione Sovietica.
I manifestanti si battevano per l’abolizione del dominio assoluto del Sed, per avere delle elezioni democratiche, per la legalizzazione dei movimenti per i diritti civili che erano spuntati in tutto il paese, per la libertà di stampa e di riunione, la dissoluzione del Ministero per la Sicurezza dello Stato (noto anche come Stasi) e la fine della sorveglianza dei servizi segreti. Tutto ciò si combinava con una revisione radicale della storia della Repubblica Democratica – incluso il ruolo dello stalinismo, una discussione sincera sulle difficoltà economiche e i problemi ambientali del paese, e con la fine della censura sulla stampa e l’imbonimento dell’opinione pubblica attraverso i media. Altre richieste includevano l’introduzione di modelli scolastici non autoritari, e ancora più piste ciclabili. In altre parole: un esplosivo e colorato mix di suggestioni creative per riformare e migliorare la Repubblica Democratica Tedesca, non per abolirla.
Le voci del 4 novembre
Numerosi documenti danno prova di questa iniziale fiducia per la Wende nella Repubblica Democratica Tedesca, inclusa la trasmissione in diretta sulla televisione di stato della manifestazione del 4 novembre del 1989 ad Alexanderplatz, a Berlino, della quale oggi non parla quasi nessuno. Tra le 500 mila e il milione di persone diedero corpo alla chiamata della scena teatrale della Berlino Est a occupare le strade per una Germania dell’Est social-democratica. Era il più grande raduno spontaneo e non statale della storia della Repubblica Democratica.
La manifestazione iniziò alle dieci della mattina nel centro di Berlino, e andò da Prenzlauer Allee fino a Karl-Liebknecht-Straße e al Palazzo della Repubblica, continuò su Marx-Engels-Platz, e attraversò Rathausstraße per finire su Alexanderplatz, il cuore di Berlino Est. Attraversò l’intero centro cittadino, inclusi i quartier generali delle più importanti istituzioni statali (il Consiglio di Stato, il Ministero degli Esteri, la Commissione Centrale del Sed, il parlamento, il municipio), prima del raduno finale ad Alexanderplatz, durato oltre tre ore. Il raduno venne aperto dall’attrice Marion van de Kamp:
Cari colleghi e amici, cari compagni e tutti coloro che sono qui! Noi, lo staff dei teatri di Berlino, vi diamo il benvenuto. La strade sono la tribuna del popolo, ovunque venga escluso dalle altre tribune. Questa non è una semplice manifestazione, ma un raduno di protesta socialista.
Un gran numero di figure si alzarono in piedi per parlare da un piccolo palco – attori di spicco, scrittori, cantautori, scienziati, un avvocato, due teologi, il precedente capo dell’Agenzia di raccolta informazioni della Repubblica Democratica, membri del Politburo e della base del Sed, il Neues Forum, l’Iniziativa per la Pace e i Diritti Umani. Erano circondati da centinaia di persone che esprimevano le loro visioni e richieste con esclamazioni dalla forte carica emotiva e cartelli fatti in casa: «Contro il socialismo monopolistico – per il socialismo democratico!», «Niente privilegi – siamo il popolo», «No alla violenza – rimaniamo qui!», «Democrazia – non caos!», «Tempo di gioco condiviso tra bambini sani e disabili – Rimuovere le barriere!», «Stampa libera per un popolo libero», ma mettevano anche in guardia dal ritorno del conformismo: «Non lasciarti trasformare!».
Non ci sono dubbi che fosse un evento democratico di massa di prim’ordine – una pietra miliare non solo per la storia dell’Est, ma di tutta la Germania. O, per dirla con le parole del rinomato autore Stefan Heym sul palco di Alexanderplatz:
In queste ultime settimane abbiamo imparato a parlare e ora stiamo imparando a camminare dritti. E questo, amici, in Germania, dove finora tutte le rivoluzioni sono fallite e dove il popolo è sempre stato soggiogato, prima dal Kaiser, poi dal nazismo, e anche dopo… Il socialismo – non lo stalinismo, ma il vero socialismo – che vogliamo infine costruire a nostro vantaggio e a vantaggio di tutta la Germania, questo socialismo è impensabile senza la democrazia. Ma democrazia, una parola greca, significa governo del popolo.
Estratti da altri discorsi sottolineano gli impulsi alla base delle proteste. Jan Joseph Liefers, oggi un attore famoso, diceva:
Le strutture esistenti, le principali strutture che ereditiamo da sempre non permettono un rinnovamento. Ecco perché devono essere distrutte. Dobbiamo sviluppare nuove strutture per un socialismo democratico. E questo vuol dire, per me, tra le altre cose una divisione del potere tra maggioranza e minoranza.
Marianne Birthler, giovane lavoratrice dell’amministrazione scolastica di Berlino e membro dell’Iniziativa per la Pace e i Diritti Umani:
Siamo qui perché abbiamo speranza. La speranza ci ha fatti radunare oggi in questa piazza in migliaia. La speranza, la fantasia, l’insolenza e l’ironia. Questa speranza, che finalmente ha iniziato a crescere nella Repubblica Democratica, solo qualche settimana fa si pensava sarebbe andata distrutta nei giorni e nelle notti dopo la sera del 7 ottobre, prima che crescesse grande come è oggi… La domanda a cui non abbiamo ancora risposto fino a oggi è: chi ha dato gli ordini, chi ha la responsabilità politica?
Per Christa Wolf, importante scrittrice e membro del Sed:
Faccio fatica con la parola Wende. Mi immagino una nave il cui capitano grida «Indietro tutta!» perché il vento ha girato, e la ciurma ha paura mentre l’albero ondeggia su e giù per la barca. È un’immagine accurata?… Io parlerei di rinnovamento rivoluzionario. Le rivoluzioni emergono dal basso. «Basso» e «alto» si scambiano di posto nel sistema di valori, e questo scambio trasforma la società socialista dalla testa ai piedi. I grandi movimenti sociali si mettono in moto… E dunque, lasciateci sognare con la mente ben desta: immaginate, c’è il socialismo, e nessuno scappa via!
La conclusione della manifestazione venne lasciata all’ottantunenne Steffie Spira, anche lei membro del Sed:
Nel 1933 andai da sola in una terra straniera. Non portai nulla con me, ma nella mia testa avevo i versi di una poesia di Bertolt Brecht, Lode della dialettica:
«Com’è, così non resterà.
Chi ancora è vivo non dica: mai!
Chi ha conosciuto la sua condizione, come lo si potrà fermare?
E il mai diventa: oggi!»
Un altro manifestante, il teologo di Wittenberg Friedrich Schorlemmer, quindici anni dopo ha ricordato l’importanza di quel giorno. Quando gli venne chiesto in un’intervista se fosse ancora orgoglioso di aver partecipato al 4 novembre, rispose:
Sì, perché quel giorno la «D» stava ancora per democrazia e non per «Deutschland» o «D-Mark». Il 4 novembre è stato il giorno in cui c’è stato un risveglio democratico, evento raro nella storia della Germania. I rappresentanti di queste persone di poco conto hanno posto fine alla pretesa di potere del Sed e con essa alla dittatura, con chiarezza, decisione, ed equità umana.
E oggi, possiamo ancora camminare dritti?
Alla luce di tutto questo, il 4 novembre del 1989 merita di essere illuminato di rosso e sottolineato in grassetto nei resoconti e nelle cronache della storia della Germania degli ultimi anni. Eppure, malgrado siano sopravvissute le riprese televisive, non esiste nessun documento video delle proteste disponibile per l’acquisto. Si possono trovare i cd con sopra i discorsi della manifestazione, ma una registrazione audio editata e accorciata non restituirebbe né l’atmosfera né le dimensioni dell’evento, e potrebbe dare solo una vaga idea della sua importanza.
Trent’anni dopo, non c’è momento migliore per guardarsi indietro e riscoprire lo spirito del 4 novembre. Dopo tutto, molti dei cambiamenti politici che quel giorno venivano chiesti per la Repubblica Democratica possono tranquillamente applicarsi all’agenda della Repubblica Federale del 2019. Un passaggio del discorso di Stefan Heym lo spiega bene:
Ma parlare, parlare liberamente, camminare, camminare dritti – non è abbastanza. Impariamo anche a governare. Il potere non appartiene a un solo individuo, o a un piccolo gruppo, o a un apparato, o a un partito.
Sicuramente sarebbe stato d’accordo ad aggiungere «o a una cricca di ultra-ricchi e amministratori delegati» alla lista, ma all’epoca questo non sembrava un pericolo possibile per la Repubblica Democratica, intrisa com’era di risveglio e rinnovamento politico. Stefan Heym continuava:
Tutti devono partecipare del potere. E chiunque lo eserciti, ovunque sia, dev’essere soggetto al controllo dei cittadini.
Questo controllo dei cittadini (o «glasnost», o qualsiasi forma di trasparenza politica per quel che vale) non è chiaramente la realtà della Germania di oggi. La richiesta di porre fine alla sorveglianza dei servizi segreti sollevata allora ad Alexanderplatz non è stata soddisfatta con la fine della Repubblica Democratica. E non si fa menzione su quanto la Germania di oggi abbia bisogno di una critica del ruolo sistematicamente mistificatore dei mass media.
Gli eventi del 4 novembre del 1989 ci invitano a riflettere, e a fare un paragone: oggi possiamo ancora camminare dritti? L’inquietante popolarità dell’estrema destra di Alternative für Deutschland (AfD), soprattutto nell’Est, solleva anche un’altra domanda: cosa è successo a tutto il coraggio, alla creatività e allo spirito ottimistico che i cittadini della Repubblica Democratica hanno dimostrato nel 1989?
Trovare la risposta a questa domanda è reso ancora più urgente dal fatto che l’AfD sembra far leva proprio su questo potenziale per pervertirlo. Durante le ultime elezioni negli stati dell’Est l’AfD ha fatto riferimento con successo alla Wende nella Repubblica Democratica stampando dei poster con su scritto «Completa la Wende». Appropriatisi ingiustamente di uno slogan cardine del 1989, hanno anche dichiarato agli elettori: «Siamo noi il popolo».
In risposta, va detto che «il popolo» che ha dato vita al terremoto politico di allora aveva qualità completamente diverse da quelle delle masse intorpidite mosse da gelosia e odio che la leadership dell’AfD cerca di convincere. Completare veramente la Wende, d’altra parte, vorrebbe dire costruire finalmente il socialismo democratico qui in Germania, così come si diceva ad Alexanderplatz il 4 novembre del 1989.
*Andreas Pelagu ha studiato psicologia clinica e ha prodotto un programma di consigli di vita per i giovani della Germania Est sulla stazione radio DT64. Oggi pratica la psicoanalisi a Berlino e scrive della Psicologia di Massa del Fascismo di Wilhelm Reich. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è di Gaia Benzi.
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